I nostri speciali: “Il calcio del totalitarismo”
Dic 27, 2024

Il XX secolo è stato il secolo delle dittature e il Sud America non ha voluto mancare. Il calcio ne risentì moltissimo e, infatti, i Mondiali del ’78 si disputarono nell’Argentina di Videla.

“Il potere che si avvale dello sport è antico quanto l’umanità”, riconobbe poi Menotti, allenatore argentino e campione di quel Mondiale. L’opinione pubblica mondiale era molto contraria a questo Mondiale, che Videla aveva già in programma quando fece il colpo di stato del ’76. La Scuola di Meccanica della Marina (ESMA) era una delle principali prigioni clandestine della dittatura e si trovava a soli due chilometri dallo stadio Monumental.

Videla nel suo discorso di apertura l’ha definita “la Coppa del Mondo della pace”. Johnny Rep ha dichiarato poche ore prima della finale con l’Argentina: “Abbiamo paura di vincere”. L’intenzione era chiara ed era che gli argentini dimenticassero, almeno per un mese, la situazione che vivevano per le strade e portassero per qualsiasi motivo una bandiera dell’Albiceleste. Oggi è molto difficile dire che quel Mondiale sia riuscito a cancellare l’immagine di una dittatura terribile e violenta per il popolo argentino, per quanto Mario Kempes abbia segnato sei gol.

“Ci hanno usato per coprire trentamila sparizioni. Mi assumo la mia responsabilità: sono stato un idiota che non vedeva oltre la palla“, ha detto Ricardo Villa.

Sócrates e il calcio socialista contro la dittatura

La dittatura brasiliana ha cercato di mettere a tacere molte voci, ma non sempre ci è riuscita. Reinaldo, giocatore dell’Atlético Mineiro, festeggiava i gol con il pugno alzato (farlo ai Mondiali di Videla gli costerebbe non essere convocato a Spagna ’82). Sugli spalti sono apparsi anche gruppi che difendevano la libertà sessuale come Coligay (Gremio) o Flagay (Flamengo).

Ma fu Sócrates, nel Corinthians, a diventare più popolare per la sua famosa Democrazia Corinthiana. Giocatore colto (studiò Medicina), fu sempre molto legato alla politica. Arrivato al Corinthians, il club aveva seri problemi istituzionali e Sócrates ne approfittò per portare avanti il ​​suo sistema organizzativo. Si trattava di mettere ai voti tutte le questioni del club, dai richiami alla dieta. Tutti i voti valevano lo stesso, sia quello del presidente che quello del giardiniere. Questo Corinthians è stato anche un pioniere nell’usare frasi come “Giorno 15, vota” (in relazione alle elezioni per la presidenza), “Voglio votare per il Presidente” o semplicemente “Democrazia Corinthiana”. Conosceva la responsabilità sociale che aveva: “Il popolo mi ha dato il potere come calciatore popolare (…). Quando siamo entrati in campo abbiamo combattuto per molto più che in un gioco. Abbiamo combattuto per la libertà nel nostro Paese”.

Oggi si legge su una tribuna dell’Estadio Nacional di Santiago del Cile, su alcune file che restano vuote ogni giornata di partita in onore delle vittime della dittatura: “Un popolo senza memoria è un popolo senza futuro”. Quello stadio divenne una specie di campo di concentramento, dove venivano commesse torture e sparatorie.

Come in molte altre dittature, si tentò di utilizzare il calcio come elemento di propaganda, anche se la squadra cilena non ottenne grandi risultati sportivi e fu respinta dalle altre squadre. Aneddoto storico è lo spareggio per il Mondiale del ’74. L’URSS rifiutò di recarsi in Cile per ovvi motivi e la Roja scese in campo senza rivali, per segnare a porta vuota e far valere la propria classifica. L’episodio è conosciuto come la “festa fantasma”. Uno dei modi per utilizzare il calcio, nel Cile di Pinochet era programmare partite importanti nei giorni di grandi manifestazioni.

Di quegli anni bui e sanguinari vi proponiamo una serie di articoli da noi pubblicati in questi anni, una sorta di tragica antologia.

a cura di Mario Bocchio

Il 24 marzo 1976 è sinonimo di orrore e oscurità. Un colpo di stato militare rovesciò il governo di María Estela Martínez de Perón e diede inizio al periodo più sanguinoso della storia dell’Argentina.

