I nostri speciali: “Racconti maradoniani”
Dic 24, 2024

Diego Armando Maradona non è stato soltanto uno dei più importanti, se non il più grande, calciatore della storia. È stato un simbolo, anche di riscatto sociale, che con la sua vita, fatta di grandi vittorie e sonore cadute, ha ispirato la realizzazione di questa antologia che propone una serie di articoli da noi pubblicati in questi anni.

a cura di Mario Bocchio

Qualsiasi biografia di Diego Maradona, già un anno dopo la sua morte, sottolineava quello che tutti gli appassionati di calcio sanno, ovvero che ha giocato per l’Argentinos, il Boca, il Barcellona, ​​il Napoli, il Newell’s e la nazionale argentina. La cosa curiosa è che la sua vera prima squadra – ancora informale, ancora fuori dal grande calcio – è stata emarginata dalle recensioni, come fosse un quadro fantasma, anche per la serie Amazon in cui Maradona appare genericamente giocando per “Fiorito”. Giocando ancora a calcio di base e fuori dai campionati di quartiere, ma talvolta per soldi, Maradona prima e parallelamente alle Cebollitas (le serie minori dell’Argentinos) cominciò a giocare, segnare gol e festeggiare vittorie nell’Estrella Roja, oggi diventata Estrellas Unidas de Fiorito.

Continua a leggere

I “Los Cebollitas” furono una squadra praticamente imbattibile nei campionati giovanili argentini degli anni ’70, erano riusciti ad arrivare addirittura a 136 partite consecutive senza perdere. Ecco perché la prima sconfitta rimase nella memoria di molti: dopo un 2-2 ai tempi regolamentari con la squadra della provincia di Santiago del Esteros, il match del Torneo Evita andò ai rigori. I “Los Cebollitas” persero 3-1 anche perché il giocatore più bravo della squadra sbagliò un rigore prima di scoppiare in lacrime.

Continua a leggere

Il momento più felice dell’icona è avvenuto in un quartiere borghese di Buenos Aires, La Paternal, legato a un club, l’Argentinos Juniors, esemplare nel suo lavoro con i giovani.

Quando nel novembre del 1978 il presidente dell’ Asociación Atlética Argentinos Juniors, Próspero Cónsoli, consegnò a Diego Armando Maradona le chiavi della nuova casa familiare nel quartiere La Paternal, il volto del ragazzo non era di gioia ma somigliava a qualcosa di un’emozione contenuta. Diego, che aveva compiuto 18 anni una settimana prima, stava ancora digerendo di essere stato escluso dalla lista di Menotti per la Coppa del Mondo che l’Argentina aveva vinto nel suo paese mesi prima.

Continua a leggere

Il 20 ottobre 1976 Diego Armando Maradona scende in campo da professionista con la maglia dell’Argentinos Juniors contro il Talleres de Córdoba. Aveva 15 anni, 11 mesi e 20 giorni. Non segna e la sua squadra perde la partita, ma inizia così l’avventura di un calciatore che ha scritto le più belle pagine della storia del calcio. Di quel giorno il Pibe de Oro ha raccontato che ricorda il gran caldo mentre raggiungeva coi mezzi pubblici lo stadio: aveva solo un paio di pantaloni “buoni” ed erano troppo pesanti. Prima del suo ingresso in campo il tecnico Juan Carlos Montes, gli disse: “Va e se puoi fa un tunnel”. Lo fece nel primo minuto di gioco.

Continua a leggere

Durante la Copa América del 1979, Pelusa esordì in un torneo ufficiale con la nazionale argentina indossando la maglia numero 6, poiché il “suo” 10 aveva un titolare: Juan Carlos Bujedo.

Diego Armando Maradona, l’uomo che divenne sinonimo di 10, un giorno aveva solo il 6. Il calciatore che per tutta la sua carriera fu sempre legato a quel numero destinato ai talentuosi, rappresentò la nazionale argentina indossando un’insolita maglietta con stampato il sei sul retro. Era la Copa América del 1979, l’unico torneo ufficiale in cui Pelusa non indossò il numero con cui fu sempre immortalato. Juan Carlos Bujedo è il nome del terzino sinistro di Córdoba che è stato l’unico che ha potuto, almeno per un po’, separare El Diez dal dieci.

Continua a leggere

La relazione tra César Luis Menotti e Diego Armando Maradona, emblemi del calcio argentino, è stata tra due persone che hanno sviluppato a lungo una reciproca ammirazione.

