“Per me è stato come un fratello maggiore, mi ha fatto anche da testimone di nozze”. Giancarlo Antognoni, bandiera della Fiorentina, seppe trattenere le lacrime trattiene a stento le lacrime quell’8 settembre del 2018. Se lo aspettava, ma la notizia della morte di Giancarlo Galdiolo, il gigante buono, era stata come una frustata in un tranquillo sabato senza campionato.
“Sapevamo da tempo della sua malattia ma questo non ci prepara mai al dolore per la scomparsa di una persona cara” disse.
L’ex difensore (dieci anni a Firenze dal 1970 al 1980 e due alla Sampdoria, prima di chiudere la carriera a Forlì nel 1984) aveva 69 anni, era affetto da una forma di “demenza frontale temporale”.
Aveva giocato in quella Fiorentina degli anni Settanta passata ormai alla storia per le morti premature, dovute a varie malattie: Bruno Beatrice (leucemia), Nello Saltutti (infarto), Giuseppe Longoni (vasculopatia), Massimo Mattolini (crisi renale), Ugo Ferrante (tumore alla gola).
Nel 2007, partendo dalla morte di Beatrice (avvenuta ad appena 39 anni), la Procura di Firenze aprì un’inchiesta per accertare eventuali responsabilità da parte di alcuni medici e dell’allora allenatore Carlo Mazzone. Ma poi fu tutto archiviato.
Galdiolo ha sempre avuto la Fiorentina nel suo cuore, forte di 229 presenze e 3 gol in A di cui uno alla Juventus). Tre sono i suoi figli: Alessandro, Alberto ed Eleonora. Quest’ultima insieme al fratello maggiore denunciò nel 2010 la malattia del padre: in quell’occasione i due giovani invocarono un aiuto al mondo dello sport per sostenere la ricerca sulla “demenza frontale temporale” e sulla Sla.
A Firenze il difensore padovano era molto amato, anche per il suo carattere solare: oltre a quello di “gigante buono”, gli fu dato il nomignolo “pappa”, per una certa somiglianza nella capigliatura e nel ciuffo ribelle con Pappagone, personaggio inventato da Peppino de Filippo.
“Negli anni Settanta – aveva ricordato al Corriere Fiorentino Gabriella Beatrice, vedova del calciatore viola – i giocatori di quella Fiorentina si radunavano in via Carnesecchi, in una latteria a due passi dallo stadio. Io allora vivevo ad Arezzo per motivi di lavoro e Giancarlo mi faceva sempre scherzi di ogni tipo che coinvolgevano mio marito. Era talmente abile e credibile che io ci cascavo e, più di una volta, sono corsa a Firenze per verificare l’accaduto”.