Quel maledetto mese alla Lazio
Apr 4, 2023

A differenza della scritta nera nella canzone di De Gregori, quella nelle vicinanze di Formello non dice che il movimento vincerà. O almeno, potrebbe pure dirlo perché la mano che l’ha vergata sicuramente la pensa in quel modo, quello de Le Storie di Ieri.

De Paola alla Lazio

“De Paola come Sollier: vattene a Mosca” campeggia sul muro, chi passa non può fare a meno di vederla. In molti si chiedono chi siano De Paola e Sollier, e perché Mosca. Semplice: Sollier è il calciatore che alzava il pugno senza tremare, portava il movimento operaio nel pallone e voleva battere la squadra di Mussolini. De Paola nella squadra di Mussolini, come la chiamava Sollier, ci gioca da poche settimane.

Generalizzare può essere l’arma degli idioti, ma quando sono gli idioti stessi a calarsi perfettamente nello stereotipo ecco che non ci si può far nulla. La squadra di Mussolini è la Lazio e anche se non tutti i laziali sono fascisti ai tifosi non va giù che quel De Paola abbia scelto di indossare la casacca biancoceleste. «Sono un calciatore comunista» ha detto pochi anni prima, e questo non va bene.

Oggi Luciano De Paola fa l’allenatore. Quando gli chiedono se sia ancora comunista lui alza le spalle, guarda da un’altra parte e per un attimo, un attimo soltanto, ricorda le smorfie che faceva Gaber in un’altra canzone passata alla storia. Qualcuno era comunista, ma era un errore di un giornalista, direbbe forse il cantautore milanese se solo potesse narrare le gesta di Luciano De Paola.

La grinta di De Paola con la maglia del Brescia

Arrivò alla Lazio che aveva già trentadue anni, Pulici e Lovati lo comprarono per tre miliardi di lire dopo un’annata strepitosa a Brescia in cui aveva incarnato lo spirito del comunismo e della lotta operaia in un centrocampo di sostanza alle spalle del genio di Gheorghe Hagi. Correva De Paola, lottava De Paola, si gettava nella mischia senza paura. Lo stesso coraggio che cinque anni prima lo ha portato a parlare della sua fede comunista in un’intervista.

Oggi De Paola vede il calcio e la politica come due cose differenti ma nel 1988 non la pensava così, ai tempi si era trasferito dal Francavilla al Cagliari di Claudio Ranieri e al Guerin Sportivo – forse con ingenuità – aprì il cuore.

A destra, Luciano De Paola festeggia la promozione in A del Brescia col tecnico Mircea Lucescu

Nel Cagliari

Nel 1993 Luciano De Paola ha i capelli lunghi e la faccia perfetta per fare il centrocampista. Un giorno d’agosto, prima della sua prima stagione in una grande squadra, gli dicono che qualcuno ha lasciato una scritta su un muro per lui. Nella Lazio di Gascoigne, Casiraghi, Signori, Doll, c’è gente che ha avuto un pensiero per il carneade De Paola. E però l’incitamento è a andarsene dalla Lazio, per colpa delle sue simpatie comuniste, perché generalizzare sarà pur sempre l’arma degli idioti, ma alla Lazio non si ha vita facile se per una volta, una soltanto, si è messo una croce sul simbolo del PCI. La tifoseria organizzata prende le distanze, sarà stato qualche cane sciolto.

Nell’Atalanta

Il rimpallo delle responsabilità è un inesorabile flipper dove la pallina non va mai in buca. De Paola non ha un inizio facile alla Lazio, il proseguimento della sua avventura si reggerà su basi tutt’altro che solide e dopo sole sei partite l’uomo che era stato pagato tre miliardi viene ceduto all’Atalanta. Il comunista lascia la Lazio, l’ambiente non lo ama checché ne dicano i benpensanti. Anni dopo sorgerà il dubbio: ma Luciano De Paola era veramente comunista?

Il dubbio lo instillerà lo stesso De Paola in una di quelle interviste agli ex fatte per riempire i giornalini da stadio o i siti specializzati. Lui non era comunista, all’epoca della Lazio non votava nemmeno da sette o otto anni, era un deluso ma non si sa deluso da cosa. Sembra quasi vergognarsi di quel periodo e dà la colpa al giornalista che riprese quell’articolo dal Guerin Sportivo, perché i pennivendoli, i giornalai, gli scribacchini devono per forza trovare un modo per vendere e dare in pasto al pubblico qualcosa di sensazionale. E per De Paola, stanti le sue caratteristiche sul terreno di gioco, il riferimento al comunismo veniva da sé.

Qui si apre il giallo: De Paola è un rinnegato? Forse, rimangono comunque affari suoi. Adesso parla mal volentieri di quel mese alla Lazio in cui la sua presunta posizione politica gli ha compromesso il grande salto.

Non è difficile immaginare che quel “De Paola come Sollier: vattene a Mosca” ogni tanto torni alla mente di De Paola, un po’ più complicato è capire se sono più i rimpianti per aver perso l’occasione calcistica della vita o aver dovuto tradire, almeno di facciata, i suoi ideali. De Paola però non è stato un Sollier, non è stato e non sarà un martire. Probabilmente passerà alla storia come uno che ha davvero avuto sfortuna con la stampa, tutto qua.

Fonte: Minuto Settantotto

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