Continua a leggere

Con l’avvicinarsi della cerimonia di apertura, i Mondiali del ’78 suscitano emozioni e accesi dibattiti in Europa, tra i paesi qualificati per l’undicesima edizione della Coppa del Mondo in Argentina. Dal 24 marzo 1976, infatti, la giunta militare del generale Videla governa il paese dopo un colpo di stato contro la presidente Isabelita Perón, al potere da due anni. Ovviamente, la libertà e i diritti umani vengono rapidamente violati. Il generale golpista incarcera per cinque anni l’ex capo di Stato deposto e ordina la sospensione di ogni attività politica e sindacale nel suo Paese. Come il Cile nel 1973, anche l’Argentina divenne una dittatura che dava la caccia agli oppositori del regime costituito con un mitragliatore a tracolla.

Continua a leggere

“Chi crede che lo sport non abbia niente a che fare con la politica o non sa niente di sport o non sa niente di politica”, è una frase che Gerardo Caetano, ex calciatore e oggi importante storico uruguaiano, ha detto molto tempo fa.

Quarantacinque anni fa l’Argentina vinse il suo primo Mondiale, ma la gioia è stata storicamente oscurata perché il successo arrivò sotto la peggiore delle sue dittature, che ha cercato di nascondere omicidi, sparizioni e torture con i gol di Mario Alberto Kempes, eroe della conquista.

Noticias Argentinas (NA) era uno dei pochi organi di stampa a cui, in quei tempi orribili, le Madri di Plaza de Mayo potevano lasciare i loro comunicati che annunciavano le sparizioni.

Continua a leggere

Claudio corre, come faceva tutte le mattine in ogni allenamento, solo che questa volta…  è per la sua vita.

I suoi piedi nudi calpestano l’erba umida, l’adrenalina che le scorre nelle vene non permette alla pioggia, che cade incessantemente sul suo corpo nudo, di trasmettere anche un po’ del freddo di quella fredda mattina del 24 marzo 1978. Sono trascorsi quasi cinque mesi di reclusione, di torture, di intere giornate bendato, di urla che sono state assorbite dai muri di quella prigione… Tutto è a pochi metri dall’essere finito, Claudio Tamburrini e i suoi quattro compagni corrono. Non hanno una direzione, nessun vestito, nessun imbarazzo. Solo il  desiderio di libertà.

Il regista Israel Adrián Caetano ha narrato la storia di Tamburrini nel film Cronaca di una fuga – Buenos Aires 1977, presentato al Festival di Cannes 2006.

Continua a leggere

La notizia fece il giro del mondo. Il portiere della nazionale svedese Ronnie Hellström, in segno di solidarietà, aveva affiancato le Madri di Plaza de Mayo nei loro giri del giovedì per reclamare i loro figli scomparsi. Ma la verità è che, nel 2008, tre decadi dopo quel Mondiale del 1978 in Argentina, il portiere svedese che aveva difeso con successo per dieci stagioni la porta dei tedeschi del Kaiserslautern, disse ciò che realmente accadde: “Non sono stato io. No. Ricordo le madri ma non sono andato in piazza. C’erano alcuni giocatori, due o tre, ma non so chi”.

Continua a leggere

Ecco l’oscura storia di Gato Andrada, il portiere a cui Pelé segnò il millesimo gol e che divenne una spia della dittatura.

Quando sembrava che la vita del calciatore sarebbe stata segnata esclusivamente dall’aver subìto quel gol da Edson Arantes do Nascimento mentre difendeva la porta del Vasco da Gama, una denuncia del 2008 ha portato alla luce il suo ruolo di agente dell’intelligence dell’Esercito argentino.

Per quasi quattro decenni si è creduto che Edgardo El Gato Andrada sarebbe passato alla storia per un evento sportivo: essere stato il portiere argentino che ha “subìto” il millesimo gol di Edson Arantes do Nascimiento, Pelé, allo stadio Maracanã di Rio de Janeiro Janeiro, alle 23 e 11 del 19 novembre 1969, quando difendeva la porta del Vasco da Gama, contro il Santos, la squadra di O Rei per tutta la vita.

