Italia-Germania Under 19. È l’autunno del 2002, quando sul terreno del Druso di Bolzano si affrontano le due nazionali giovanili che danno vita ad un’amichevole dedicata alla intitolazione delle tribune dello stadio alle memoria di Albano Canazza e Christian Zanvettor. La prima, quella che è bagnata dall’Isarco, porta il nome di un “gigante buono” al secolo Albano Canazza, dal cuore carioca (nacque a San Paolo del Brasile) che seppe infiammare le passioni dei tifosi bolzanini ed anche di quelli lombardi, territorio che ospitò le qualità di Albano Canazza sotto le insegne del Como e dell’Ospitaletto.
Il difensore bolzanino mise in mostra quel suo talento, perfetta miscellanea tra carattere e tecnica calcistica, sin da ragazzino quando, poggiato il piede in Alto Adige, cominciò a frequentare dapprima il vivaio della Virtus Don Bosco passando, successivamente, a quello dell’Oltrisarco. Laboratorio che rappresentò una sorta di rampa di lancio che proiettò quel gigante buono, con la passione del pallone, nel calcio dei grandi. Scenario che in quel periodo, siamo alla fine degli anni Settanta, apparteneva all’Ac Bolzano di Fausto Grandi, Roberto Perissinotto, Massimo Bertinato, Daniele Merlin, Gianni Ventura, “Gatto” Caliari e Busnardo.
“Un ragazzo eccezionale – è il primo ricordo di Fausto Grandi – ancor prima delle sue qualità tecniche Albano colpiva per quel suo carattere buono, sempre sorridente, davvero una persona fantastica. In campo era uno che non mollava mai, difensore destro o anche stopper a seconda dei casi, dotato di grande corsa, veloce e dal gran fisico. Ricordo che nella stagione ‘79-‘80, in serie C2, andammo a giocare contro il Venezia primo in classifica. Al Bolzano servivano i punti per non retrocedere. Davanti a quattro-cinquemila spettatori vincemmo uno a zero con una sua rete. Grazie a quella vittoria, e grazie ad Albano, a fine partita il presidente Bolognini ci gratificò concedendoci doppio premio partita”.
L’amarcord in biancorosso passa anche attraverso il sentito apprezzamento di Roberto Perissinotto e Massimo Bertinato: “Albano ha rappresentato per noi un compagno di squadra ideale: sempre pieno di entusiasmo e grande voglia di giocare. – ricorda Perissinotto – Credo che la vita gli abbia saputo regalare la maggiore delle soddisfazioni per un calciatore che è quella di giocare in serie A, ma, nello stesso tempo, lo ha privato fin troppo presto dell’emozione più bella che è quella di condividere i ricordi una volta smesso di giocare”.
In quello spogliatoio situato sotto i gradoni della “Gradinata” era animato anche dal funambolico Bertinato: “Albano era già un professionista quando giocavamo insieme nel Bolzano. Professionista in tutto, – sottolinea l’ex bomber – uno di quelli che interpretava il calcio come se fosse un lavoro: con serietà disciplina e determinazione. È stato un esempio che avrebbe potuto far tanti anni in serie A”.
Albano Canazza ai tempi del Como (foto “Museo del Como”)
Consumata l’esperienza con l’Ac Bolzano, per Albano Canazza si spalancarono le porte della massima serie approdando al Como di Giuseppe Marchioro. In riva al Lario, il difensore bolzanino dal cuore carioca, collezionò cinque presenze in serie A, lavorando nella linea che salutava l’arrivo di Pietro Vierchowod, passando a seguire, tra serie B e ritorno n A, le istruzioni tecniche di mister Seghedoni ed infine quelle di Tarcisio Burgnich. Salutata la massima serie, Canazza rimane in Lombardia per giocare in terza serie con lo scudetto dell’Ospitaletto, per poi tornare definitivamente a Bolzano, nella sua Ac Bolzano che viaggiava tra i dilettanti del torneo di Promozione.
Nel Bolzano 1987-’88. Canazza è il primo in alto, da sinistra
“Albano tornò a Bolzano con tanta esperienza in più ma senza un briciolo di supponenza derivante dal fatto di essere stato nel calcio della massima serie. -ricorda ancora Grandi – Anzi, rimase sempre lo stesso pronto allo scherzo anche quando tra compagni lo prendevamo in giro dicendogli: ma come hai fatto a giocare in serie A se hai i piedi quadrati? Albano non faceva una piega, esibendo quel largo sorriso che ammaliava tutti”.
Sorriso che si spense per sempre il 7 settembre del 2000, quando per una insufficienza respiratoria, causata dalla sclerosi laterale amiotrofica, il gigante buono dal cuore carioca perse la sua partita con la vita.