
Quando si racconta il calcio femminile italiano, inevitabilmente il filo si intreccia attorno al nome di Sara Gama. Difensore, leader, voce fuori dal coro: quello che ha seminato in campo e fuori ha contribuito a trasformare per sempre il volto di uno sport ancora in cerca di totale riconoscimento.
Nata a Trieste il 27 marzo 1989, Sara muove i primi passi nel calcio agonistico con la maglia del Tavagnacco, squadra con cui debutta in Serie A nel 2006. Quegli anni (2006‑2009) sono quelli dell’apprendistato: 52 presenze, 4 gol, ma soprattutto la consapevolezza di poter fare la differenza aggrappandosi alla sostanza più che all’apparenza.


Sara Gama nel Tavagnacco (a sinistra) e nel Paris Saint-Germain
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Nel 2009 approda al Chiasiellis, dove consolida la sua fama di “muro” implacabile: altre 50 presenze, 2 reti, e i primi passi verso quell’equilibrio tra grinta e intelligenza tattica che diventerà il suo marchio di fabbrica
.Nel 2010, breve esperienza in prestito con i Pali Blues negli Stati Uniti (3 presenze), un assaggio di calcio d’Oltreoceano che le apre la mente su potenzialità ancora inespresse del movimento femminile. Tornata in Europa, dopo Brescia nel 2013 firma per il Paris Saint‑Germain: 11 presenze in Première Ligue, il confronto con una realtà professionistica già avanzata, l’eco delle Parigine che l’accompagnerà nei mesi a venire

Il ritorno al Brescia nell’estate 2015 segna l’inizio della sua prima grande cavalcata di trofei: in maglia biancazzurra vince Serie A (2015‑‘16), Coppa Italia (2015‑‘16) e due Supercoppe Italiane (2015, 2016). È lì che Sara diventa capitana, costruendo un’identità fatta di autorevolezza silenziosa, di piedi educati e cervello sempre acceso.
Nel 2017 la chiamata della neonata Juventus Women: un progetto ambizioso, un gruppo di giovani pronte a rompere gli schemi. Sarà proprio Gama a guidarle, stagione dopo stagione, verso un dominio senza precedenti.

6 Scudetti, 4 Coppe Italia, 3 Supercoppe italiane consecutive: un bottino che parla da solo. La sua è stata una striscia che ha cambiato le aspettative intorno al calcio femminile, imponendone la visione di un prodotto sportivo competitivo e spettacolare.
Esordisce in Nazionale maggiore il 17 giugno 2006 a Mariupol, in Ucraina: saranno 139 presenze, 7 gol, quattro Europei (2009, 2013, 2017, 2022) e una Coppa del Mondo (2019) vissuti da protagonista, più il titolo nell’Europeo Under 19 del 2008.
Portabandiera di quell’Italia che torna a credere in sé stessa, Sara ha incarnato la forza di chi non aspetta il riconoscimento, ma lo costruisce con le proprie mani: sul campo e nelle stanze dove si decidono i destini dello sport.
L’eredità multifaceted. Ciò che Gama lascia non si misura soltanto in trofei: è la ferma coscienza che una calciatrice può – e deve – essere anche intellettuale, cittadina, attivista. Laureata in Lingue, consigliera federale FIGC dal 2018, vicepresidente AIC dal 2020, membro della Commissione nazionale Atleti del CONI dal 2021, ha tracciato col proprio esempio una rotta oltre il rettangolo verde.
Quando una generazione trova in una figura guida, gentile e decisa, uno specchio in cui riconoscersi, il passo successivo diventa naturale. Giocatrici in rampa di lancio, dirigenti pronte a innovare, tifosi che si avvicinano con curiosità: il vivaio del calcio femminile italiano è oggi più solido, più ambizioso, più nostro. E tutto questo porta la firma di chi, per prima, ha saputo alzare lo sguardo e indicare un orizzonte.
Sara Gama non chiede di essere imitata, ma ascoltata: perché nella storia che ha scritto c’è tutto ciò che serve per credere che il calcio femminile italiano abbia infine trovato la propria voce. E con lei, la strada che abbiamo davanti brilla di nuove promesse.

C’era sempre qualcosa di inedito, di giusto, nel modo in cui Sara Gama entrava in campo. La fascia al braccio, lo sguardo acuto di chi sa che ogni gesto ha un valore, ogni parola un peso. Capitano della Juventus e della Nazionale, ma ancor prima testimone di una lotta più grande: quella per il riconoscimento, la dignità, l’identità del calcio femminile in Italia.
Non era solo una leader tecnica, ma una coscienza. Una che ha saputo dire “no” quando serviva, come quando si è rifiutata di essere ridotta a una figurina in una campagna pubblicitaria dal retrogusto decorativo. Una che ha portato le compagne a discutere non solo di modulo, ma di diritti, futuro, spazio.
L’eredità che lascia Sara Gama non è fatta solo di tackle e recuperi, ma di presenze. Di quelle presenze che fanno scuola, anche quando non parlano. In uno spogliatoio, sui social, in un’aula universitaria
Ha incarnato un modello nuovo, multidimensionale, consapevole: sportiva e intellettuale, italiana e figlia dell’Africa, giocatrice e attivista. Con lei, molte ragazze hanno capito che non bisognava chiedere il permesso per esistere. Bastava esserci. Bastava essere brave. E testarde.
Una rivoluzione gentile. Sara non ha mai avuto bisogno di alzare la voce. Le bastava lo sguardo, la scelta delle parole. Ha rappresentato un’Italia diversa: plurale, matura, non nostalgica ma curiosa. La sua carriera, dagli esordi al Tavagnacco fino ai trionfi con la Juventus e alla maglia azzurra indossata con orgoglio, è stata un viaggio di riscatto e responsabilità. Ma non solitario. Perché ha sempre avuto chi la seguiva. Anche in silenzio. Anche da lontano.
Mario Bocchio