Continua a leggere

Sebastián Piovoso non è un calciatore e non lo sarà mai: i suoi 34 anni e la pancia di chi come noi ama il calcio dagli spalti glielo impediscono. Architetto laureato all’Università di La Plata, impiegato statale dell’ARBA, l’agenzia della riscossione di Buenos Aires, e senza passato né presente da giocatore, allenatore o leader, svolge un compito unico: è l’omaggio alla memoria di Antonio Enrique Piovoso, Tano, portiere che gioca tre partite nel Gimnasia La Plata nel 1973 e che non è solo suo zio, ma l’unico calciatore che ha giocato nella Prima Divisione dell’AFA ed è scomparso nell’apocalisse della dittatura. È il giocatore rubato dai militari nel 1977, ma dimenticato anche dal calcio.

Continua a leggere

Una rosa di ventidue giocatori per vincere il Mondiale del 1978, in casa. Ma in quell’Argentina del Ct  César Luis Menotti non tutti giocarono. Oppure ci fu chi giocò veramente poco. Héctor Rodolfo Baley, ruolo portiere: all’epoca il titolare dei guantoni della nazionale biancoceleste era Ubaldo Fillol, Baley perciò non trovò mai molto spazio e in quel Mundial non scese mai una volta in campo. Stessa sorte per il terzo estremo difensore, Ricardo Antonio La Volpe Guarchoni.

Continua a leggere

Sono passati 47 anni dal rapimento di Roberto Santoro. Un libro ricostruisce la sua storia e quella di altri dieci tifosi del Racing Avellaneda scomparsi.

“Gruppo sanguigno A, fattore Rh negativo, 34 anni, una figlia, 12 ore al giorno nella ricerca assurda, castrante, disumana di uno stipendio che non basta. Due lavori. Vivo in una stanza. Figlio di operai, ho coscienza di classe. Mi rifiuto di essere un travestito del sistema, quella macchina sociale marcia che fa sì che un uomo smetta di essere un uomo, costringendolo ad avere una sveglia nel culo, un infarto nel cuore e un lucchetto nella sua bocca”.

Continua a leggere

“Prima bisogna saper soffrire…”, scriveva il grande Roberto Goyeneche nella prosa di uno dei tanghi più iconici. Pare che Diego Armando Maradona abbia sentito quella frase mille, come per riprendersi da un terribile colpo mentale, l’ essere stato escluso dal Mondiale del 1978 e, l’anno successivo, essere incoronato campione del mondo giovanile, stella di quell’Argentina piena di enormi talenti e diretta anche quella volta da César Luis Menotti.

Continua a leggere

César Luis Menotti, El Flaco, come lo hanno conosciuto generazioni, per lodarlo o farne il centro delle loro avversioni, è morto a Buenos Aires all’età di 85 anni. Attorno alla sua figura si chiude la storia del calcio argentino degli ultimi cinquant’ anni. “È stato per me un amico e un mentore inestimabile. La sua passione per il gioco, la sua saggezza tattica e la sua umiltà hanno ispirato intere generazioni di giocatori e allenatori, me compreso. Apprezzo con affetto i momenti che abbiamo condiviso e le lezioni che mi ha dato. La sua eredità durerà in ogni gol, in ogni partita e in ogni cuore che ama questo sport”, diceva Mario Alberto Kempes, forse il suo giocatore preferito, il vero emblema dell’Argentina nel 1978.

Continua a leggere

Il colpo di stato militare del 1973 scosse fortemente la società e il calcio uruguaiani. L’azione del presidente Juan María Bordaberry finì per dare il colpo di grazia alle Camere dei Senatori e dei Rappresentanti, strumenti di natura popolare che funzionavano bene o male come canali democratici e che costituivano la sovranità. Il loro scioglimento rappresentò il declino della democrazia nella Repubblica Orientale e l’ascesa delle dittature militari nel Cono Sud. Il Cile seguì la stessa dorte nel 1974 e successivamente l’Argentina nel 1976. Il calcio sfuggì a questa istituzionalizzazione della tirannia. Dal campo si levò una non troppo velata richiesta di democrazia.

Continua a leggere

Sei squadre. Per un Mondiale. Piccolo e nero. Un Mundialito, come lo chiamarono gli argentini, che a Baires due anni prima avevano ospitato e vinto il Mondiale, quello vero. Sei squadre per un torneo subito dimenticato. Con poco calcio e molti calci. Nonostante un Estadio Centenario di Montevideo rimesso a nuovo e le (rare) prodezze di Maradona, Rummenigge, Junior, Socrates, Cerezo e dell’idolo di casa, il capocannoniere Victorino (3 gol). Con diritti umani calpestati e diritti televisivi comprati da un tycoon milanese che diventerà presidente del Consiglio. All’ombra di una dittatura sanguinaria. Aiutata da tanta propaganda. Di Stato o legata al nome di una loggia massonica segreta (la P2).

