“Oggi gioco in difesa, la 10 non la prendo io”. E così dicendo Diego Armando Maradona, parlando a quell’improvvisata squadra che gli era intorno nello spogliatoio del vecchio stadio Longobucco di Scalea (Cosenza), si scelse la maglia numero 5 e la indossò. Fu la prima e l’unica volta. I colori erano il blu ed il bianco dell’Unicef e nella cittadina dell’alto litorale calabro-tirrenico il grande campione si era spinto proprio accettando un invito per una gara di beneficenza contro una rappresentativa locale. Dietro l’iniziativa c’era anche il collega e difensore della Juventus, Silvio Longobucco, originario del posto.
Era un pomeriggio di lunedì. Doveva essere il suo giorno libero da impegni dopo la gara di campionato (e che gara…) della domenica ma lui non volle sottrarsi alla promessa fatta. Il calendario segnava 4 novembre 1985, nel pieno della seconda stagione di Maradona al Napoli. Diego, quel giorno, scese in campo nonostante il terreno di gioco in terra battuta fosse diventato un rettangolo di fango a causa delle piogge della notte e delle ore precedenti: giocò solo un tempo ma la sua presenza lì, quel giorno, ha tramandato alcune leggende di cui oggi si parla ancora in Calabria. Tipo quella, mai provata con un video o con una foto, che subì un tunnel da un avversario.
Un capitolo di storia del calcio il Pibe de Oro lo aveva intanto già scritto il giorno prima, al San Paolo, dipingendo con il sinistro la magica parabola che battè Stefano Tacconi nella famosa Napoli-Juventus terminata 1-0 sotto il diluvio: fu la prima vittoria di Maradona contro i bianconeri, fu il suo primo gol alla Vecchia Signora. Era il 3 novembre del 1985. Quel giorno trasformò una punizione a due fischiata in area di rigore rimasta memorabile tanta era la vicinanza della barriera e tanto fu incredibile la traiettoria che scaturì dal suo piede dopo il breve tocco di Eraldo Pecci: la sfera, inzuppata d’acqua, si alzò e si abbassò così repentinamente che ancora oggi c’è chi scomoda le leggi della dinamica se non anche della fisica per spiegare l’episodio. Inutilmente.
Diego in azione sul campo fangoso
Nonostante le fatiche del giorno precedente, l’indomani mattina Maradona lasciò Napoli con un pullman che aveva messo a disposizione l’organizzazione dell’evento in Calabria. Sul bus, con Diego, erano anche Donna Tota, la mamma del campione, ed una giovanissima Claudia Villafane che il Pibe de Oro portò sull’altare quattro anni più tardi. Con mamma e fidanzata Dieguito, a poche ore dall’incontro, inaugurò anche il “Villaggio Maradona”, un residence sul mare intitolato a lui e che esiste ancora oggi. Non solo: Diego Armando Maradona volle con lui quel giorno anche i due fratelli Hugo e Lalo, che scesero in campo nel pomeriggio, e l’allora terzo portiere del Napoli, Enrico Zazzaro (semisconosciuto in Italia ma famoso in Sudamerica per un video in cui il campionissimo si divertiva a bersagliarlo in allenamento). Il torpedone fece anche altre tappe in Campania per raccogliere per strada alcuni calciatori argentini che giocavano nelle serie inferiori.
Della gara amichevole a scopo di beneficenza tra una rappresentativa di Scalea e quella Unicef del 4 novembre 1985 si è fino ad oggi parlato molto poco perché scarne furono le cronache dell’epoca (a differenza della gara di solidarietà che Maradona giocò, sempre in un campo fangoso, per aiutare un ragazzo di Acerra). Ma l’episodio nel 2023 è apparso all’interno di una graphic novel (il titolo è “Un sogno al Maradona”) che l’editore Solferino ha portato in libreria. Gli autori sono il giornalista Sante Roperto e il fumettista Giancarlo Covino, entrambi casertani. La storia trae spunto dal ritrovamento da parte di un ragazzino durante la festa scudetto del Napoli di un ritaglio di un vecchio giornale che si riferisce proprio al presunto tunnel subito da Maradona quel giorno a Scalea.
Fin qui la fiaba che diventa leggenda. Le (scarne) cronache del tempo riportano anche il risultato della contesa (4-2 in favore della selezione Unicef) e il particolare che i 2.000 spettatori che vi assistettero, assiepati sui due soli gradoni che all’epoca erano intorno al campetto, aggrappati alle cancellate e finanche in piedi sui muri di cinta, pagarono 20 mila lire il biglietto d’ingresso: una cifra enorme per l’epoca ma corrisposta da tutti dietro la voglia di vedere Maradona da vicino, sopravanzato anche dalla fama del gran gol alla Juventus di 24 ore prima, oltre perché l’incasso era in beneficenza. Il Pibe de Oro andò anche in gol ma si trattò di un episodio così controverso che l’arbitro di quel giorno, Tonino Ambrogio, accetta di rivangare.
“Oggi – premette subito – anche in un’amichevole quella rete sarebbe stata annullata: quando un calciatore perde lo scarpino si ferma il gioco”. Ambrogio, che è stato qualche anno dopo anche fischietto nella Serie A femminile, non ebbe il coraggio di stoppare l’azione: “Fece una serie di dribbling sbalorditivi su un campo impossibile. Un avversario, nel cercare di fermarlo, gli tolse una scarpetta ma lui continuò nelle sue serpentine come se nulla fosse e scartò finanche il portiere, entrando in porta con il pallone”. Sulle pareti della sede storica dello Scalea ancora oggi sono presenti immagini e ritagli di giornali locali dell’epoca relativi a quell’evento. Fu l’unica volta che Diego Armando Maradona giocò in Calabria; l’unica volta che vestì in una gara la maglia numero 5; l’unica volta che andò in gol pur avendo perso uno scarpino.