L’ossessione di vincere un Mondiale. A tutti i costi
Dic 18, 2022

Silenzio. Il tempo ha parlato. Carlos Bilardo, un pazzo che è diventato calciatore, medico e allenatore, è riuscito ad affermarsi come uno degli strateghi più riconosciuti in tutto il pianeta, non solo per i suoi modi eccentrici di allenare, ma anche per essere diventato campione del mondo come direttore tecnico dell’Argentina a Mexico ‘86, che era la sua ossessione.

El Narigón (il Nasone) è qualcuno che voleva anche vincere indipendentemente dalle forme. Ebbene, il successo più alto della sua carriera, il Mundial dell’Albiceleste non è del tutto pulito e la Mano di Dio dice tutto.

Bilardo e Pablo Pasculli festeggiano il Mundial a Mexico ’86
Bilardo giocatore

Bilardo si era dimenticato di vivere, i suoi giocatori hanno avuto difficoltà ad adattarsi a una nuova idea e i risultati non sono stati quelli previsti. La battaglia per rimuovere Narigón dalla Nazionale è stata combattuta anche nell’ufficio del presidente della Repubblica Raúl Alfonsín. Gli argentini si muovevano senza méta e alla cieca. Anche se sono riusciti a qualificarsi, la squadra era nel caos e tale fu la delusione che partì per il Messico in silenzio, con l’unica compagnia delle famiglie. Arrivare agli ultimi posti in una Coppa del Mondo sarebbe stato come non qualificarsi e restare a casa.

Una volta sul palcoscenico messicano, Bilardo non ha lasciato passare il tempo per tirare fuori quella che era semplicemente una follia. Passare dalla concentrazione allo stadio ascoltando la stessa canzone, ognuno avere lo stesso posto sull’autobus per tutta la coppa, non toccare le valigie per tutto il torneo. Follia che ha finito per funzionare davvero a favore. Bilardo è sinonimo di cabale.

Il dottore era l’unico a credere nella sua squadra. “Dalle lacrime alla gioia c’è solo un passo nel calcio”. Quella fu una delle sue tante frasi in quei giorni. L’Argentina guidata da Maradona è passata dall’essere il brutto anatroccolo del torneo a candidarsi al titolo. Nonostante la grande sfida nei quarti di finale, contro una rivale molto scomoda: l’Inghilterra.

Il delirio di Bilardo ha anche cambiato il ritmo della partita della sua squadra contro gli inglesi. Poco si dice ancora oggi sulla psicosi che ha caratterizzato il giorno prima per ottenere magliette più leggere per via delle condizioni climatiche di Città del Messico, in modo che i suoi calciatori potessero correre più leggeri in campo. Il ritiro di Tepito divenne un’oasi per mettere insieme rapidamente armature improvvisate.

Dopo la famosa Mano di Dio e l’opera d’arte che Diego disegnò sul prato dell’ Azteca, Bilardo rimase convinto che il tempo in fondo avrebbe parlato da sé e ciò gli diede motivo di credere fortemente nella conquista del titolo mondiale.

L’Argentina è stata incoronata, ma Carlos non ha festeggiato. La leggenda narra che fosse arrabbiato perchè in uno scenario come la finale dei Mondiali, la sua squadra aveva subito due gol su calcio piazzato. Esagerato o inventato? Solo il dottore lo sa. Carlos Salvador Bilardo ha toccato il cielo quando è ritornato nel suo paese. Trovarsi di fronte alle stesse persone che lo avevano “ucciso” gli ha anche dato un senso di valore a ciò che aveva realizzato per un Paese ferito da problemi che il calcio non sa spiegare.

Con Diego a Italia ’90

Bilardo ha raggiunto l’eccellenza. I titoli nazionali che aveva ottenuto fino a quel momento in fondo non lo appagavano, non c’era paragone. In molti attribuiscono la coppa alla prestazione di Diego Maradona, ma la cosa è nata grazie alla buona intesa con l’allenatore. Di Diego  di tutta la squadra. Il capitolo più importante della carriera di entrambi, o meglio di tutta quella squadra, è rimasto in Messico. Loro lo sanno.

