Il Palmeiras mi è profondamente caro. Fondata da immigrati italiani a San Paolo con il nome di Palestra Italia, omaggio alla Patria amata, ma anche al Paese del Futuro, divenne Palmeiras nel 1942, quando il Brasile entrò nel secondo conflitto mondiale. I nomi italiani vennero cancellati e così anche la adorata, vecchia Palestra. Ma il club continuò a vincere e a rimanere un fondamentale punto di riferimento per la nostra comunità.
Fondata da immigrati italiani a San Paolo con il nome di Palestra Italia, omaggio alla Patria amata e agognata, ma anche al Paese del Futuro, divenne Palmeiras nel 1942, quando il Brasile entrò nel secondo conflitto mondiale al fianco degli Stati Uniti contro il nazismo e il fascismo.
I nomi italiani vennero cancellati e, così, anche la adorata, vecchia Palestra. Ma il club continuò a vincere e a rimanere un fondamentale punto di riferimento per la nostra comunità.
Il Palmeiras mi è profondamente caro: nella mia infanzia brasiliana rappresentava l’inizio della magia e del sogno, la sfida con mio fratello maggiore Lamberto che tifava per il Corinthians, il rivale storico, la voglia di correre dietro un pallone; i calciatori, quei calciatori con la maglia verde e la P bianca sul petto, avevano la stessa forza epica, evocativa ed emotiva degli eroi salgariani o dei personaggi della televisione, come Roy Rogers, il cowboy con la chitarra.
Andavo allo stadio con mio padre e davvero gli spalti, come avrebbe poetato Maurizio Cucchi, erano la quiete e l’avventura. Il mio primo idolo fu un centravanti dai capelli rossicci, la faccia buffa e sveglia, la capacità di realizzare gol memorabili che tutti chiamavano “Mazzola”, per la sua straordinaria somiglianza con Valentino, il capitano del grande Torino scomparso il 4 maggio del 1949 nel rogo di Superga: José Altafini, oggi uno dei miei migliori amici.
Continuo ancora adesso a seguire, con emozione, la mia squadra: in tv, sui giornali, nei vari siti web dedicati al mio club; ogni primo settembre l’ex presidente Affonso Della Monica Neto chiama mio figlio Santiago per augurargli buon compleanno; sono anche stato nominato, per un certo periodo, dal dirigente Marcio Papa, “Console Unico Onorario del Palmeiras in Europa”; ho una maglietta del Verdao con la firma di Ademir da Guia, eletto miglior giocatore di sempre; sto rileggendo, in portoghese, “Palmeiras Campeao do Mundo 1951“ di Fernando Razzo Galuppo (Maquinaria editora) e, in italiano, “Palestra Italia, Quando gli italiani insegnavano il calcio in Brasile“, di Vincenzo Fratta (Ultra Sport).
Soprattutto mi è dolce recuperare quel tempo, quei giorni, quelle stagioni: quando, bambino, tutto era meraviglia e bellezza, stupore e avvenire. Quando tutti erano ancora vivi, e le carezze dei nonni mi facevano addormentare.
Quando una palla e un aquilone bastavano per essere felici e la domenica attendevo il risultato del mio Palmeiras come una buona novella.
Darwin Pastorin