Nel calcio poco televisivo e molto casereccio del dopoguerra la voglia di confrontarsi superando i confini era forte. Non a caso negli anni ’50 nacquero le coppe per club e nel 1960 esordì il campionato europeo per squadre nazionali. Anche la voglia di paragoni individuali faceva breccia: in questo, probabilmente, oltre al campanilismo molto pesava l’aura esotica che circondava i campioni di altri Paesi. Anni in cui non si sapeva tutto di tutti come adesso, e gli avversari li scoprivi sul campo, altrimenti te li potevano solo raccontare a spanne.
Tra i premi individuali spiccava la Scarpa d’oro, assegnata dal 1968 al miglior bomber dei campionati europei. Per vincerla “bastava” segnare più degli altri: solo dal 1996 è stata introdotto un coefficiente che, soppesando i vari campionati, pondera i bottini aiutando a dare un risultato realistico. Perché era capitato più volte che giocatori modesti facessero incetta di gol in campionati di dubbio valore tecnico. Per esempio, nel 1976 vinse il cipriota Kaiafas: era vera gloria? Ma il caso più eclatante, quello che mise la mosca al naso e convinse a cambiare sistema, si verificò nella stagione 1986-’87. Siccome il riconoscimento era ambito – garantendo popolarità, clamore mediatico e magari anche buoni contratti – si escogitavano varie gherminelle per accaparrarselo. Accadde spesso, ma una sola volta l’inganno fu acclarato. In quell’annata l’attaccante romeno Rodion Camataru, che la Dinamo Bucarest aveva appena acquistato dall’Universitatea Craiova, firmò addirittura 44 gol, 21 dei quali nelle ultime 7 partite di serie A. Proprio questo dettaglio incuriosì gli osservatori neutrali, che vollero vederci chiaro: era noto che il campionato romeno non brillasse per trasparenza, era ancor più risaputo che la famiglia del dittatore Ceausescu facesse del pallone una grancassa per il consenso popolare.
La situazione era strana: le storiche rivali Steaua (squadra dell’esercito) e Dinamo (espressione del ministero dell’Interno e della temuta Securitate, la sanguinaria polizia segreta) si spartivano scudetti e prebende, e in virtù di un accordo sottobanco l’esito degli scontri diretti veniva deciso prima, a tavolino, in base alle esigenze e alle necessità di ciascun club, che l’altro puntualmente assecondava. Una truffa, a dirla tutta. Che si ripeté nel finale del campionato 1986-’87: con la Steaua – che era presieduta da Valentin, uno dei figli del dittatore, e aveva appena vinto la prima Coppa Campioni di una formazione dell’Est – in fuga, lanciata verso l’ennesimo titolo, ai burattinai venne in mente di “ricompensare” la Dinamo con la Scarpa d’oro al suo centravanti, Rodion Camataru.
Le ultime gare furono palesemente pilotate: anche quelle precedenti, ovvio, ma non così platealmente. Compagni e avversari vennero istruiti a dovere: il punteggio non importava, vincere o perdere nemmeno, ciò che contava – come all’oratorio – era far segnare il più possibile Camataru.
Che tra il 24 maggio e il 25 giugno, nell’ultimo mese di campionato, tenne questo incredibile ruolino: un gol (su rigore all’88’) all’Arges Pitesti; 3 (nei primi 38′) al Corvinul; altri 3 (doppietta nei primi 13′ più un rigore) all’Otelul; 2 (nei primi 38′) al Flacara Moreni; 4 (tripletta nei soliti primi 38′, rigore nel finale) allo Sportul; addirittura 5 allo Jiul Petrosani; 3 (nei primi 56′) all’ultima giornata, nel derby “minore” col Rapid. Notare che di queste sette gare la Dinamo ne vinse solo due: quando pareggiò o fu sconfitta, tutti i suoi gol furono firmati dal cannoniere designato. In altre parole, giocavano tutti per lui: compagni, rivali e probabilmente anche arbitri. All’insaputa dell’interessato? C’è chi ancora oggi sostiene di sì.
Camataru vinse la classifica marcatori doppiando il più immediato (si fa per dire) inseguitore, Victor Piturca della Steaua, rimasto fermo a 22 centri. Gli organizzatori di France Football lo gratificarono della Scarpa d’oro: poi indagarono meglio e capirono lo scandalo che stava sotto. Il secondo, l’austriaco Toni Polster, di gol ne aveva fatti 39 con l’Austria Vienna, tutti certificati, benché non proprio figli di un campionato di prima fascia: nelle stesse ultime 7 partite ne firmò soltanto 8, di cui 4 tutti insieme nel match col Voest Linz, ma la sua squadra in quel periodo ne mise a segno ben 16, quindi era difficile sostenere la tesi della pastetta. Nella volata per il trofeo, annusata la fregatura, Polster disse semplicemente che, chiunque prevalesse, non sarebbe andato alla premiazione a Montecarlo.
Rodion Camataru – comunque ottimo giocatore, titolare fisso nella nazionale di Romania, che proprio in quegli anni si faceva valere dopo un lungo anonimato – naturalmente smentì tutto: “Ho segnato quelle reti senza che nessuno si tirasse indietro per lasciarmele fare. Non sono mai stato ufficialmente accusato di nulla, né mi è stato chiesto di restituire il trofeo. E poi, perché nessuno indaga sui 39 gol di Polster?”. Però, anche oggi sul pervasivo YouTube, non esiste alcun filmato che testimoni quell’impresa: strano, per un orgoglio del regime, della società, dei tifosi e del Paese.
Qualcosa di simile avvenne due stagioni più tardi, nel 1989: protagonista ancora un romeno, Dorin Mateut, che giocava nella Steaua e per di più era un centrocampista. Ne realizzò 43, ma chi di dovere fu meno sguaiato nel marchingegno: pure questo premio fu accompagnato da legittime perplessità, ma senza le prove di una gigantesca combine. Caduta la dittatura emerse la verità, almeno sul caso Camataru: sì, quella volta si fece letteralmente di tutto per fargli vincere la Scarpa d’oro. E gli fu formalmente revocata.
Anton Polster, recentemente, è tornato sull’episodio: “Mi accorsi subito che stava succedendo qualcosa di losco: impossibile segnare con tanta facilità in un calcio valido come quello romeno. Feci bene a saltare il gala di Montecarlo: anni dopo mi hanno dato una Scarpa d’oro Adidas che per me vale quella scippata nell’87. I miei 39 gol? Avevo l’obiettivo di migliorarmi ogni anno: nelle stagioni precedenti ne avevo fatti 24 e 33, faceva parte della mia crescita tecnica e di esperienza. Mi spiace per Camataru: era un grande goleador, la sua carriera non aveva bisogno di un inganno simile”.
Stefano Affolti