A tratti c’è stato uno scambio verbale violento, ma con un finale sensazionale: se è vero che Diego raggiunse i massimi livelli in Messico nel 1986 con Carlos Salvador Bilardo – rivale calcistico di Menotti -, non sarebbe sbagliato supporre che Maradona non sarebbe stato tale senza Menotti. “Se voglio continuare la mia carriera devo scegliere un solo allenatore, sarà Menotti” disse il Pibe.

Continua a leggere

Oltre alla preparazione in quella provincia per i Mondiali del 1994, nel ’79 El Diez giocò una partita d’esibizione con l’Argentinos Juniors a General Pico, pochi giorni dopo aver segnato il suo primo gol con la maglia della Nazionale argentina.

Correva l’anno 1979 e Diego Armando Maradona era già il miglior giocatore del calcio argentino. Nel Metropolitano di quell’anno, l’Argentinos Juniors, la squadra di Pelusa, finì terzo nella Zona A dopo aver perso contro il Vélez, che in seguito arrivò secondo. Nonostante ciò, Diego ha concluso la competizione da capocannoniere con 14 gol, lo stesso numero di Sergio Fortunato, dell’Estudiantes.

Continua a leggere

Questa è la storia, una delle tante, che racconta l’amore e l’orgoglio che Diego Maradona provava per i colori del Boca.

In una delle sue numerose visite a Esquina Corrientes, la città natale dei suoi genitori Doña Tota e Don Diego, un giovane Diego Maradona organizzò una partita a beneficio dell’ospedale San Roque. Per quel pomeriggio di festa gli proposero di giocare con la maglia del River, ma lui non ne volle sapere nulla e rifiutò categoricamente. Alla fine ne indossò una camiseta con i colori del San Lorenzo.

Continua a leggere

La storia di Diego Armando Maradona e del San Lorenzo, il club del quale è tifoso Papa Franvesco, è quella di due innamorati che si sono amati per tutta la vita, ma a causa di diversi colpi di scena, e nonostante siano stati vicini più volte, non hanno mai finito per camminare mano nella mano.

Dieguito era vicino a indossarne la maglia da giocatore. Nel 1993, dopo aver lasciato il Siviglia e con la decisione di tornare a giocare in Argentina, incontrò a casa sua Bambino Veira e Fernando Miele. Anni dopo, nel programma Jamón del Medio, ammise che quella notte andò a dormire come giocatore del Ciclón. Ma il giorno dopo Miele puntò i piedi, cambiò le condizioni del contratto e Diego si allontanò dal Newell’s. Qualche tempo dopo arrivò un altro giocatore che più o meno giocò, il brasiliano Paulo Silas.

Continua a leggere

Sono trascorsi quasi 43 anni da uno dei giorni più iconici della storia del calcio argentino: quello in cui Diego Armando Maradona umiliò Hugo Orlando Gatti. Il 9 novembre 1980, prima dello scontro tra Argentinos e Boca per la dodicesima giornata del Nacional, il portiere xeneize aveva confessato alla stampa che “era preoccupato per la tendenza ad ingrassare” della stella del BichoEl Pelusa, infuriato per quelle parole, lo avvertì che avrebbe segnato quattro gol. Le ha realizzate e l’Argentinos ha battuto il Boca 5-3…

Continua a leggere

Dal trionfo allo sconforto, figlio di una doppia sconfitta, seppur maturata su campi differenti. L’Argentina che nel 1978 aveva conquistato il suo primo mondiale al Monumental di Buenos Aires si presentò a Spagna ‘82 da grande favorita insieme al Brasile. Tuttavia, nonostante una squadra estremamente valida dal punto di vista tecnico, arricchita dallo straordinario talento di Diego Maradona, si intuì in fretta che i risultati dell’Albiceleste sarebbero stati differenti.

Continua a leggere

La storia del calcio è ricca di portieri che resteranno per sempre associati alle magie di Diego Maradona: c’è Peter Shilton, che non ha mai perdonato al fuoriclasse argentino la “Mano de Dios” di Messico ’86, c’è Fernando Orsi, che si è detto “onorato”, rievocando la magnifica tripletta che il Pibe de Oro gli ha rifilato in Napoli-Lazio del 24 febbraio 1985, c’è Stefano Tacconi che, battuto dalla “punizione impossibile” di Napoli-Juve del 3 novembre 1985, ha sottolineato che “grazie a quel gol, mi ricorderanno cent’anni. Ho partecipato a un capolavoro, ne sono orgoglioso”. E poi c’è Gino Ferioli, il portiere “dilettante” che si è preso gioco di Diego Maradona, il più grande di tutti, con un tunnel.

Continua a leggere

Addio Pibe de Oro. Una storia inimitabile, di meraviglie, di successi, ma anche di eccessi e pericoli. Ai tifosi pescaresi – soprattutto quelli di una certa età – è tornato subito agli occhi il gol segnato dal campione argentino nel settembre del 1984 all’Adriatico, nella partita di Coppa Italia tra il Pescara e il Napoli finita tre a zero per i partenopei. Una rovesciata da terra che infilò il giovane portiere pescarese Gianluca Pacchiarotti, passato alla storia del calcio biancazzurro e nazionale proprio per quel gol subito, diventato celebre e tante volte raccontato dall’ex portiere del Delfino.

Continua a leggere

Quel giorno il Napoli “saliva” a Torino ed affrontava per l’ennesima volta i ricchi, gli imbattuti, i bellissimi Tacconi, Manfredonia, Cabrini, Serena e Laudrup, schierando in campo Garella, De Napoli, Bagni, Bruscolotti, Sola e LUI

Un racconto, per immagini intime e collettive, di quando una partita di calcio poteva rappresentare la rivincita di una intera classe sociale, quando i ruoli, le convenzioni e le maschere del quotidiano possono essere gettate, per lasciare posto a quegli incontri che nella vita reale difficilmente si realizzerebbero. Un luogo dove era consentito a due uomini, uno piccolo ed uno grande, incapaci di dirsi “ti voglio bene”, di abbracciarsi e ridere insieme. Juve-Napoli è un viaggio vero e metaforico, la storia di un’Italia, non troppo passata, fatta di migrazioni, di lingue nascoste, mansarde affollate e nuove identità.

Continua a leggere

Essere il fratello di Diego Maradona non è stato per nulla facile per Hugo, detto “El Turco” per la sua carnagione olivastra, fratello minore de “El Pibe De Oro“. Di piede destro, è protagonista nel 1985 con l’Argentina ai Mondiali Under 16 in Cina. Stesso ruolo del fratello, quello di fantasista: in quell’edizione mise a segno anche una doppietta contro il Congo. Successivamente fa il suo debutto in Primera Division vestendo la maglia dell’Argentinos Juniors e partecipando a diversi raduni dell’Albiceleste dopo il Mondiale vinto in Messico.

Continua a leggere

Di Maradona è stato detto tutto. Scriverne significa esporsi al pericolo di ripetere ciò che già si sa. Un compito ingrato, quindi. E che tuttavia, per forza di cose, ti consente – o ti costringe – di offrire la narrazione, profondamente personale, di un’emozione indecifrabile. Ché, in fin dei conti, Diego, per Napoli e buona parte della Campania, continua a rappresentare questo soltanto: uno stato d’animo confuso, ambivalente, dai confini incerti: sguazza nell’irrazionale, si riversa nel sacro, rigurgita contraddizioni, che si riverberano per le arterie della città. Vi evoca ricordi suggestivi di successi irripetibili, e, in pari tempo, la sprofonda in una cupa nostalgia, ebbra di desideri irrealizzati.

Continua a leggere

“Oggi gioco in difesa, la 10 non la prendo io”. E così dicendo Diego Armando Maradona, parlando a quell’improvvisata squadra che gli era intorno nello spogliatoio del vecchio stadio Longobucco di Scalea (Cosenza), si scelse la maglia numero 5 e la indossò. Fu la prima e l’unica volta. I colori erano il blu ed il bianco dell’Unicef e nella cittadina dell’alto litorale calabro-tirrenico il grande campione si era spinto proprio accettando un invito per una gara di beneficenza contro una rappresentativa locale. Dietro l’iniziativa c’era anche il collega e difensore della Juventus, Silvio Longobucco, originario del posto.

Continua a leggere

Chi li ha visti giocare li ricorda con sarcasmo. Chi li ha conosciuti si divide tra l’ammirazione e il disprezzo. Non sono stati capaci d’altro che vivere delle loro speranze, diventando l’esempio umano che El Pibe de Oro non è mai stato.

Nell’anno 1979 un giornalista argentino portò la sua telecamera con pellicola in bianco e nero nel popolare quartiere di La Paternal a Buenos Aires, dov’era andato per incontrare i fratellini di un astro nascente del calcio mondiale. Raul e Hugo Maradona, che all’epoca avevano rispettivamente 13 e 10 anni, fecero qualche palleggio tra loro, mentre la voce fuori campo pronunciava una verità quasi profetica: «Questi sono due bambini normali». I bimbi, con una mimica facciale che il loro notissimo congiunto, allora 19enne e già bomber dell’Argentinos Juniors, avrebbe presto reso famosa, si prestarono alle domande faticando a nascondere la timidezza.

Continua a leggere

22 giugno 1986. Sono passati 38 anni esatti dal quarto di finale mondiale consegnato alla leggenda del calcio, quello in cui Diego Armando Maradona divenne D10S grazie al gol del secolo e a quello di mano contro gli odiati rivali inglesi. Una partita storica, incredibile che ebbe un solo protagonista: Maradona, appunto.

Continua a leggere

Silenzio. Il tempo ha parlato. Carlos Bilardo, un pazzo che è diventato calciatore, medico e allenatore, è riuscito ad affermarsi come uno degli strateghi più riconosciuti in tutto il pianeta, non solo per i suoi modi eccentrici di allenare, ma anche per essere diventato campione del mondo come direttore tecnico dell’Argentina a Mexico ‘86, che era la sua ossessione.

Continua a leggere

“Sono quello che ha preso a calci Diego dall’inizio alla fine. Non l’ho mai negato, e al resto ci hanno pensato le telecamere”. Un grande fratello severo e obiettivo quello che il 2 giugno del 1986, in una tarda mattinata densa di umidità a Città del Messico, non ha perso di vista un solo istante della feroce marcatura di Huh Jung-Moo sul Pibe de Oro.

Continua a leggere

Diego Maradona ha avuto incontri e scontri con alcuni dei potenti della terra. E durante un ricevimento a Buckingham Palace, organizzato in occasione della partita di addio al calcio di Osvaldo Ardiles (asso argentino che era emigrato in Inghilterra giocando col Tottenham), il Pibe fu duro con il nuovo Re di Inghilterra.

Continua a leggere

La seconda partita dei Mondiali del 1990 in Italia fu già da dentro o fuori per l’Argentina di Bilardo, che aveva appena perso contro il Camerun all’esordio. A 34 anni da quell’incontro, Olarticoechea – giocatore fondamentale di quella squadra – ricorda lo sfortunato scontro con il portiere argentino e la seconda volta in cui Diego ha ingannato tutti con una mano.

“Era una finale. Se perdevamo, eravamo fuori. Anche se avessimo pareggiato”. Esordisce così Vasco Julio Olarticoechea ricordando il duello contro l’Unione Sovietica nella fase a gironi dei Mondiali del 1990. L’Argentina aveva appena perso contro il Camerun nella prima partita e le cose non stavano andando bene, stavano diventando complicate per quelli di Carlos Bilardo.

Continua a leggere

Celebre il rapporto tra Minà e Maradona. Tante le interviste realizzate al pibe de oro nei momenti dei trionfi e soprattutto in quelli brutti della vita di Diego. Seppe comprenderlo come pochi. Erano accomunati dall’amore per Cuba e per i più deboli. Grande e intenso anche il rapporto con Massimo Troisi.

Continua a leggere

Guido Buchwald e Diego Maradona: il loro duello sportivo ai Mondiali del 1990 in Italia è leggendario. Dopo la scomparsa della leggenda del calcio argentino, l’ex nazionale tedesco ha reagito con sgomento e più volte, ha ricordato i momenti insieme dopo la partita, vinta 1-0 dalla Mannschraft.

Continua a leggere

La domenica appena trascorsa è stata più tranquilla del solito, campionato fermo per consentire alle nazionali di terminare la corsa verso Euro ‘92. Ora però è di nuovo tempo  per i club che scendono in campo per le Coppe europee: c’è la Coppa dei Campioni e sarà l’ultima vera edizione prima del nefasto avvento della Champions League. In campo vanno solo i veri vincitori dei singoli campionati, con il nuovo format non accadrà più… È il ritorno del secondo turno, e il Napoli, campione d’Italia in carica, affronta i sovietici dello Spartak Mosca, andata al San Paolo 0-0. Questa è la mera introduzione, da adesso in poi si entra nel campo della storia.  

Continua a leggere

L’ultima di 259 partite, l’ultimo di 115 gol. Domenica 24 marzo 1991, al Ferraris di Genova il Napoli di Maradona – campione d’Italia in carica – sfidò la Sampdoria di Mancini e Vialli che si preparava a festeggiare il primo scudetto della sua storia. I blucerchiati vinsero per 4-1: al 75′, dopo i primi tre gol, vi fu il rigore di Diego. A fine partita diede la sua maglia numero 10, colore rosso, a Roberto Mancini.

