Mexico ’70 e la dittatura in Brasile
Lug 1, 2023

Con una televisione portatile conquistata dopo una protesta in una cella 3×3, la giovane detenuta politica Dilma Rousseff, che aveva passato 22 giorni sotto tortura, ha festeggiato come una tifosa in più nel carcere di Tiradentes a San Paolo il terzo titolo mondiale del Brasile,  arrivato il  21 del 1970 in Messico dopo  il 4-1 contro l’Italia.

“Avevamo una televisione portatile nella ‘Torre delle fanciulle’, come chiamavano il padiglione femminile per le detenute politiche. Gran parte della sinistra voleva boicottare i Mondiali perché vincerli avrebbe dato vantaggi alla dittatura, ma non potevamo sostenere il Brasile Questo è ciò che voleva la dittatura”, ha detto Rose Nogueira, compagna di cella dell’ex presidente.

1970, Dilma Rousseff davanti al Tribunale Militare

L’atteggiamento di migliaia di prigionieri politici come Rousseff, attivista dei gruppi di resistenza alla dittatura, dipinge in parte ciò che il dittatore Emilio Garrastazú Médici costruì e conquistò con i Mondiali del 1970, il massimo picco di popolarità del regime di fatto (dal 1964 al 1985) e l’inserimento del calcio nell’agenda politica come anello di congiunzione tra un governo illegale e le maggioranze.

Médici, che ha imposto l’epoca di massima repressione della dittatura, era un tifoso di calcio, nel 1969 decorò ufficialmente Pelé dopo aver conquistato i “1000 goal” e lo fece sfilare in macchina per i larghi viali di Brasilia

Diede ai giocatori campioni ciascuno un assegno di 25.000 cruzeiros (la valuta dell’epoca), circa 5.000 dollari di oggi, e permise loro di non pagare dazi doganali ritornando dal Messico.

Jairzinho a Mexico ’70

Per l’ex calciatore Jairzinho, Médici era responsabile del siluramento del giornalista affiliato al Partito comunista brasiliano João Saldanha dalla direzione tecnica del Brasile, tre mesi prima dei Mondiali.

Saldanha, detto João Sin Miedo, si rifiutava di convocare Pelé perché, a suo dire, era miope e in cattive condizioni fisiche. Quando è stato licenziato dal capo della federazione, João” Havelange, ha detto che Médici lo ha costretto a convocare Dario Maravilha, dell’Atlético Mineiro. “Tu ti prendi cura del tuo gabinetto e io mi occupo della selezione”, gli disse a muso duro Saldanha, in un dialogo mai verificato, ma che fa parte del racconto dei mesi convulsi prima del Mondiale.

João Saldanha e l’inseparabile sigaretta

“Saldanha se n’è andato per la merda che ha fatto, non per la dittatura”, disse nel 1995 Mario Lobo Zagallo, il Dt che costruì il Brasile 1970 con cinque numeri 10 del calcio locale: Rivellino, Pelé, Tostão, Jairzinho e Gerson. Al suo fianco ha avuto i preparatori atletici Carlos Alberto Parreira (campione come Dt nel 1994) e Claudio Coutinho (Dt in Argentina 1978).

La verità è che la dittatura ha sollevato un’epopea per quel Mondiale e si è appropriata di un jingle pubblicitario che era il grande marchio di fabbrica dell’epoca: la canzone “Pra Frente Brasil”. Nella vita reale, l’ambasciatore tedesco era stato rapito e scambiato con prigionieri politici, che alla fine furono rilasciati in Algeria. La dittatura diramò una dichiarazione affermando che “i giocatori in Messico sono preoccupati per la violenza nel paese”.

Pelé in trionfo dopo la finalissima contro l’Italia

Médici, tifoso del Gremio de Porto Alegre, è apparso nelle foto ufficiali accanto a una radio che celebrava i gol della prima Coppa del Mondo trasmessa in diretta televisiva. Prima della finale, secondo il libro “O Futebol Explica o Brasil”, di Marcos Guterman, il governo ha lanciato un “off the record” pubblicato da tutti i giornali in prima pagina.

“Palazzo Planalto non ammette l’ipotesi di una sconfitta”, è stato il messaggio pubblicato.

Non si sa se questo sia stato letto dai giocatori prima di affrontare l’Italia in finale, ma l’intera delegazione ufficiale della Confederazione sportiva brasiliana (CBD), l’ex CBF, era composta da personale militare.

Con la Coppa Rimet in mano consegnata da Carlos Alberto Torres, il capitano del “tri”, il dittatore Médici ha paragonato il trionfo al suo progetto di “sviluppo nazionale”.

Tra il 1969 e il 1974, durante gli anni del suo governo fortemente autoritario, avvenne il cosiddetto miracolo brasiliano, un balzo della produzione industriale e un boom occupazionale che fece crescere il debito estero del 90 per cento e le disuguaglianze sociali del 40 per cento.

Tostão festeggiò così il terzo titolo mondiale del Brasile

Anni dopo, l’ex presidente ed ex sindacalista Luiz Inácio Lula da Silva, del Partito dei Lavoratori, commentò che se ci fossero state le elezioni nel 1970, Médici  le avrebbe vinte con un ampio margine.

Molti anni dopo, alla Copa América del 2019, svoltasi in Brasile e vinta proprio dalla Seleção, l’ormai ex presidente Jair Bolsonaro, che ha sempre annoverato Médici  tra i suoi eroi nazionali e rivendicato le torture durante la dittatura, compresa quella di Dilma Rousseff, ha attraversato il Maracanã con la squadra che ha vinto il torneo, tra gli applausi. Ma anche tra i fischi.

Ma anche Bolsonaro, ex capitano dell’esercito, voleva capitalizzare il torneo sudamericano per la sua immagine politica. Con la Copa América tra le braccia, ha commentato: “Un presidente non veniva applaudito in uno stadio come questo dai tempi di Medici”.

Mario Bocchio

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