Il Sergente B’rslèin
Giu 10, 2022

Eugenio Bersellini guidò l’Inter al dodicesimo scudetto. Qualcuno diceva che faceva giocare le sue squadre in modo vecchio, all’italiana (difesa e contropiede). Un giorno però lui rivendicò la primogenitura di un modulo che era diventato di moda: “Il rombo l’ho inventato io. L’ho utilizzato da quando ho iniziato ad allenare e la mia Inter dello scudetto giocava così”. Un ricordo tracciato dall’ex calciatore Gianmarco Bozzia sulla vita del celebre Eugenio Bersellini.

Bersellini (a destra) alla guida della Sampdoria nel 1985, mentre saluta il collega milanista Liedholm prima della finale di andata della Coppa Italia

Lo ha scritto anche sua figlia Laura: “Non poteva essere altro che di domenica”.

La notizia della sua morte, avvenuta nel 2017, ha avuto risalto nazionale, con il suo passato (490 panchine nella Serie A) e la sua comprovata moralità non poteva essere altrimenti. Eugenio Bersellini per il popolo sportivo italiano era il calciatore e poi l’allenatore, per i borgotaresi era sempre rimasto “B’rslèin”, uno della goliardica compagnia dei “Pesos”.
Ieri mi parlava di lui Gianmarco, in macchina, tra una telefonata e l’altra. Mi ha raccontato di quel loro lungo rapporto, da quando “sbarbatello” lo portò alla Sampdoria e poi di come fosse stato un costante consigliere nella sua vita calcistica. Un punto di riferimento inscindibile.

Nella foto, gentilmente donata da Carlo Forni, oltre a tanti altri borgotaresi, Eugenio Bersellini (il secondo accosciato, da sinistra) con il piccolo Gianmarco

“Lo chiamavano il ‘Sergente di ferro’, ma solo perché in un mondo come quello del calcio, fatto di calciatori, che sono per lo più bambini viziati, aveva il coraggio di essere sempre se stesso. Senza se e senza ma. Pur di difendere le sue idee non hai mai accettato compromessi con nessuno, che siano stati presidenti, giocatori o giornalisti, non faceva differenza.

L’Inter di Bersellini verso lo storico dodicesimo scudetto

 


Una stretta di mano e la sua parola… questi erano i gesti a cui teneva di più e per cui valeva la pena vivere ed essere ricordato. Quando tornava a Borgotaro, anche negli ultimi tempi, rievocava i nostri lunghi viaggi in macchina e degli anni passati insieme. In quel periodo mi ha insegnato a difendere con i denti i valori più importanti al mondo: l’umiltà e la dignità, oltre all’orgoglio di essere ‘montanaro’.

Bersellini al Torino


Ha vinto ovunque e ha portato fieramente il nome di Borgotaro in televisione, sui giornali e in giro per il mondo. Più di una volta portò con sé i Pesos alla Domenica Sportiva e il cestino di funghi: ‘Appena raccolti a Borgotaro’, veniva donato in diretta al conduttore Adriano De Zan. Un gesto, un amorevole spot per la sua Valtaro, visto e apprezzato da milioni di persone. Era un grande uomo di sport, un grande allenatore, ma soprattutto per me, un grande uomo… la “U” maiuscola”
.

Allenatore della Fiorentina, insieme a Boskov, allora alla guida della Sampdoria

“Caro Mister, gli ordini qui li dà lei…”. Altro che baciamano. Bastò uno sguardo al Colonnello Gheddafi per intuire che con quell’allenatore italiano soprannominato “Sergente di ferro” c’era poco da scherzare. Dell’esperienza di Bersellini in Nordafrica ne ha parlato Alfredo Corallo nell’articolo “Libia, quando il sergente Eugenio dava ordini al Colonnello.

Quando Eugenio Bersellini da Borgotaro si presentò la prima volta al cospetto del raìs, nell’agosto del ’99, era appena sbarcato a Tripoli con tutta la nazionale libica dopo lo storico terzo posto ottenuto in Giordania nell’allora Torneo panarabo (che si disputava tra 22 squadre africane e mediorentali).

Eugenio Bersellini calciatore del Lecce, con Pelè in amichevole al “Via del Mare” nel 1967

“Per loro fu un risultato al di là di ogni aspettativa – ricordava il tecnico emiliano – quando tornammo nella capitale, in piazza Verde, dove ora regna il caos più completo, l’accoglienza fu memorabile. E non solo per i giocatori: per una volta anch’io mi sono sentito quasi un eroe”.
E intanto l’onnipotente Muammar aspettava a Palazzo…“Gheddafi era, e rimane, un uomo dal carisma straordinario, un vero leader. Ci ha accolto con tutti gli onori del caso, sciogliendosi perfino in un caloroso abbraccio di riconoscenza. Conservo gelosamente una foto di quella giornata, è appesa in salotto accanto a quella con Pelé. E poi non dimentichiamoci un piccolo particolare: i calciatori erano tutti suoi ‘fratelli’ arabi, io l’unico italiano…”.

Il tecnico emiliano ha allenato prima la nazionale libica e poi le squadre più importanti di Tripoli: Al-Alhy e Al-Ittiad

La voglia di calcio non gli passò mai. Nel 2006 un amico gli chiese di salvare una squadra di Serie D, la Lavagnese.

Alla Lavagnese

Lui la risollevò portandola ai playout, e chiuse con una miracolosa vittoria contro la Narnese per 5-1 dopo la gara di andata persa 2-0.

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