Continua a leggere

Non ti preoccupare: il 30 ottobre non è un giorno normale, come tutti gli altri. Non lo sarà mai, non può proprio esserlo. Il 30 ottobre è il giorno del fútbol, il 30 ottobre da ormai 61 anni è il giorno dedicato a D10S, al Pelusa, al Diegote, al Barrilete Cósmico, al Gordo querido, al Pibe de Oro.

Continua a leggere

Il Napoli è ancora la città di Diego Maradona a tre decenni dal primo scudetto. Nella nostra storia ci sono due balconi. In uno, un leader viene accolto da folle di fedeli adoranti, tutti in omaggio a quanto aveva svolto e al modo in cui aveva cambiato così tante vite. E dall’altro Benedetto XVI ha detto al mondo il suo addio, ritirandosi da Papa. Le enormi folle si sono radunate a Roma per intravedere il Papa mentre salutava dal suo balcone, giorni dopo aver annunciato il suo ritiro.

Continua a leggere

“Premessa doverosa: non me ne intendo di calcio… Detto questo, resto basita di fronte a certe scenette isteriche e penose dedicate ad uno che ha fatto uso smodato di droghe, che è stato indagato per violenza sessuale, che non ha riconosciuto il proprio figlio, che ha evaso le tasse… e che tasse! Beh… anche no!” Questo era scritto su un post, sparito poi da FB e che si riferiva al “Pibe de oro”

Continua a leggere

Era qualche anno fa e avevo preso quei filmati dei gol più belli di Diego per farli vedere a Sara: guarda che cosa faceva Maradona. Ma a Sara non piace il calcio. Rimane in piedi e ascolta.  Ma guarda questo calcio di punizione con una barriera di giocatori enorme, sono tutti lì schierati: tiro cha passa sopra, palla nell’angolo. Guarda quest’altra: ecco qui, Diego parte da metà campo e si sbarazza di uno, due, tutti. Reazione: “Carino. Posso mettere un po’ di musica papà? “. Ma come ? Guardalo, ha la coppa in mano, la Coppa del Mondo.

Continua a leggere

Trentasei anni fa il gol che ha cambiato la storia del calcio. Non quello degli 11 tocchi, centrocampo-porta, che ancora emoziona gli spettatori che ascoltano incantati la voce di Victor Hugo Morales (che non è nemmeno argentino), ma quello di prima. La mano de Dios. La punizione che Diego Armando Maradona per conto dell’Onnipotente ha voluto dare all’Inghilterra dopo che la stessa, 4 anni prima, aveva invaso le Falkland-Malvinas, uccidendo centinaia di giovani argentini, e non contenta impose l’embargo sulla nazione e lo fece imporre da tutta Europa. Furono escluse Italia e Spagna dato che quasi la totalità degli argentini ha origini italiane o spagnole. Dopo aver vinto la guerra gli inglesi poi lanciarono frecciatine a sudamericani, italiani e spagnoli, dicendo che l’Argentina aveva perso la guerra (durata pochi mesi) perché avevano appreso il modo vigliacco di combattere di spagnoli e italiani.

Continua a leggere

La notizia della morte del campione argentino Diego Armando Maradona ha lasciato sconvolto il mondo intero. Anche chi non è esattamente appassionato di calcio ha dovuto fermarsi a riflettere sul lascito inconfutabile (e controverso) che un talento calcistico ma soprattutto una personalità complicata come la sua ha lasciato nella cultura degli ultimi decenni. Perché Maradona non è solo considerato il miglior calciatore di tutti i tempi, ma anche una figura che ha attraversato la nostra epoca facendo deflagrare ogni possibile racconto e immaginario. Non è un caso che siano molti i film e i documentari che abbiano tentato di raccontarcelo abbracciandone la carriera insuperabile ma anche la vita sempre lanciata verso il limite.

Continua a leggere

Vi sembrerà strano ma questa storia inizia con Ben Johnson che probabilmente molti di voi si ricorderanno con il fisico scolpito in ogni linea, la catenina al collo e la casacca rossa del Canada che vince la medaglia d’oro nei 100 metri piani ai Giochi Olimpici di Seul nel 1988. Record mondiale stracciato con 9″79 sul cronometro. Tre giorni dopo un test antidoping lo rivela positivo e viene squalificato, con annesso annullamento di vittoria e record. Cinque anni dopo, nel 1993, dopo un difficile periodo di riavvicinamento all’atletica, corre i 50 metri piani a Grenoble, in Francia, in 5″65. La distanza dal record del mondo è di 0,004 secondi. Subito dopo la gara viene sottoposto nuovamente a un test di controllo ed è di nuovo positivo per eccesso di testosterone. Questa volta viene squalificato a vita.

Continua a leggere

Condividi su: