Nell’estate del 1989, Giuseppe Galderisi è riscattato dal Milan, che lo cede a campionato iniziato al Padova in Serie B, voluto fortemente dal direttore sportivo Piero Aggradi. Veste la divisa biancoscudata sette stagioni, di cui cinque nella serie cadetta (segnando 14 gol nel 1990-’91, 12 nel 1992-’93, 15 nel 1993-’94). Il ritorno in massima categoria è meno prolifico, con il solo gol segnato contro il Brescia nella stagione 1994-’95, ma l’attaccante è in campo nello spareggio vinto ai rigori col Genoa, valido per la permanenza in Serie A. L’anno seguente, a stagione in corso, Galderisi lascia Padova per chiudere la carriera negli Stati Uniti.
Sulla sua esperienza patavina ha scritto un bellissimo articolo il compianto Furio Stella, un’icona del giornalismo e della cultura sportiva nella città di Sant’Antonio.
Ma perché Nanu Galderisi non se lo fila più nessuno? Alla mostra del Centenario non c’era una foto sua che fosse una. Persino sul libro c’era Lalas e non lui. Né, che si sappia, Cestaro l’ha mai invitato una volta a cena. Quanto a raccomandazioni, poi, basta guardare la sua carriera di allenatore. Gubbio, Giulianova, Sambenedettese… Panchine instabili di società ancora più instabili. Nessuna corsia preferenziale. E anche adesso, dopo dieci anni di serie C, eccolo all’Arezzo, oltretutto assunto a stagione già iniziata.
Mica il massimo, bisognerà ammetterlo, per uno che nel calcio non è certo un Pinco Palla qualsiasi. Ha vinto due scudetti nella Juve più uno a Verona, ha giocato con Milan e Lazio, ed è stato persino centravanti della Nazionale con il «vecio» Enzo Bearzot a Messico ’86. E prima di chiudere la carriera in America con il suo amico Alexi, ha riportato il Padova in serie A a suon di gol. Dopo 32 anni. Impresa non meno miracolosa dello scudetto conquistato in riva all’Adige. Quasi un uomo delle cause impossibili.
Ma se il calcio e il Padova lo hanno messo in disparte, non così i tifosi. Per i quali Nanu, il soprannome che gli affibbiarono per sbaglio i compagni quando giocava nelle giovanili della Juve («Chiamavano così Della Monica, e lui mi assomigliava…»), continua a essere il giocatore simbolo di un’intera generazione. Più di Lalas che, in fondo, della serie A è stato solo l’icona freak. E non come Galderisi che la A l’ha invece conquistata buttando sudore e lacrime negli ultimi incredibili campionati allo stadio Appiani.
Era stato Pierone Aggradi, il ds con il cappellaccio, a portarlo qui dal Milan nel 1989. «Vieni a Padova che andiamo su», gli dice. Galderisi accetta perché vuole giocare e rilanciarsi, ma poi succede che del Padova s’innamora. Si coinvolge nell’impresa. Mette famiglia e radici. Ci butta l’anima. «Sì, mi sono legato completamente al gruppo e alla società – racconta oggi Nanu, 47 anni il mese prossimo – Nel ’91 Trapattoni mi voleva all’Inter come terza punta e gli ho detto di no. Avrei voluto, ma mi sentivo tanto responsabilizzato, non potevo lasciare la barca».
Sette campionati nel Padova. Quasi duecento partite. Cinquanta gol, gli stessi di un mostro sacro come Sergione Brighenti. Addirittura un club con il suo nome. «Il ricordo più bello? Firenze e Cremona al top – dice Galderisi – Quei due stadi degli spareggi sono brividi allo stato puro… Mai vista una città così piena di passione e amore. E poi la gente, il boato che si alzava all’Appiani quando puntavo l’avversario. “Na-nu, Na-nu…”».
«Vi ci riporto io in serie A», dice anche Galderisi, infischiandosene delle foto, delle cene, delle mostre, e insomma della dimenticanza. «Prima o poi – assicura – al Padova ci arriverò. I sentimenti ce li ho ancora dentro. Butto sangue tutti i giorni, mi piacerebbe farlo per qualcosa in cui ho sempre creduto. Allora sì che tutto per me avrebbe un senso».