Tutto questo fu la Copa de Oro de Campeones Mundiales, il nome ufficiale della manifestazione, che si svolse in Uruguay dal 30 dicembre 1980 al 10 gennaio 1981.

Continua a leggere

Con una televisione portatile conquistata dopo una protesta in una cella 3×3, la giovane detenuta politica Dilma Rousseff, che aveva passato 22 giorni sotto tortura, ha festeggiato come una tifosa in più nel carcere di Tiradentes a San Paolo il terzo titolo mondiale del Brasile,  arrivato il  21 del 1970 in Messico dopo  il 4-1 contro l’Italia.

“Avevamo una televisione portatile nella ‘Torre delle fanciulle’, come chiamavano il padiglione femminile per le detenute politiche. Gran parte della sinistra voleva boicottare i Mondiali perché vincerli avrebbe dato vantaggi alla dittatura, ma non potevamo sostenere il Brasile Questo è ciò che voleva la dittatura”, ha detto Rose Nogueira, compagna di cella dell’ex presidente.

Continua a leggere

João Alves Jobim Saldanha è nato ad Alegrete, il 3 luglio 1917. Il ragazzo di Rio Grande do Sul, arrivato a Rio de Janeiro da adolescente, era appassionato di calcio. Tuttavia, a differenza della maggior parte dei giocatori di football della sua generazione, non era intrappolato nella bolla a quattro linee. Colto, politicizzato e combattivo, non solo fu un giocatore nelle categorie giovanili del Botafogo ma, in seguito, divenne l’allenatore della nazionale brasiliana, ma anche un convinto militante del Partito Comunista Brasiliano, oppositore del regime militare.

Continua a leggere

I giorni passavano e il contingente dei richiedenti asilo non faceva che crescere. Ad un certo punto, il sito ospitava 130 rifugiati.

“Affinché la casa non diventasse caos, si organizzavano dei gruppi. Un gruppo iniziava a preparare il cibo, un altro puliva e c’era qualcuno che si prendeva cura che i compiti fossero svolti” ha ricordato Humberto.

Ogni persona aveva diritto a un bagno di quindici minuti, a giorni alterni. I dormitori erano la sala dell’ambasciata, due delle camere da letto al piano superiore (l’altra era stata riservata al lavoro dell’ambasciatore) e le camere da letto sul retro. Dal pomeriggio di domenica 7 ottobre, però, l’ingresso degli esuli venne interrotto. La facciata dell’ambasciata venne sorvegliata dai carabineros.

Continua a leggere

In un momento in cui era più conveniente tacere, un giocatore ha osato protestare contro l’oppressione. Qualcosa di raro nel mondo delle frasi cliché e di una certa alienazione sociale e politica. A maggior ragione in un Brasile degli anni di piombo, in cui parlare spesso rappresentava già un atto di ribellione. Ma non era una figura qualsiasi. Era Re Reinaldo, il più grande marcatore della storia dell’Atlético Mineiro con 255 gol e uno dei più grandi attaccanti della storia del calcio brasiliano.

Il Re, come era noto, non era solo impavido in area di rigore quando si trattava di sbarazzarsi dei suoi marcatori. Le sue imprese, o meglio, i grandi gol li estese anche fuori dal campo. Negli anni ’70, in piena dittatura militare, decise di prendere posizione chiedendo il ritorno alla democrazia. Per questo ha usato il talento dei suoi piedi e il coraggio delle sue mani. “Alzare il pugno è stato un gesto rivoluzionario. Ho usato il calcio come ribalta e sapevo che i militari non potevano attaccarmi fisicamente perché sarebbe successo il finimondo”, ha spiegato nel libro Futebol à Esquerda (il calcio sinistra), di Quique Peinado. Il gesto è stato ispirato dalle Pantere Nere, un gruppo e partito politico americano che negli anni ’60 ha combattuto la violenza della polizia contro i neri, nel contesto del movimento per i diritti civili negli Stati Uniti.

Continua a leggere


Oggi quando si parla di calcio si pensa subito al Dio denaro che lo governa, al business miliardario che gli ruota attorno, ai calciatori ultrapagati che conducono una vita sfarzosa oltre ogni limite immaginabile. Proprio quei calciatori che hanno un potere immenso sul condizionamento dei più e meno giovani, e l’influenza che oggi infondono su questi non è certo delle migliori.

