La Milano degli anni Ottanta. Paninari, piumini e Duran Duran. I ragazzi cuccano, le ragazze si chiamano squinzie. Nelle giovanili dell’Inter spicca un adolescente venuto dalle Marche, Massimo Ciocci.
Ciocci nel Cesena
Segna caterve di gol, ma non ha troppa voglia di andare a scuola. Per evitare che si trastulli nei bar attorno a San Babila, i dirigenti lo vogliono ogni mattina in sede.
“Mi mettevano in mano pacchi e buste da consegnare in giro per la città. Non potevo usare il motorino, troppo rischioso per le gambe. Mi muovevo in tram o metropolitana”. Nasce la storiella di Ciocci Pony Express del Gol. I pony rappresentano una delle novità dell’epoca. Giovani in scooter, postini privati. Jerry Calà li renderà popolari con un film.
Due decenni più tardi tanta vita è passata dalle parti di Ciocci. La carriera ha mantenuto meno di quanto promettesse, ma sono cose che succedono. “Ho avuto la chance della grande squadra, l’Inter, e non l’ho sfruttata al meglio. Difficile che a Milano ti ridiano la seconda possibilità. All’Inter devo tanto lo stesso, non porto rancori né altro”.
I problemi sono più grossi: “Nel 2004 non stavo bene, pensavo che fosse roba da poco, ho scoperto di avere un tumore all’intestino. Operazione all’ospedale di Civitanova e sette cicli di chemioterapia. Ho avuto paura, ho riflettuto”.
Ciocci chiede rispetto: “Non fatemi passare per l’ex calciatore sfigato che invoca misericordia e attenzione. Non è così. Mi sono separato, ma ho un figlio di 11 anni e una nuova compagna, Pamela. La mia vita è piena”.
Quando lesse la diagnosi, Ciocci fece una domanda ai medici: “Volevo sapere se potesse esserci una relazione tra il tumore e la mia attività sportiva. Risposta negativa, certe malattie possono colpire tutti”. A Torino c’è un magistrato, Raffaele Guariniello, che indaga da anni sulle possibili connessioni tra doping e/o abuso di farmaci e le gravi patologie che si sono abbattute su tanti calciatori professionisti. “Io però non mi sono mai dopato. Non consapevolmente, voglio dire, perché su certe cose che ci davano io non so… Eravamo giovani, ci fidavamo”.
Ciocci era un centravanti veloce e opportunista. All’Inter vinse il Viareggio dell’86.
“Mi soprannominarono il piccolo Buitre (avvoltoio in spagnolo), perché somigliavo a Butragueño del Real. Trapattoni credeva in me, andai in prestito al Cesena, ritornai, trovai Orrico e ciao”. Poi gli infortuni: 4 operazioni alle ginocchia, l’addio al grande calcio. Ciocci e gli ospedali, si vede che era destino, ma l’importante è raccontarla.