Sarebbe diventato “Il Professore” ma lì per lì Dino Sani, quando arrivò in Italia dal Sudamerica, non sembrava neanche un calciatore. Ed effettivamente era così, forse perché era parecchio fuori condizione, in più con un fisico non certo da titano. Pare anzi che Nereo Rocco avesse detto, vedendoselo arrivare al primo allenamento: “Ma questo è un giocatore di football?”. In dialetto triestino, naturalmente. Tuttavia il “Paròn” si sarebbe dovuto ricredere, perché grazie a Sani il Milan nel 1961 trovò la chiave di volta della stagione, aprendo di fatto un ciclo irripetibile, conquistando lo scudetto.
Eppure Sani arrivava a Milano da campione del mondo con il Brasile. Aveva giocato – come racconta il Guerin Sportivo – le prime due partite di quella spedizione in Svezia, il 3-0 all’Austria e lo 0-0 con l’Inghilterra, salvo poi accomodarsi in tribuna, visto che non esistevano ancora le sostituzioni. Però si può dire che aveva contribuito, in mezzo ai vari Pelé, Garrincha, Didi, Vavà, Nilton Santos, Djalma Santos e compagnia. Come regista davanti alla difesa, però, era stato sostituito cammin facendo da Zito.
Nel 1961 è in forza al Boca Juniors, un brasiliano in uno dei più importanti club argentini, situazione un po’ contro-intuitiva. Non sta giocando molto, va per la trentina, un’età che per i calciatori significa irrimediabilmente viale del tramonto. Eppure dall’altra parte del mondo, in Italia, c’è un club che ha un disperato bisogno di raddrizzare la baracca: è il Milan di Gipo Viani e di Nereo Rocco.
Nei rossoneri in quell’autunno del 1961 è caos totale: l’inglese Jimmy Greaves, attaccante tutto genio e sregolatezza, è arrivato ai ferri corti con l’ambiente. Di lui Gianni Brera avrebbe scritto: “È un abilissimo stilista, ma un gran lavativo”. Una volta Rocco beccò Greaves sbronzo in un locale, accompagnato da qualche ragazza, e quello era stato il punto di non-ritorno. Cacciato Jimmy, il Milan si mette alla ricerca di un sostituto, anche se non nello stesso ruolo. La scelta ricade allora su Sani, un regista. Che quando arriva al centro d’allenamento, un po’ calvo, un filo di pancia, ha tutto meno che del calciatore. Chi lo conosce meglio di tutti è José Altafini, che in quel Mondiale del 1958 era stato convocato, giocando alcune partite e segnando persino due gol, quando ancora veniva chiamato “Mazola”, per la sua somiglianza col grande Valentino. Non c’è dubbio che i dirigenti del Milan abbiano chiesto lumi anche al loro centravanti per sapere se valesse la pena tuffarsi su Dino Sani.
In realtà il brasiliano permette a Rocco di snellire la sua fase offensiva. In particolare ne beneficia Rivera, che viene sgravato da compiti difensivi e può giocare più avanti, liberando le sue qualità. Il primo test è il 12 novembre del 1961: il Milan ha appena perso malissimo a Firenze, l’Inter vola in testa alla classifica con 5 punti di vantaggio sui cugini e a San Siro arriva la Juventus.
Con una sconfitta Rocco sa già che dovrà fare le valigie, piove su Milano e il “Paròn” non può che affidarsi a Sani, che fatica ancora a vedere come “un zogador de futbol”. Titolare comunque, ed è la svolta, visto che la Juve viene piallata 5-1. Da lì in poi, una rimonta spettacolare in campionato, lo scudetto e l’anno dopo, a Wembley, la prima Coppa dei Campioni contro il Benfica. In mezzo al campo, Sani, e davanti “Mazola” Altafini, il suo amico, a segnare quella storica doppietta. Per Sani un ruolo fondamentale nella storia dei grandi centrocampisti milanisti, nella tradizione dei Liedholm e degli Schiaffino. “Quello gioca col libro sottobraccio”, lo definirà Rocco, ormai convinto che sì, Dino era davvero un calciatore.