Il 30 novembre non è mai stato un giorno festivo in Jugoslavia, tranne che nel 1977. Il maresciallo Tito, presidente della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia dal 1953 al 1980, concesse all’intero paese un giorno libero per una partita di calcio. Si trattava della visita della squadra spagnola a Belgrado e in palio c’era un posto per i Mondiali in Argentina. Il vantaggio per gli spagnoli fu che dei tre risultati, due sarebbero stati sufficienti per qualificarsi. Il calcio divenne, come raramente prima, un campo di battaglia.
Tutto intorno all’incontro era teso. La Spagna si è presentata per allenarsi al campo della Stella Rossa e l’erba era ricoperta con i teloni. Secondo i dipendenti nessuno li aveva informati della visita di una squadra quel pomeriggio, mentre gli jugoslavi si lamentavano del fatto che il cittì spagnolo Kubala non si fosse presentato alla conferenza stampa ufficiale con Valok, l’allenatore dei Balcani.
Il selezionatore spagnolo spiegò: “Mi hanno lasciato un foglio per avvisarmi della conferenza stampa con luogo e ora. È curioso che si siano lamentati quando hanno saputo che a quell’ora ci saremmo allenati”.
“Ci hanno picchiato, graffiato, sputato addosso… È stata la partita più spiacevole che abbia mai giocato”
La Spagna ha vinto grazie ad un gol di un argentino di nascita, Rubén Cano. Da Buenos Aires, l’ex giocatore dell’Atlético Madrid ricorda ancora oggi molto bene quel pomeriggio di fine novembre 1977: “Fu qualcosa di terribile, tremendo. È la partita più dura e spiacevole che abbia giocato in vita mia. Molto più di qualsiasi cosa tu possa provare in Argentina”. Rubén Cano giocò il Mondiale con la Spagna nel suo paese natale, nel corso della sua carriera indossò 12 volte la maglia delle Furie Rosse segnando quattro gol.
Rubén Cano non ha mai scordato nemmeno le ore prima di quella partita a Belgrado. “Avevano concesso una festa nazionale a tutto il paese per vedere la partita. La gente festeggiava, molto felice. E sicura di vincere. La Jugoslavia aveva una grande squadra. Era l’ultima partita, giocavano in casa e avevano appena vinto 4-6 a Bucarest due settimane prima. È stata una guerra dal momento in cui siamo arrivati. L’atmosfera era molto arrabbiata. Ci ricordavano continuamente che ci avevano già lasciati fuori quattro anni prima”.
L’atmosfera che si generò attorno al gioco fu così esasperata che Rubén Cano ritiene che ciò abbia danneggiato gli jugoslavi. “Hanno sbagliato, sono caduti nella sovreccitazione che si era generata. Lo stadio era pieno ore prima della partita e i loro giocatori erano contagiati da quella folla. Avevano una grande squadra, giocatori straordinari. Ci aggredirono dal primo minuto. Avevano preparato la partita come se fosse una battaglia campale e lì cominciarono a perdere, perché passavano più tempo a colpirci che a giocare a calcio”, ricorda.
“Con la bottiglia che ha colpito Juanito abbiamo temuto il peggio”
Nel giro di un quarto d’ora Kustudić aveva già mandato negli spogliatoi l’infortunato Pirri. “Ho stretto amicizia con lui quando giocava nell’Hércules. Mi ha ammesso che pensavano che avrebbero vinto quella partita con la violenza e non giocando. Ed erano molto bravi. È stato terribile. Ci picchiavano, ci graffiavano, sputavano. Ci hanno tirato addosso, ci hanno tirato i capelli. Il problema non era quello che si vedeva in tivù o quello che c’era vicino all’arbitro. L’azione era molto lontana e c’era il pericolo perché non smettevano di colpire, di graffiare, di fare di tutto… non ho mai vissuto niente del genere”, ricorda l’autore di quello storico gol al 71′.
Rubén Cano ha registrato sia il gol che la bottiglia. “È stato un passaggio profondo da Juanito a Cardeñosa, Julio è riuscito a crossare di poco prima che uscisse e io ho concluso sul secondo palo. Mi sono buttato a terra per bloccarlo, ma la mia intenzione era che non andasse alto.. La polizia usava i cani per far fuori la gente che voleva buttarsi in campo. Non c’erano recinzioni. Juanito ha fatto quel gesto con il dito verso gli spalti e gli hanno lanciato la bottiglia”. L’hanno vista tutti, è volata come una scheggia e gli ha colpito la testa: “Quando lo abbiamo visto a terra abbiamo temuto il peggio”.
Mario Bocchio
Le parole liberamente attribuite a Rubén Cano sono state ricostruite attraverso libri, interviste e altre fonti storiche, e sono tutte ispirate a fatti realmente accaduti