Ricky Albertosi, da Pontremoli. Di Milan e Cagliari è stato un protagonista. Con il primo ha vinto lo scudetto della stella, con il secondo quello dei miracoli. Cresciuto calcisticamente con lo Spezia, esordisce in Serie A nella stagione 1958-‘59 con la maglia gigliata della Fiorentina, alla quale lega il successo nella prima edizione, stagione 1960-‘61, della Coppa delle Coppe. Quattro partecipazioni mondiali (e sarebbero potute essere cinque!), difese la nostra porta nella partita del secolo. Un protagonista assoluto del nostro calcio. Guascone e spettacolare in campo, tra i pali era uno dei migliori portieri a livello mondiale del suo periodo. Fuori dal campo, un tenore di vita fuori dalle righe. Tra cavalli e belle donne, riempiva i rotocalchi dei giornali scandalistici. A far parlare di lui fu, sul finire degli anni 70, anche lo scandalo del calcio scommesse che sancì di fatto la fine della sua carriera. Riabilitato dalla giustizia ordinaria (non da quella sportiva), avrebbe concluso, a 45 anni, la sua avventura nel mondo del calcio con l’Elpidiense in Serie C2. Gli hanno reso omaggio i giornalisti del Collettivo Soriano, con il libro “Ricky Albertosi. Storia popolare di un un portiere” (edizione Urbone Publishing). Non una biografia, quanto una raccolta di conversazioni, una carrellata di fatti che di Ricky Albertosi forniscono il lato più umano. Di seguito, le interviste agli autori.
Ricky Albertosi, il più forte prima dell’avvento di Buffon
“Personalmente lo considero il portiere più forte che abbiamo mai avuto in Italia prima dell’avvento di Gigi Buffon – dichiara Massimiliano Castellani, fondatore di Collettivo Soriano e curatore del libro – I confronti sono sempre brutti ma quando guardo le immagini continuo a pensare che dal punto di vista tecnico e e stilistico era più forte di Dino Zoff. Il quale però, rispetto a Ricky Albertosi, ha avuto il vantaggio di giocare in una squadra sola. E di avere davanti a sé la difesa campione del mondo. Mentre Ricky ha giocato in un Cagliari capace di un miracoloso quanto estemporaneo sussulto, in una Fiorentina ottima ma mai in grado di fare il salto di qualità, in un Milan della stella mai degno delle sue ambizioni”.
Portiere di caratura mondiale, recordman mancato
“Per trent’anni Ricky Albertosi è stato un portiere di caratura mondiale. Ha un solo grande rimpianto, non aver partecipato al Campionato Mondiale di Argentina 1978. Sarebbe diventato il recordman, con cinque partecipazioni”.
La storia è nota, quella partecipazione gli fu negata perché la sua presenza avrebbe potuto creare pressioni al portiere titolare della Nazionale, Dino Zoff. “Ma lui, a suo stesso dire, per andare in Argentina si sarebbe accontentato anche di portare le valige – dice con un sorriso Massimiliano Castellani – E quando sarà possibile presentare il libro con modalità più convenzionali rispetto alle attuali, vorremmo riuscire a fare abbracciare i rivali di allora”.
Simbolo di una intera generazione
“Quando il ruolo del portiere richiedeva spericolatezza, istinto felino e acrobazie – aggiunge Furio Zara, autore di uno dei capitoli del libro – Ricky Albertosi con un po’ si sana follia è stato probabilmente il miglior portiere della sua generazione”. Icona in campo, ma anche fuori. “Ricky Albertosi ti permette di raccontare un periodo storico – sottolinea Massimiliano Castellani – era un po’ il simbolo degli anni 70. Da qui il titolo del libro”.
Portiere di assoluto valore in campo, fuori dal campo era, almeno per l’epoca, personaggio trasgressivo e fuori dalle regole. Fumo, cavalli e belle donne erano la sua compagnia naturale, ma quando era tra i pali metteva d’accordo tutti. Anche uno come Nereo Rocco, non proprio incline ad accettare il suo stile di vita. “Il fascino di Ricky Albertosi – sottolinea Sergio Taccone, coautore del libro – sta proprio nell’interezza del personaggio, un continuo mix tra il grande atleta e l’uomo fuori da ogni schema”.
Ricky Albertosi e Dino Zoff, rivali ma non troppo
Per anni contrapposti, messi l’uno contro l’altro. Uno, maestro dell’acrobazia, nella migliore tradizione di Giorgio Ghezzi e Gordon Banks, era estroverso e amante della vita. L’altro, serio e riservato, in campo concedeva poco allo spettacolo. Maestro del piazzamento, era capace, con un piccolo movimento del corpo e in perfetto applombe, di parate decisive. “Come quella immortale di Italia – Brasile 3-2 nel Campionato del Mondo 1982 – ricorda Sergio Taccone – che ci avrebbe spalancato le porte al trionfo finale. Nell’immaginario collettivo, sono diventati nemici- rivali, rappresentanti di un modo di intendere il calcio e la vita agli antipodi”.
Ma andando in profondità, i due grandi portieri hanno in comune più di quando si è detto e si scritto. “La sensazione – scrive nel libro il coautore Massimo Raffaeli – è che Ricky Albertosi e Dino Zoff siano, sotto traccia, molto più simili nel profilo etico di quanto in generale non si crederebbe o non sarebbero entrambi disposti ad ammettere. In comune hanno la schiettezza, la limpidezza e una sostanziale coerenza tra parole e comportamento, cui va aggiunta la nulla attitudine a piegare la schiena ai potenti”.
Calcio scommesse, risucchiato dal meccanismo
“In quel periodo – puntualizza Furio Zara – il calcio italiano ha perso la sua verginità. Anche se a distanza di tanti anni sembra buffo dirlo, gli accordi tra capitani, o tra i giocatori più rappresentativi delle squadre, erano tacitamente accettati. Le partite finivano spesso a venti minuti dalla fine, si faceva melina a centrocampo. Se una squadra aveva bisogno di un punto, l’altra glielo concedeva. Così da procedere a braccetto fino alla conclusione della partita”. Ricky Albertosi, nella stagione precedente, era stato protagonista della salvezza del Milan dalla retrocessione. E di quella squadra era senz’altro uno dei giocatori più rappresentativi. “Viene da sé – sono le riflessioni di Furio Zara – che difficilmente potesse non essere risucchiato da questo meccanismo”.
Capro espiatorio, dopo aver sfiorato la quinta partecipazione mondiale
Quella vicenda fu un autentico sconquassamento per il portiere rossonero, dopo che, nella stagione precedente, aveva sfiorato la sua quinta partecipazione ai Campionati del Mondo. “La sua responsabilità nello scandalo del calcio scommesse – dichiara Sergio Taccone, autore del capitolo dedicato all’esperienza di Ricky Albertosi in rossonero – fu informare la società che alcuni giocatori della Lazio volevano combinare la partita del 6 gennaio 1980 con il Milan. Non fu un corruttore ma divenne presto un capro espiatorio. Era un giocatore a fine carriera, poteva anche essere sacrificato”. Un duro colpo per Ricky Albertosi, sempre pronto a rialzarsi dopo un errore in campo. “Aveva una capacità di reazione straordinaria. Una prova di carattere che per un portiere è cosa assolutamente fondamentale”.
La ripartenza, nei campi di periferia
Gli sarebbe tornata utile al suo rientro nel mondo del calcio, amnistiato dalla giustizia ordinaria. I palcoscenici non sono però più i campi di Serie A, ma sgangherati campi di periferia dove, per giocare, è costretto ad usare la tuta. Non si dispera, e si inventa un nuovo ruolo, Quello del giocatore-allenatore, la squadra è l’Elpidiense che milita in C2. “Le sue prestazioni – ricorda Sergio Taccone – risultano essere da stimolo per i giovani calciatori, lui,invece, scopre che gli piace allenare”. Tra la fine del 1983 e l’inizio del 1984, a 45 anni,complice un infortunio al ginocchio, si ritira. Ma spera di avere un futuro nel mondo del calcio.
Preparatore dei portieri, un sogno mancato
“Per anni, dopo la fine della carriera, ha sperato che il Milan lo chiamasse per fare il preparatore dei portieri – rivela Massimiliano Castellani – Gli sarebbe piaciuto allenare Gigi Donnarumma, un portiere che apprezza ma che dovrebbe limare alcune imperfezioni. Non sopporta vedere il talento sprecato, alcuni errori di Gigio sono secondo lui dovuti ad una certa superficialità negli allenamenti. O perché è lo stesso Donnarumma a non allenarsi nel modo giusto o per via di una scarsa attenzione della società nei suoi confronti. Sta di fatto che la chiamata della società non è mai arrivata, ancora oggi Ricky Albertosi paga l’ostilità di una certa tifoseria rossonera che gli imputa forti responsabilità nella retrocessione in Serie B per le vicende del calcio scommesse”.
Un numero uno guascone e corsaro
“L’essere umano – rimarca Massimiliano Castellani – vive di cadute e di rialzate, di successi e di sconfitte, di luci della ribalta e del buio della delusione. Perciò la parabola di Ricky Albertosi è molto umana”. A Ricky Albertosi non sono stati fatti sconti, a prescindere dalle reali responsabilità in quella vicenda. “Negli anni a seguire, ha vissuto la sua vicenda personale come sproporzionata rispetto alla realtà dei fatti”. Ma di lui, al di là di tutto, rimangono nella memoria le immagini di un portiere dalla classe immensa. “In porta parava il possibile e l’impossibile – afferma Darwin Pastorin che di Ricky Albertosi ha trattato la sua esperienza in terra sarda – un numero uno guascone e corsaro, che avrebbe stuzzicato la fantasia di Emilio Salgari o di Robert Louis Stevenson” .
A rappresentarlo, sopra ogni momento, lo scudetto conquistato a Cagliari. “Quel titolo risplende come una stella cometa, una delle più belle pagine del calcio italiano dove si fondono epica e mito. Quel Cagliari cominciava con Albertosi e finiva con Riva, Rombo di Tuono segnava e Ricky parava. Entrambi fumavano, la punta parlava poco, l’estremo difensore non le mandava a dire. Ricky Albertosi, aquila solitaria senza timori e tremori. Corsaro del calcio italiano”.
Fonte “Milano Sportiva”