Il dramma di Carapellese
Apr 2, 2023

Questo articolo è dedicato alla memoria di un campione del calcio che, a differenza di altri a cui abbiamo dedicato un nostro modesto pensiero, non ha lasciato un grande segno del suo sapere calcistico, niente della sua bravura di allenatore, nulla della pazienza e comprensione di chi sa che deve lavorare in un ambiente calcistico notoriamente difficile, ma stimolante, come la piazza di Torre Annunziata. Niente di tutto questo, anzi.

Però ci ha dato una grande lezione, e scoprirete come, sul modo di comportarsi di un uomo valoroso, costretto dal lavoro a stare lontano dalla propria famiglia, alle prese con un destino terribile che volle accanirsi contro i suoi cari, costringendolo a lottare una lotta coraggiosa ma, purtroppo, rivelatasi inutile.  

     

Leggendo diversi giornali dell’epoca vediamo che vennero riversati su Riccardo Carapellese, il nostro personaggio di oggi, frasi e parole non certo lusinghieri riferiti al suo breve passaggio al Savoia. Ma partiamo dall’inizio, per entrare subito nei fatti che accaddero in quegli anni, noti e meno noti.

Dunque, siamo nel 1972 e il Savoia era reduce da una retrocessione in serie D a seguito della vicenda dei fratelli Russo che abbandonarono la società nelle mani del volenteroso professore Vincenzo Pepe. Lo sfascio fu completo, la società inesistente, il solo mettere in campo una formazione con undici calciatori divenne una vera impresa. Il primo punto fermo su cui il professor Pepe puntò fu un allenatore dal nome prestigioso: Riccardo Carapellese, soprannominato “Carappa”, indimenticabile ala sinistra degli anni 40-50.

Carapellese in azione

Nato a Cerignola, in Puglia, nel 1922, Ebbe l’onore di vestire la maglia che fu del Grande Torino, succedendo al mitico Valentino Mazzola in veste di capitano della squadra, nel dopo Superga. Disputò ben 315 partite in con le maglie di Milan (106 presenze), Torino (98), Juventus (17) e Genoa (94) prima di chiudere la carriera al Catania in Serie B (con altre 30 presenze in due anni). Nello stesso periodo, degli etnei, fu anche allenatore. Conta anche 16 presenze in nazionale, con ben 10 reti segnate. “Carappa” era duenque molto amico di Valentino Mazzola, e quando lo squadrone granata finì la sua corsa inimitabile a Superga, la società torinista lo scelse come punto fermo per la ricostruzione.

Il curriculum da giocatore, come abbiamo potuto vedere, era stato invidiabile, ma il calcio era la sua vita e quindi, una volta appeso le scarpe al chiodo, aveva ancora scelto la panchina da allenatore per continuare a rivivere sogni di gloria.

In nazionale

Venne chiamato dal professor Pepe per iniziare a costruire il Savoia dopo il disastro della stagione 1971-‘72 appena conclusa e, nonostante l’assoluta mancanza di liquidità da parte della società che potesse garantire ed attrezzare una squadra decente, non si tirò indietro. Aveva lasciato a Milano un progetto ambizioso, quello della creazione della terza società calcistica milanese, la Sanyo, alle spalle di Milan e Inter. Il lavoro con i giovani era la sua prerogativa e, quindi, non poteva fargli paura la missione di cui era stato investito a Torre Annunziata.

Ma a fine agosto, improvvisamente, “Carappa” fugge via, sparisce da Torre Annunziata. Alcuni giornali parlano di una fuga dovuta al mancato percepimento dello stipendio, altri perché non erano arrivati alcuni giocatori che avrebbe espressamente richiesto, altri ancora avanzarono l’ipotesi del non ambientamento del tecnico in città. Secondo il nostro parere, niente di tutto ciò.

