Tre gol per diventare un campione
Set 1, 2023

Un tragico destino ha inghiottito Waldemar Victorino, stella del calcio uruguaiano negli anni Ottanta.

L’ex giocatore del Nacional, autore del gol della vittoria della Copa Libertadores de América contro l’Internacional di Porto Alegre nel 1980 e contro il Nottingham Forest nella finale di Coppa Intercontinentale giocata all’inizio del 1981, ha avuto il suo grande momento con la nazionale uruguaiana, segnando il gol al Brasile nella finale della Copa de Oro o Mundialito nel gennaio 1981. Una rete per un titolo senza precedenti che l’Uruguay vinse nel torneo al quale parteciparono tutti i campioni del mondo, tranne l’Inghilterra, che fu sostituita dall’Olanda che era stata due volte vice-vice-mondiale, nel 1974 e nel 1978.

Victorino (a sinistra) in azione con l’Uruguay nel 1980, contrastato dall’italiano Collovati

Gran goleador, ha avuto una carriera breve ma intensa, ricca di momenti che restano nella storia più bella del Nacional e della Celeste.

Sarebbe ingiusto lasciarsi condizionare nel giudizio generale dall’esperienza in Italia al Cagliari di Alvaro Amarugi. Addirittura il Ct della nazionale italiana Enzo Beazot, nel commentare l’arrivo di Victorino, parlò di “gran colpo”. Collezionando poche presenze, appena 10 in campionato senza mettere a segno neanche una rete.  Alla fine i gol furono soltanto due, in Coppa Italia. “Ma come posso segnare se gioco poco?”, si chiedeva e chiedeva all’allenatore Gustavo Giagnoni. Lui e il peruviano Uribe forse erano un lusso per una squadra che lottava per la salvezza, le due stelle sudamericane infatti avrebbero sicuramente fatto la loro bella figura in una compagine di alta classifica, senza il peso di troppe responsabilità.

“El Piscador”, come era soprannominato, nel Nacional

Propri oquello, infatti, fu un campionato difficile per il Cagliari, che dopo una buona partenza finì per retrocedere, superato in extremis nello scontro diretto dall’Ascoli.

All’età di 22 anni un amico lo portò a giocare nel Progreso, successivamente è andato al River Plate di Montevideo, dove ha suscitato maggiori aspettative con i suoi gol e ha incuriosito i grandi club.

Quando gli hanno offerto di giocare nel Peñarol, ha escluso la possibilità perché era “un grande tifoso del Nacional”, e quando lo hanno chiamato dal Nacional ha firmato immediatamente, senza alcuna esitazione e con grande gioia.

Ha giocato nel tricolores tra il 1979 e il 1982, ha disputato 113 partite, con la sua squadra che ne ha vinte 73, pareggiate 19 e perssse 21. Ha segnato 58 gol, due soli su rigore. Al Peñarol ne ha rifilati quattro. Victorino ha ispirato gli autori della famosa serie manga Holly e Benji, che hanno hanno Ramon Victorino, centravanti nell’Under dell’Uruguay che appare nella famosa trasmissione televisiva.

Siamo nel 1977, eccolo nel River Plate di Montevideo: è il terzo, da sinistra, accosciato

Victorino faceva il pulitore di vetri nelle banche e lavorava al mercato prima di diventare un calciatore affermato.

Trascorse l’infanzia sulla collina. Ha studiato alle elementari poi è ha iniziato a giocare nel Club Cerro per una stagione, ma ha dovuto smettere per lavorare e aiutare i suoi genitori. Nel corso degli anni ha potuto trasferirsi a Pocitos e Punta Carretas, “ma sono tornato a Cerro perché è quello che considero il quartiere di tutta la mia vita” amava rimarcare in ogni intervista.

“Al mercato caricavo gli scatoloni per i camion tutte le mattine: sacchi di patate, patate dolci, mandarini, mele. Finivo alle 2 del pomeriggio. Ho aiutato i miei vecchi, ma a 14 anni avevo già voglia di comprarmi una maglietta nuova, delle scarpette…”.

Ecco come ha esordito nel calcio, a 22 anni: “Un amico mi venne a cercare per andare a giocare nel Progreso. Non volevo perché avevo già 22 anni ed ero militare. Giocavo come centrocampista. Mi hanno dato il 9 e abbiamo battuto 2-0 il Basáñez con due miei gol. C’era Óscar Omar Míguez, il campione del mondo del Maracanà nel 1950 e disse al tecnico Julio Larrosa di curarmi. Così è stato. Inoltre, Míguez aveva giocato quasi tutta la sua carriera in quella posizione di centravanti. È stata una grande gioia. Mi hanno chiesto di continuare, ho parlato con il mio capo e mi ha dato l’autorizzazione, ma dovevo andare tutti i giorni al lavoro con il personale degli animali.  All’epoca ero un addestratore di cani pastore tedesco nell’esercito”.

Dopo la finale della Coppa Intercontinentale a Tokyo,
premiato con la Toyota

Un giorno il presidente del River Plate, Eduardo Castro Quintela, arrivò e gli disse: “Preparati per andare al Peñarol”. Ciò che poteva essere motivo di aspettative e illusioni, in Victoriono generò la reazione opposta.

“Io ho risposto: ‘Guarda, non voglio mancarti di rispetto, ma non vado al Peñarol, perché sono troppo tifoso del Nacional. No’. E dieci giorni dopo è venuto e mi ha chiesto: ‘Vai al Nacional?’, e io ho risposto: ‘Sì, dove devo firmare?’”.

Tutti i suoi amici lo chiamano “Victorio” come soprannome. È stato anche chierichetto in chiesa per un breve periodo. “Sono cattolico al cento per cento. Esiste un essere supremo ed è lui che governa il mondo. Credo nei miracoli perché molte volte ciò che gli ho chiesto si è avverato”.

Abbiamo accennato prima all’addestratore di cani.

“Sono stato nell’esercito per tre anni, dal 1971 al 1974. Ero caporale di prima classe. Sono andato in Argentina e Brasile per gareggiare e abbiamo vinto diverse coppe. Il capo aveva un cane e mi ha lasciato andare alle gare. A quel tempo c’era la dittatura, io non partecipavo a nulla, addestravo i cani. Portavo il cane Bully a casa mia, la preparavo per le mostre, ma qualche volta uscivo di pattuglia con il cane perché era il periodo dei Tupamaros e il paese era molto difficile. Non ho mai fatto nulla di complicato. Se dovevamo arrestare qualcuno, lo portavamo in caserma e lo lascavamo lì. Era il nostro lavoro”.

Agli inizi Victorino non aveva la macchina e andava ad allenarsi in pullmam.

“Era periodo difficile ma molto bello. Andavo agli allenamenti della Nazionale e del Nacional in autobus con Flaco Rodolfo Rodríguez da Cerro sulla linea 185. La gente ci riconosceva e parlavamo  con loro. Quando ci allenavamo con la Nazionale, scendevamo allo Stadio Centenario, e quando lo facevamo al Nacional, alla fermata Liceo Dámaso Larrañaga e andavamo a piedi fino al Parque Central, perché ci allenavamo spesso lì”.

Come riportato dal presidente del Nacional Alejandro Balbi, la decisione di Victorino di togliersi la vita non è legata a problemi economici, versione che è circolata sui social network nelle ultime ore.

Victorino con la maglia del Cagliari

L’ex calciatore, 71 anni, si manteneva in forma con continuità, ha conservato lo stesso peso di quando giocava ed era in perfette condizioni fisiche. Tuttavia, negli ultimi tempi ha cominciato a soffrire di una malattia neurologica iniziale, cosa che lo ha impaurito.

Il 6 settembre aveva prenotato una tac cerebrale, poiché aveva notato che aveva “dimenticato alcune cose”, secondo l’audio di un parente inviato a un gruppo di ex giocatori del Nacional.

In famiglia c’era una storia che lo angosciava: suo padre aveva sofferto di demenza senile.

Victorino faceva inoltre parte fino allo scorso anno del gruppo “Nostalgicos del Fútbol”, movimento sociale avviato da Nelson Marcenaro per aiutare economicamente gli ex calciatori e che oggi, dopo la sua morte, è seguito da altri ex come Domingo “Bomba” Cáceres e Dámaso Clavijo, tra gli altri. “Aiutiamo tanti ex calciatori che guadagnavano poco a quei tempi, molto diverso da oggi”.

Mario Bocchio

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