C’era un tempo in cui la domenica ritornò ad essere attesa con quell’entusiasmo che neanche la pasta di mamma fatta in casa e l’odore del ragù di primo mattino riuscivano a sopraffare. Erano le domeniche della stagione 1999-2000, vissute con un tale carico di adrenalina che non si respirava da prima che nascessi, dai tempi del grande Catanzaro di Palanca prima e Bivi poi, di Claudio Ranieri e Massimo Mauro, di Carletto Mazzone e Tarcisio Burgnich, il Catanzaro che inorgoglì una regione intera, da sempre ai margini del panorama nazionale che trovò lustro e riscatto nel calcio di quegli anni indimenticati.
Quasi 20 anni dopo, mentre la Calabria calcistica annaspava nelle serie minori, una squadra militante in serie B, con limitati mezzi economici ma l’ambizione delle grandi sqaudre, riuscì nell’impresa di riportare quel popolo in serie A. Era la Reggina guidata da Elio Gustinetti prima e Bruno Bolchi poi, la Reggina di Fabio Artico e Davide Possanzini, di Simone Giacchetta e Tonino Martino, era la Reggina del presidente Foti, che il 13 giugno del 1999, al termine di un Torino – Reggina terminata con la vittoria amaranto per 2 a 1, portò il popolo reggino e calabrese in paradiso. Dopo 85 anni di storia la Reggina è per la prima volta in serie A.
Preparare una squadra competitiva con un budget non proprio cospicuo è il mestiere di Lele Martino, ds della Reggina che negli anni portò a Reggio Calabria calciatori sconosciuti poi diventati campioni. Dare a questi sconosciuti la fiducia di poter diventare una squadra prima e dei campioni poi, è il compito di Mister Franco Colomba, allenatore voglioso di rilanciarsi dopo qualche mese piuttosto sfortunato a Vicenza in serie A.
E per chi non credesse che i sogni piu belli del ds Martino e di tutti i tifosi reggini e calabresi fossero premonitori, nell’estate del 1999 sbarcano in riva allo Stretto i vari Mohamed Kallon, Roberto Baronio ed Andrea Pirlo, gente che oggi non ha bisogno di presentazioni, ma che allora sì, ne aveva bisogno eccome. In difesa ci si affida all’esperienza seppur nelle serie minori del capitano Simone “Jack” Giacchetta, alla vigoria di Lorenzo Stovini e di un esordiente Bruno Cirillo. Il centrocampo si regge sulle geometrie di un giovanissimo Baronio e sulla fantasia di quel Pirlo ancora timido trequartista, prima ancora della sua trasformazione a fenomenale regista. Ma a portar acqua c’erano Ezio Brevi, insuperabile nei contrasti e sulle palle alte, Andrea Bernini, corridore e jolly instancabile, e Nenad Pralija, sconosciuto croato che riuscì a dir la sua nella costruzione del gioco reggino di quell’anno. Non possiamo infine dimenticare due “figli del Sant’Agata” prodotti del vivaio reggino: Giovanni Morabito, instancabile stantuffo di sinistra, vera e propria rivelazione per gli addetti ai lavori, e Ciccio Cozza, il fantasista per eccellenza già decisivo nella seconda parte di stagione in serie B ma frenato dagli infortuni alla prima stagione in serie A, seppur già predestinato a diventare il giocatore simbolo della Reggina che verrà.
Ma forse, almeno a mio modesto parere, il simbolo in campo di quel miracolo ultraterreno si chiama Davide Possanzini,funambolica seconda punta, fantasista, italiano all’anagrafe ma brasiliano di fama, alla sua prima stagione in serie A, che con le sue giocate infiammava quel covo di assatanati tifosi amaranto e di quella curva che negli anni venne piu volte celebrata come la curva piu bella d’Italia. Chi non ricorda quell’Italia-Portogallo in cui i tifosi calabresi cantando l’inno seppellirono il suono degli strumenti della banda musicale e della voce in cabina del grande Bruno Pizzul?
Già, il il boato del Granillo, l’urlo di Tonino Raffa e del suo “intervengo da Reggio Calabria dove la Reggina e’ passata in vantaggio” che sapeva di miracolo. I salti mortali che come tutti i ragazzini della mia età facevo per riuscire a vedere uno spezzone di partita, anchesoltanto in televisione, magari a 90’ minuto, invidiando chi in quelle prime partite in serie A riusciva ad andare al Granillo, tripudio di colore e calore, di speranze ed emozioni, prima ancora che di calcio. Ricordo l’esordio assoluto a Torino contro quei giganti amici di Del Piero e Zidane che regalò il primo punto in A, e ricordo l’esordio in casa contro la Fiorentina di alcuni signori che si chiamavano Rui Costa, Chiesa e Batistuta. La mia mente si sofferma al momento del gol di Gustavo Enrique Reggi, spilungone argentino sconosciuto ai piu che approfittò di un errore di un tale Francesco Toldo ed insaccò a porta vuota, con la gioia dello stadio che entrò persino a casa mia, ed a casa di tutti i calabresi orgogliosi piu che mai di avere, molti come me per la prima volta, la loro squadra e la loro terra nell’elite di qualcosa, seppur solo calcistica.
Pensate che il miracolo si sia consumato qui? Beh vi sbagliate, o forse non ricordate la Reggina di De Canio, o ancor più quella di Mazzarri, ma questa è un’altra storia, un’altra bellissima storia, che merita di essere raccontata attraverso un nuovo capitolo dei nostri ricordi.
Gianluca Gullo