Su Nicola D’Ottavio classe 1959 da Agnone, nel Molise, furono in molti a giurarci e a vederlo come un predestinato. Oggi che la fisicità ha preso il sopravvento sulla tecnica, uno come lui patirebbe il gioco fatto di movimenti come su una scacchiera.
Si giocava per passione e non solo per denaro. Il calcio degli anni ’80 e i primi anni ’90 era, almeno in Serie C, questo. Il profumo della sfera, rigorosamente in bianco e nero, aveva un sapore particolare. Quel cuoio che sentivi nelle narici anche di notte e che la tv ti faceva solo vivere per qualche istante, come una posa erotica e tu andavi a letto con quella sensazione.
Dovevi saper giocare a calcio per poter competere, non erano concesse deroghe. Si giocava con il libero staccato, rigorosamente a dieci metri dagli altri. Il fuorigioco ancora era un’opzione usata raramente. Vivacchiare non ti era concesso, dovevi dimostrare il meglio. E se non c’era: la panchina come unico sfogo. Oggi la fisicità ha preso il sopravvento sulla tecnica e uno come Nicola chissà quanto patirebbe il gioco fatto di movimenti come su una scacchiera. Lui che era abituato a rubare l’attimo e viveva per il gol.
Quasi duecento reti in carriera e non sentirle. In quegli anni i difensori sapevano fare il proprio mestiere e se volevano conservare il posto, quando la competizione era spietata, non ci andavano mica lisci se dovevano impedire alla punta avversaria di segnare. I tacchetti come cartolina da portare con sè per tutta la domenica notte e spesso il martedì ancora ti duoleva un po. Ma quando nasci bomber, hai sempre quel colpo, quel guizzo, quella magia che ti prepara all’esultanza.
Lui era abituato a rubare l’attimo e viveva per il gol . Era nato bomber fin da quando aveva 12 anni e giocava con un cartellino truccato in Terza categoria nell’Aquilonia Agnone.
A 16 anni stava disputando il torneo dei bar, quando fu notato e portato a Giulianova, in Serie C. Vince lo scudetto Allievi. E l’anno successivo, 1976-‘77, fece l’esordio in C in un Giulianova-Pisa 1-0, tiro al volo di sinistro e subito gol al Fadini.
Nel 1978 passa al Verona in Serie A, ma il campionato andò male e l’Hellas retrocesse e lui fece pochi gol di cui due in Coppa Italia. 76 partite al Verona poi il Brescia in B in cambio di Penzo, ma a novembre era ancora in Serie A, ad Avellino. Arrivò come il salvatore della patria, ma non andò benissimo. Poi la cadetteria a Campobasso e quella fu la svolta della sua carriera: 11 gol, mostra tutta la sua duttilità.
Da quel momento chi voleva essere promosso nella categoria superiore doveva per forza chiamare D’Ottavio. Cinque promozioni in carriera. A Taranto, a Barletta, due a Benevento e una a Castel di Sangro.