“Carappa” sapeva benissimo delle difficoltà economiche in cui si dibatteva la società e quindi era certo che avrebbe dovuto attendere tempi migliori prima di riscuotere. Anche per quanto riguarda l’ipotesi di giocatori che avrebbe richiesto e mai arrivati, siamo scettici, perché il suo credo calcistico era la formazione e la preparazione di giovani da far crescere e valorizzare. Sull’ambientamento, poi, non crediamo affatto anche perché proveniva da Genova, dove abitava ancora la sua famiglia, e Torre Annunziata con il suo mare e la sua bellezza gli ricordavano, in piccolo, la città ligure. E allora? Perchè scappò via?

Riccardo Carapellese su “Lo Sport Illustrato”, maggio 1956 (dall’archivio di Magliarossonera.it)

Per scoprirlo dobbiamo entrare non in un campo di calcio, quello che amava il “Carappa”, ma in quello della cronaca. Andiamo a Genova, in casa Carapellese, in via Bolzano 10. La moglie, signora Costanza, vive lì con il figlio Massimo e la figlia Daniela. Daniela Carapellese nasce nel 1953, e quando il padre arriva a Torre, a luglio del 1972, lei ha solo 19 anni. Daniela, bella ragazza, alta e slanciata, si era inserita nella “Genova bene”. Ricordiamo quegli anni in cui il mondo della droga iniziava a immettere nel paese ingenti quantitativi di stupefacente in generale, eroina in particolare, che venivano spacciati in tutte le città.Proprio in quei giorni del 1972 il primo allarme serio, dopo dei primi segnali arrivati già nel 1970: fu ricoverata per uso di sostanze stupefacenti.La tragedia era arrivata definitivamente in casa Carapellese. Daniela si drogava.

“Corriere dello Sport” 1971
La “Voce della Provincia”, 1972

L’arresto del fidanzato, figlio di un notissimo personaggio genovese, per possesso di droga, accese ancora di più riflettori, anche su di lei. All’inizio del gennaio del 1973 la polizia giunse in casa e venne arrestata a seguito di un’inchiesta giudiziaria per possesso e spaccio di eroina importata dall’Olanda, in associazione coi suoi amici della “Genova bene”. Subì un processo e venne condannata a tre anni e sei mesi di carcere, pena ridotta in appello. Nel 1976 ritornò di nuovo in carcere per furto in casa di conoscenti affinché, col ricavato, potesse comprarsi stupefacenti.  Con gli arresti domiciliari tentò il suicidio ingerendo barbiturici ma venne salvata appena in tempo.

Riccardo Carapellese e la figlia Daniela (archivio Magliarossonera.it)

Dieci anni di dramma e sofferenza, tra tentativi di riportarla alla normalità tra le comunità e ricoveri. Fino all’epilogo del 18 gennaio 1984 quando venne trovata dalla madre, priva di vita, nel proprio letto. Era morta a soli 31 anni. Nell’arco di questi anni “Carappa” sacrificò ogni risparmio che aveva, oltre a una gioielleria che aveva acquistato a Genova.

Aveva speso ogni goccia di amore pe quella figlia giovane e ribelle. Venne aiutato anche dal grande cuore generoso di Paolo Mantovani, il presidentissimo della Sampdoria. Una tragedia che sconvolse la famiglia di un grande campione di calcio e che venne pagata a durissimo prezzo.

Negli anni successivi alla morte della figlia, a Riccardo Carapellese fu concessa l’applicazione della “legge Bacchelli”, una sorta di vitalizio di ventiquattro milioni di lire annui destinati a personalità cadute in disgrazia che nel corso della loro storia seppero tenere alto il nome dell’Italia nei diversi settori in cui avevano operato e ottennero successo.

“Corriere della Sera”, anno 1973

Riccardo Carapellese morì venerdì 20 ottobre 1995 a Rapallo, afflitto di un male incurabile, assistito amorevolmente dalla moglie Costanza. Aveva 73 anni.

Funerali di Daniela Carapellese, la famiglia (“Domenica del Corriere”, 1984)

Solo di passaggio a Torre Annunziata, ma non per colpa sua…

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