Se la memoria corre al “Celeste” c’è un ricordo che, più di altri, balza agli occhi: quei palazzi intorno, con vista stadio, e le balconate gonfie di gente a godersi lo spettacolo comodamente da casa, dopo pranzo, a sorseggiare il caffè, come si fa oggi guardando la partita in tivù (e senza abbonamento, altri tempi…). E il pomeriggio del 25 maggio 1986 la povera moka rischiò seriamente la fusione, perché “nuovi” amici e cugini dei cugini ricordarono di avere un parente con lo sky box sul campo, proprio quel giorno: Messina-Cosenza valeva la promozione in serie B, attesa da 18 anni di avvilente purgatorio, impossibile trovare il biglietto fortunato, last minute. Il “catino infernale” – così chiamato per l’atavica difficoltà degli avversari a uscirne “vivi” – ribolliva di 30mila tifosi indemoniati, gli spalti interamente colorati di giallorosso. Dai “palchi” delle palazzine sarà sembrato di assistere all’imperdibile “girata” della Vara, momento clou della processione per la festa dedicata alla Madonna Assunta, il 15 di agosto.
Totò Schillaci con il Messina.
Franco Scoglio da Lipari. Santo protettore di quella squadra era Franco Scoglio, adorato dai messinesi e seguito fedelmente dai suoi ragazzi che, dicevano, per lui si sarebbero buttati nel fuoco. Venditelli, Romolo Rossi, Bellopede, Diodicibus… Il tecnico di Lipari li chiamava affettuosamente “i miei bastardi”, perfetti sconosciuti che con la maglia bianco-scudata arriveranno ad accarezzare la serie A. Sì, il calcio del Professore è tutt’altro che “ad minchiam”, come l’isolano amava definire le conversazioni sconclusionate. Assertore delle “palle inattive” (in tempi non sospetti), era ossessionato dalla tattica e pretendeva rigore, soprattutto a tavola (patate con la buccia, l’odiato minestrone dopo le partite…). “Poi, fuori da qui, un giocatore può fare quello che vuole, salutarmi, mandarmi a quel paese, andare con una donna, cinque, dodici. Tanto io lo aspetto sul rettangolo di gioco: e lì non ne pretendo solo l’anima, gli tiro via anche i c…”.
Luciano Orati.
Un dolcissimo ricordo. Raccontava, Scoglio, di essere nato poverissimo, cresciuto a pane e cipolle, di aver dormito su un letto di pietra pomice, ricoperto di paglia. Cominciò a insegnare educazione fisica in Calabria (si laureerà in pedagogia, da lì il “Prof”, ma a lui non piaceva sentirselo dire), quindi le prime panchine e nell’estate del 1984 il ritorno su quella del Messina appena acquistato da Salvatore “Turi” Massimino. Smaltita la delusione del terzo posto al primo tentativo (dietro Catanzaro e Palermo), i giallorossi partono alla grande già in Coppa Italia, battendo la Roma di Bruno Conti al Celeste (Antonello Venditti era ospite di una delle terrazze, un must!), poi dominando il campionato fino all’esplosione della vittoria sul Cosenza (3-2) con una festa che a Messina ancora tutti ricordano con le lacrime agli occhi. L’anno dopo, come detto, i siciliani saranno protagonisti anche in B, e se ci avessero creduto un po’ di più… Scoglio torna a solcare i mari, Genova (cui darà la vita, in campo e fuori, nel 2005), e l’amata Africa. Maritandosi con una bellissima tedesca, Brigitte, che aveva conosciuto proprio alle Eolie, ragazzini. Dolcissimi…
Scoglio e Schillaci anni dopo.
Gli occhi di Totò. Essì, perché “dolcissimo” era l’aggettivo che Scoglio utilizzava per i calciatori che gli stavano più a cuore, e Salvatore Schillaci era uno di questi.
Il “picciotto ” palermitano è l’uomo di punta della squadra, e farà la storia del Messina. Sette campionati, 256 presenze e 61 gol. Non segna contro il Cosenza, ma aveva già la testa ai Mondiali… Il 31 maggio del 1986 la Nazionale è in Messico, ‘u sicilianuzzu di San Giovanni Apostolo avrà ancora il tempo di sognarli, aiutato anche da Zeman (23 reti e capocannoniere dei cadetti ’88-’89); ecco la Juve e via… goleador di Italia ’90.
E ancora via, un “siculo-samurai”, a conquistare il Giappone. Perché, come diceva Franco Scoglio, “solo chi è nato in un’isola può sapere cosa significa il gusto della libertà e dell’esplorazione, la voglia di partire”. A Messina ci sono abituati, c’è sempre un traghetto a tentarli. E una madonnina a proteggerli.
Alfredo Coralli