Continua a leggere

L’11 settembre 1973 era previsto l’allenamento della squadra cilena. Dovevano giocare i playoff contro l’URSS per qualificarsi ai Mondiali del 1974. Quel giorno tutto cambiò. Pinochet rovesciò il governo di Salvador Allende e lo Stadio Nazionale divenne un campo di detenzione, tortura e sterminio. Dopo 45 anni, nel 2018, David Pizarro e Isaac Díaz, giocatori dell’ Universidad de Chile trotterellavano con fiori e in silenzio verso quel monumento fatto di ferro e assi che ricorda l’orrore, sotto il motto “Non dimentichiamo”.

Continua a leggere

Si gioca il duello tra Universidad de Chile e Palestino per le semifinali di Copa Chile, ma oltre alla partita c’è un altro momento in cui tutti hanno rivolto l’attenzione.

Il momento in cui David Pizarro e Isaac Díaz corrono verso un angolo dello Stadio Nazionale, proprio nel settore che ricorda i detenuti scomparsi dalla dittatura. Lì i giocatori in maglia blu lasciano alcuni mazzi di fiori in un gesto carico di ricordo e di valore.

La più grande roccaforte sportiva del Paese è stata un centro di detenzione e tortura durante la dittatura di Pinochet, ma tra le migliaia di storie che si ricordano, ce n’è una che ha a che fare, appunto, con l’arcinemico della U: il Colo Colo.

Continua a leggere

Il 5 ottobre 1988 è stata una data che ha segnato un’intera generazione di cileni che hanno vissuto quel giorno, il processo elettorale, con la vittoria del No alla continuità della dittatura civile-militare guidata da Augusto Pinochet.

In quel contesto, il calcio e lo sport in generale non rimasero indifferenti a ciò che stava accadendo, nonostante i tentativi di alcuni dirigenti e personaggi di cercare di mantenere una neutralità strana nel clima polarizzato che si visse quell’anno 1988.

L’evento più emblematico che ha unito lo sport e il plebiscito del 1988 è stato quello vissuto dalla striscia televisiva Sì e No. In questi spot le due più grandi figure del calcio nazionale, Elías Figueroa e Carlos Caszely, si sono schierate rispettivamente per il Sì e per il No, provocando diverse reazioni tra la popolazione.

Continua a leggere

Lo Stadio Nazionale del Cile, costruito tra il 1937 e il 1938 dall’architetto austriaco Karl Brunner e ufficialmente chiamato Stadio Nazionale Julio Martínez Prádanos, è un impianto polifunzionale situato nella città di Santiago, capitale del Cile. È qui che generalmente si giocano le partite della nazionale di calcio cilena e della squadra dell’Universidad de Chile. Arturo Alessandri Palma, allora presidente della Nazione, inaugurò lo stadio il 3 dicembre 1938.

Nel settembre 1973, una fazione di soldati cileni portò a termine il colpo di stato. Augusto Pinochet guidò l’attacco al Palacio de la Moneda, la residenza ufficiale del presidente cileno. Aerei dell’aeronautica militare sorvolarono i cieli di Santiago e bombardarono la residenza ufficiale di Salvador Allende. Messo alle strette, il presidente “si è suicidato”. In quel momento si aprì la porta all’instaurazione di un regime dittatoriale che sarebbe durato più di 15 anni e che avrebbe lasciato segni profondi nella società cilena.

Continua a leggere

Dopo il colpo di stato in Cile, la squadra di calcio si qualificò per i Mondiali del ’74 in Germania, sconfiggendo un rivale invisibile, un rivale fantasma

Separare il calcio dagli eventi storici più importanti di ciascun paese può essere, in alcuni casi, un compito difficile da portare a termine. Se ci fermassimo a ripercorrere ogni momento della storia potremmo, molto sicuramente, ottenere un momento calcistico che lo accompagni.

Alle 18,30 del 21 novembre 1973 avvenne una delle scene più irreali. Nello Stadio Nazionale di Santiago, quattro giocatori cileni avanzarono verso la porta opposta, toccarono la palla tra loro senza essere fermati da nessun rivale, anche se non potevano perché il loro avversario, l’Unione Sovietica, non era presente. Francisco Chamaco Valdés ha segnato il gol a porta vuota, trenta secondi dopo l’inizio di una partita che la FIFA ha costretto a giocare.

Continua a leggere

Condividi su: