Claudio Di Pucchio, l’anticipazione di Pirlo
Ago 16, 2022

Claudio Di Pucchio. “Era l’anno 1952, noi bambini giocavamo per strada. Non era come adesso, che ci sono tante auto, e soprattutto non c’erano i pericoli di oggi. Quindi, le nostre prime partite le facevamo proprio per strada. A dieci anni iniziai a frequentare l’Azione Cattolica ‘Giosuè Borsi’, dove si trova il Torrione con Don Dino. Era importante frequentare l’Azione Cattolica, in quanto dava a noi giovani dei principi e volontà al sacrificio. Sono stato là per nove anni: dal 1955 al 1963. Nell’occasione ho conosciuto più di seicento giovani. Nella ‘Giosuè Borsi’ si facevano dei tornei interni di calcio: i miei primi tornei. I più bravi venivano selezionati per giocare quelli diocesani. Il primo torneo lo vincemmo alla grande e già allora mi distinsi tra i giovani. Nell’anno 1959 arrivò al Sora Calcio un certo Giuseppe Gricoli, che mi vide giocare e mi portò con lui nella selezione juniores del Sora del ’60. L’anno successivo debuttai in prima squadra con il ruolo di centrocampista”.

Claudio Di Pucchio nella Lazio

“In quegli anni poi fui selezionato per la Rappresentativa laziale. Al termine del campionato 1963-‘64 vincemmo il titolo nazionale. Tantissimi sacrifici, perché oltre a giocare dovevo studiare. Ricordo che andavo con l’autobus fino a Cinecittà per fare gli allenamenti e nel frattempo stavo sui libri. Il mio allenatore nel Sora fu Luigi Giuliano, detto ‘Gigi’, giocatore di serie A del Torino e della Roma. Lui mi portava a Roma il martedì per allenarmi con la Rappresentativa laziale e poi il giovedì tornavo con il pullman. Ricordo ancora dove lo aspettavo: via Marsala. Nel 1965 la società del Sora mi voleva cedere alla Lazio in serie A, ma decisi di accasarmi all’Avellino in serie C nazionale”.

 “Dato che il mio fisico era mingherlino, l’Avellino mi disse esplicitamente che avrei dovuto fare una preparazione a parte con il professor Trulli. Io feci credere alla società che ero d’accordo, ma non ci andai, per quanto era forte il desiderio di ritornare a Sora dai miei genitori e amici. Avevo poco più di 19 anni. L’Avellino mi fece un servizietto: mi cedette al Chieti, sempre in serie C, dove realizzai due goal. Però, nell’anno 1966-67 approdai alla Lazio in serie A. Non era come ora che ci sono le panchine, in quegli anni si giocava davvero in undici contro undici. Riscaldai per tanto tempo il mio posto in tribuna. Il mio debutto era previsto a novembre contro il Napoli, al ‘San Paolo’. Però, il mio allenatore, Mannocci, prima della gara, quando diede i nomi dei titolari, ne diede dieci per riservarsi quello dell’undicesimo, il mio… pensavo. Una volta allo stadio, quando vide che c’erano 60.000 spettatori, tornò negli spogliatoi, mi chiamò in disparte e mi disse che non sarebbe stata questa la partita giusta per l’esordio in A.

Quindi mi toccò di nuovo la tribuna, con la promessa però che il mercoledì mi avrebbe fatto debuttare a Roma, nella Mitropa Cup contro la Stella Rossa di Belgrado. La Lazio perse a Napoli 1 a 0, goal di Sivori. Tornati a Roma, l’allenatore mi disse di ritornare il lunedì pomeriggio per preparare la partita con la Stella Rossa. Il giorno seguente andai al bar a fare colazione e appresi dal ‘Corriere dello Sport’ la notizia: ‘Mannocci silurato’. Non potete capire il mio stato d’animo alla lettura del titolo. Significava riniziare tutto daccapo. Infatti, ci fu un rimpasto nella squadra. Io continuavo ad allenarmi e mi sentivo pronto, ma il mio debutto arrivò all’ultima partita di campionato Juventus-Lazio. Partita decisiva per entrambi: la Juve doveva vincere per forza per aggiudicarsi lo scudetto, noi dovevamo vincere per rimanere in serie A. Mi ricordo lo stadio strapieno. Il primo tempo finì 0 a 0. Nel secondo tempo sentimmo un boato dal pubblico: l’inseguitrice della Juve, l’Inter, stava perdendo.

Questo innescò nei giocatori della Juve ancora più grinta, rabbia, ci misero sotto e in poco tempo segnarono due gol. Ormai eravamo retrocessi. L’arbitro però diede un rigore a nostro favore. Nessuno dei miei compagni lo voleva tirare. Avevano paura di sbagliare. Già il fatto della retrocessione, se poi ci si metteva un rigore sbagliato. Così dissi a tutti che lo avrei tirato io. In porta c’era un certo Anzolin. Segnai! Ma non fu quella la gioia totale: la più grande soddisfazione fu leggere le pagelle dei giocatori. Un certo Claudio Di Pucchio di Sora aveva ricevuto dal ‘Corriere dello Sport’ un bell’otto e mezzo. Poi commisi degli errori a livello comportamentale, che si fanno da ragazzo, e la società mi diede in prestito alla Massese in C. Feci un campionato eccezionale, tant’è vero che la Lazio l’anno successivo mi riprese. Ma nonostante la stima che l’allenatore aveva per me, non riuscivo a trovare spazio. E così ritornai a calcare i campi di C”.

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