Dotto, Brontolo, Pisolo, Mammolo, Gongolo, Eolo e… Dunga. No, non state leggendo male: sono i nomi dei sette nani di Biancaneve e ne risalta uno, un filo diverso dagli altri. Manca Cucciolo, è vero, che però nella versione portoghese-brasiliana del cartone animato si chiama proprio così, Dunga. Come il calciatore, uno dei più grandi centrocampisti nella storia della Seleçao nonché capitano della squadra campione del mondo 1994: uno che ha lasciato il segno anche in Italia.
Carlos Caetano Bledorn Verri: questo il vero nome di Dunga, che tradisce come per milioni di altri brasiliani delle origini italiane, per la precisione piemontesi. E dal 1987 al 1993 protagonista in Serie A con le maglie di Pisa, Fiorentina e Pescara: tre esperienze molto diverse tra loro e con il rammarico per aver sfiorato la Coppa Uefa con i viola nel 1990. Un trofeo in realtà lo vince ed è la Mitropa Cup con il Pisa, in un campionato 1987-‘88 dove i nerazzurri si salvano soffrendo.
Per Dunga un gol da ricordare nientemeno che a Walter Zenga dell’Inter con un siluro da trenta metri che finisce all’incrocio dei pali. Non male per uno che in carriera non è che abbia segnato valanghe di reti. “Regista da Oscar”, si legge nei commenti del dopo-gara; del resto il brasiliano si è visto da subito che è un giocatore di spessore, minuto e poco espansivo ma con una gran visione di gioco, seppur a ritmi non altissimi. A correre ci pensano altri, non solo al Pisa ma anche in futuro nelle altre squadre dove giocherà.
Alla Fiorentina rimane per quattro stagioni. I viola l’avevano già bloccato nell’ambito dell’affare-Sócrates, ma se lo possono godere solo dal 1988 in avanti. Sono gli anni della piena maturità per Dunga, che allenato anche dal suo connazionale Sebastião Lazaroni diventa uno dei centrocampisti dal miglior rendimento della nostra Serie A. Un Lazaroni che gli aveva affidato anche le chiavi della mediana della nazionale verdeoro ai Mondiali del 1990 terminati con l’eliminazione agli ottavi contro l’Argentina.
Dopo l’esperienza così così al Pescara, con la squadra che retrocede, Dunga lascia l’Italia e va allo Stoccarda. Ed è in questo periodo, quando milita in Bundesliga, che conquista il Mondiale con il Brasile. Siamo nel 1994 e sappiamo tutti, purtroppo, come andò a finire con quella maledetta finale persa ai rigori dall’Italia con errore decisivo di Roberto Baggio. L’ultimo tiro prima di quello del nostro numero 10, il rigore decisivo insomma, l’aveva effettuato proprio Dunga, spiazzando Pagliuca: segno di grande personalità, da capitano come del resto era l’ex di Pisa, Fiorentina e Pescara. Capitano di una squadra non necessariamente spettacolare, ma molto pratica, con una coppia di attaccanti sensazionale come Romário e Bebeto e il resto composto da onestissimi mestieranti.
Sufficiente, comunque, per sollevare la coppa del mondo per la quarta volta; Dunga entra nella storia assieme agli altri capitani leggendari come Bellini, Mauro e Carlos Alberto. La sfiorerà la coppa quattro anni dopo, ma il Brasile perderà malamente in finale contro la Francia padrona di casa.
Non avrà miglior fortuna da allenatore, lui che era già allenatore in campo in realtà, quando nel 2010 il Brasile si schianterà contro l’Olanda ai quarti di finale, vittima della serata di grazia di Wesley Sneijder. Un 2-1 amarissimo inclusa l’espulsione di Felipe Melo, che porta Dunga al licenziamento e a una valanga di critiche per aver schierato una formazione un po’ strana e con poca fantasia davanti. Tornerà sulla panchina verdeoro nel 2014 e fino al 2016, quando l’imbarazzante eliminazione in Coppa America per mano del Perù lo porterà a una seconda cacciata.