Giocava coi piedi, dicono. Mica perché fosse scarso. Ma perché interpretò il ruolo del portiere così come lo voleva Zeman, praticamente un libero con i guanti. Franco Mancini è (ancora oggi) un’icona di una delle più belle epopee del calcio di provincia italiano, che partì da Foggia per giungere, di miracolo in miracolo, alle porte dell’Olimpo della Coppa Uefa.
Lucano, di pochissime parole al punto che nello spogliatoio lo chiamavano Orso. Come racconta l’ex diesse foggiano Beppe Pavone, faceva il panettiere a Matera prima della chiamata del Foggia.
Oltre al pallone, una grandissima passione: il reggae, la musica di Bob Marley e la sua adoratissima batteria.
In campo Mancini suona, forse, anche meglio. La sua forza, oltre alla preparazione atletica, fu l’eccellente senso tattico. Praticamente un gatto che seguiva la partita azione per azione, minuto per minuto. Non era mica scontato, tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90. Zemanlandia era ancora una speranza e Mancini mise in discussione tutto quanto era chiesto al portiere per rivoluzionare il ruolo più solitario del futbol. E fare, del solista decisivo, un componente – importantissimo – di un collettivo.
Se Ciccio Baiano e Beppe Signori erano i terminali offensivi, lui era la garanzia tra i pali. Il campionato di B 1990-’91 li consegnò all’attenzione dei media, gli anni della A li imposero allo stupore di tifosi e giornalisti.
Centoventidue presenze in rossonero (solo in massima serie, perché il conto complessivo sfonda le 230) hanno consacrato Francesco Mancini nel cuore dei tifosi foggiani che a lui hanno intitolato la curva Nord di quel catino infuocato che è lo stadio Pino Zaccheria.
Foggia nel cuore e il verbo di Zeman, che lo teneva per figlioccio, nella mente: a Pescara, dopo il ritorno da “tecnico” nelle Puglie, lo seguì come preparatore atletico dei portieri.
All’Adriatico, l’ultimo grande miracolo del Boemo che riportò il Delfino in A e lanciò nel calcio che conta i talenti cristallini di gente come Marco Verratti, Lorenzo Insigne e Ciro Immobile. Ma lui, Franco Mancini, non fece in tempo a gioire: morì in casa sua, a Pescara, stroncato da un infarto a soli 43 anni.
Giovanni Vasso