Il Narigón sognava quel successo dal momento in cui decise di lasciare il calcio il 16 dicembre 1970 per iniziare una carriera di allenatore.vSulla panchina ha sempre lottato prima di tutto per dimostrare sia la validità del suo pensiero che la genialità dei suoi concetti, che hanno segnato un prima e un dopo nella vita calcistica dell’Estudiantes e della nazionale di calcio.

Nel 1971, quando subentrò per la prima volta e salvò la squadra dalla retrocessione con uno sprint di 19 punti su 24 disputati; nel 1973, anticipò quello che sarebbe arrivato anni dopo, con il secondo posto nel 1975, con una squadra imbattuta a un solo punto dal campione River Plate.

Nel 1982  raggiunse la gloria con una squadra memorabile: il coronamento di un torneo che permise al club di essere campione dopo 15 anni, con in campo atleti del calibro di Sabella, Ponce e Trobbiani. Una squadra che ha vinto 21 partite, ne ha pareggiate 12 e ne ha perse solo 3; e che ha aggiunto 54 punti sui 72 in palio, realizzando 50 gol e incassandone 18. Questo campionato è stato proprio quello che lo ha catapultato a essere l’allenatore della Nazionale argentina, il sogno di tutta la sua vita. Bilardo ha allenato l’Estudiantes e l’Estudiantes è diventata bilardista.

Sulla panchina dell’Argentina a Italian’90

La sua ultima volta all’Estudiantes aveva i capelli bianchi, nel 2004,  tornò per rimettere in piedi il club, il suo addio il 26 giugno dello stesso anno. Non ha vinto nessun campionato, è rimasto fino a quando è stato necessario e lo ha fatto. Poi il Narigón è addirittura diventato assistente di Maradona città della Selección, per poi essere accusato da Dieguito di aver ordito contro di lui un complotto per mandarlo via dopo i Mondiali sudafricani del 2010.

Gli aneddoti vanno e vengono quando si parla di Bilardo. È diventato il pazzo più odiato in Argentina nel 1983 quando è arrivato sulla panchina dell’albiceleste. È stato etichettato come uno che voleva sempre vincere ad ogni costo, un ossessionato dall’andare a sbattere contro la sconfitta.

Nel ruolo di assistente di Maradona

A Italia ’90 l’Argentina di Bilardo affronta a Torino il Brasile. “C’era Maradona a terra e accanto a lui il massaggiatore con le borracce. Chiesi a Diego il permesso di bere e loro, non ricordo se Diego o il massaggiatore, mi porsero un contenitore. Quell’acqua aveva un sapore amaro, però non ci badai. In pochi minuti avvertii un malessere. Mi girava la testa, le gambe erano strane: a tratti mi sentivo un leone, a tratti ero sul punto di svenire. All’ intervallo domandai la sostituzione, ma Lazaroni mi intimò di tenere duro” raccontò Branco, lo specialista della punizioni. Alla fine l’Argentina vince per 1-0 con gol di Caniggia ed elimina la Seleção.

Anni dopo Oscar Ruggeri incontra Branco all’aeroporto di Rio de Janeiro: “Ehi, Cláudio, che bello scherzetto ti abbiamo combinato in Italia”. E gli racconta che quella borraccia aveva un tappo di colore diverso dalle altre perché dentro c’era un sedativo. L’Argentina in quel Mondiale arriva in finale, dove viene sconfitta dalla Germania Ovest con un rigore molto dubbio.

È stato un nevrotico sotto molti aspetti, ma è rimasto nel cuore degli argentini. Carlos Salvador Bilardo aveva un obiettivo tra le sopracciglia da quando è arrivato a guidare l’Argentina: vincere il Mondiale. Per scrollarsi di dosso anche il fantasma di César Luis Menotti, l’eroe del ’78.

Mario Bocchio

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