
Quando Galeone portò la rivoluzione a zona in Serie A.
La Serie A del 1987-’88 fu un crocevia. Salutava Michel Platini e i suoi anni d’oro, accoglieva Marco van Basten e un’idea di calcio destinata a cambiare tutto. Sedici squadre ancora in corsa – per l’ultima volta -, due soli stranieri per club, e un equilibrio che stava per saltare. Sarebbe stata la stagione del Milan di Sacchi, dello scudetto soffiato al Napoli di Maradona e della nascita del calcio a zona. Eppure, in mezzo a quei giganti, fu un piccolo club di provincia a interpretare meglio di tutti lo spirito nuovo: il Pescara di Giovanni Galeone.
La sua storia cominciò quasi per caso, con un ripescaggio in Serie B dovuto al fallimento del Palermo e una promozione costruita contro ogni logica. Ma Galeone non era tipo da accontentarsi. “In Serie A ci vado con le mie idee”, ripeteva. E le sue idee erano chiare: niente catenaccio, niente paura. Portò in massima serie il suo 4-3-3 spavaldo, basato su possesso, pressing e libertà d’invenzione, chiedendo ai suoi ragazzi di giocare con la mente e con il coraggio.

Il Pescara cambiò volto ma non anima. Partì Rebonato, capocannoniere della B, destinato a un’esperienza infelice alla Fiorentina, ma arrivarono due artisti perfetti per la filosofia galeoniana: Leo Júnior, il cervello brasiliano del Mundial ’82, e Blaž Slišković, talento slavo tanto geniale quanto lunatico. “Quando era in giornata – dirà Galeone – faceva cose da fantascienza”.
Attorno a loro cresceva una generazione di giovani che avrebbe poi segnato il calcio italiano: Gasperini, Bergodi, Dicara, Gatta. E l’ala Rocco Pagano, l’incubo di Paolo Maldini: “Fu il giocatore che soffrii di più”, ammise anni dopo il capitano rossonero.
L’esordio fu da leggenda. San Siro, prima giornata: Inter 0, Pescara 2. Galvani e Slišković firmarono una vittoria che fece tremare le certezze del campionato più chiuso del mondo. Seguì un’altalena di entusiasmo e batoste – come il 6-0 subito dal Napoli del Ma-Gi-Ca -, ma nessuno poteva più ignorare quel calcio coraggioso, quasi straniero. Memorabile anche il 2-0 rifilato alla Juventus all’Adriatico, con le firme di Júnior e Pagano.

Alla fine, gli abruzzesi chiusero dodicesimi: otto vittorie, otto pareggi, quattordici sconfitte. Ma il valore di quella salvezza andava oltre i numeri. Galeone aveva dimostrato che anche una neopromossa poteva sopravvivere giocando all’attacco, che la bellezza non era un lusso riservato ai grandi.

Quel Pescara rimase nella memoria come la prima piccola a pensare in grande, la prima ad abbracciare davvero la modernità del calcio italiano. Una squadra che osò sognare, e per un istante fece sognare tutti.
Mario Bocchio
