Partite spalmate durante la settimana a tutte le ore tra anticipi, posticipi, anticipi degli anticipi e posticipi dei posticipi. Un’overdose di calcio esaltata da riprese che mostrano tutto, ma proprio tutto, quello che avviene durante una partita. Eppure c’è stato un tempo quando i 90 minuti della squadra del cuore te li immaginavi nel vero senso della parola, lontano dagli occhi come cantava Sergio Endrigo in una celebre canzone. Ti trovavi a due passi dallo stadio, ma per poter sbirciare qualcosa di quello che avveniva nel rettangolo di gioco dovevi usare il binocolo. O tanta ma tanta immaginazione. Era la partita “vista” dalla Madonnina di Monte Mario, un misto di ardimento per salire sui rami degli alberi del colle e buona volontà per capire quello che accadeva all’Olimpico.
Una mission impossible de noantri per assistere o meglio sognare le prodezze di Chinaglia e Bruno Conti senza pagare il regolare biglietto. Certo, l’esito non era dei migliori, ma erano centinaia le persone di ogni età con tanto di militari in libera uscita (per lo più tifosi della squadra avversaria della Lazio o della Roma) che la domenica salivano su verso il Don Orione per poi inoltrarsi nella collina alla conquista de li mejo posti. Piazzole dove mettere le seggioline di legno da pic nic o cassette per le bibite rivoltate su cui salire o rami robusti su cui appollaiarsi come Jo Condor in un bilico preoccupante.
La “Curva Nord” laziale negli anni Settanta
Con l’avvertenza che la parte del campo verso la Curva Nord era comunque fuori dalla visuale perchè non in asse con la montagnola della Madonnina. Come dire il gol di Provedel di testa poi, neanche l’avresti mai immaginato. Una visione da vorrei ma non posso insomma, in attesa del liberi tutti con l’apertura dei cancelli dello stadio per l’ultimo quarto d’ora della partita con tanto di fiatone ai massimi per i più sfigati che scendevano di corsa dalla montagnola direzione Olimpico o in modalità meno trafelata se motorizzati con Ciao e vespette.
Questa manfrina più da poveri ma belli di una Roma che fu che da amanti del calcio tout court è durata sino ai Mondiali del ’90, quando con la copertura dell’Olimpico, la visione da portoghesi dei match è stata resa vana. Col rimpianto di chi per anni ha sfruttato questa possibilità in un equilibrio precario e con una radiolina in mano aspettando il boato dello stadio per la conferma del gol.