Il centrocampista granata ha sempre detto: “Sono contento di far parte di un tempo in cui non c’era il cellulare, i giornalisti parlavano con noi nello spogliatoio e i tifosi ci accompagnavano a casa dopo la partita”
Renato Zaccarelli è stato giocatore, dirigente ed allenatore del Toro. Una vera bandiera. Un grandissimo centrocampista ed un perno della nazionale italiana di Enzo Bearzot nei Mondiali in Argentina del 1978.
Nato ad Ancona il 18 gennaio 1951 oltre alla maglia del Toro, ha vestito anche le casacche del Catania, del Novara e del Verona.
Un Zaccarelli senza baffi, nel Novara (a sinistra) e nel Verona
Partiamo dallo scudetto memorabile del 1976 col Toro di mister Gigi Radice. Un ricordo?
“I ricordi son tanti e bellissimi. Fu una stagione memorabile. Eravamo forti ed avevamo un allenatore innovatore. Il mister aveva inserito il pressing nel nostro gioco. Era un modo di giocare faticoso ci voleva tanta applicazione ed impegno. Per Radice il lavoro era sacro”.
Era un allenatore molto avanti nei metodi di allenamento e di gestione del gruppo.
“Era rigido, ma aveva anche capito che avevamo bisogno di svago per poi concentrarci maggiormente sul campo. Aveva introdotto alcune novità sui ritiri. Ricordo benissimo che la settimana iniziava il lunedì a Bardonecchia con le mogli o le fidanzate. Aveva dato la possibilità a noi giocatori di lavorare forte sul campo ma anche di poter essere più liberi fuori dal rettangolo di gioco. Il giovedì tornavamo a Torino per la partitella contro la squadra Primavera ed andavamo a mille. Quello fu il segreto delle tre vittorie nostre e delle tre sconfitte della Juventus che, nel 1976 , ci fecero sorpassare i bianconeri per poi andare a vincere lo scudetto numero sette”.
Due anni prima dello scudetto granata del 1976 vinse la Lazio di Tommaso Maestrelli dove giocava un giovane talento che purtroppo è recentemente mancato. Un pensiero per Vincenzo D’Amico?
“Vincenzo era un fuoriclasse. Lo abbiamo avuto al Toro per un anno nel 1980-‘81. Non fu per la squadra una grande annata. Non riuscimmo ad aiutare troppo il suo talento. D’Amico era fortissimo ma aveva bisogno del sole. Era meteoropatico. Fece benissimo i primi due mesi a Torino quando il clima era ancora tiepido. Nei mesi seguenti con l’arrivo della nebbia, del gelo, della neve a Torino, Vincenzo andò in difficoltà. Si era inserito benissimo nel gruppo. Era un ragazzo splendido sempre a ridere a scherzare, tutti gli volevano bene. Ricordo una partita dei sedicesimi di Coppa Uefa contro il Magdeburgo. Vincenzo entrò nel secondo tempo e fece una partita spaventosa. Ci fece vedere alcuni colpi magici che erano nel suo repertorio. Una punizione sul palo ed un goal da fuoriclasse quale lui era. Ma non ce la faceva col freddo, arrivava sempre all’ultimo momento in allenamento per cambiarsi. Paolo Pulici ed io tiravamo il gruppo durante il riscaldamento e lui spesso ci chiedeva come facessimo ad allenarci con il gelo. La sua morte è stata come se mi avessero staccato un pezzo, un gran dolore”.
Il Genoa è una società che ha visto giocatori fantastici vestire sia le maglie granata che quelle rossoblù. Due società con alcune similitudini o sbaglio?
“Concordo. Per noi granata la simpatia per il Genoa viene naturale. Ci son stati campioni come Gigi Meroni ed altri ottimi giocatori come Claudio Sala e Claudio Onofri che hanno vestito entrambe le maglie. Io ricordo sempre il campo del ‘Luigi Ferraris’, un manto erboso bellissimo. Giocare contro il Genoa a Genova era magico. Bellissimi i colori e l’atmosfera. Due tifoserie calde. La gradinata da sempre si fa sentire tantissimo e spinge come la nostra curva Maratona. Genoa e Toro son sempre state partite tirate, grintose, belle da giocare e da vedere”.
Passiamo alla nazionale: sei ricordato per tante presenza e quel goal alla Francia, fondamentale per il prosieguo del Mondiale in Argentina. Ricordi?
“Ricordi bellissimi. La nazionale di Enzo Bearzot era una squadra forte. Il nucleo giocava nella Juventus, ma c’ eravamo anche noi di altre squadre che ci facevamo valere. Il mister nel Mondiale del 1978 aveva scelto un gruppo di uomini e li proteggeva in tutte le maniere. Quelli erano anni dove nel campionato italiano giocavano, nel mio ruolo, gente del calibro di Antognoni, Beccalossi, D’Amico per citarne alcuni… Non era per nulla facile trovare un posto da titolare in squadra”.
Un aneddoto di quel Mondiale argentino?
“Pochi giorni prima dell’esordio avevamo giocato una partita amichevole allo stadio ‘Bombonera’ di Buenos Aires contro il Deportivo Italiano. Bearzot schierò la squadra titolare ma, ad un certo punto, decise di cambiare Maldera e Graziani ed inserire Cabrini e Paolo Rossi. Nella formazione titolare, la settimana dopo, a Mar del Plata, contro i transalpini, partirono titolari proprio Cabrini e Rossi. La storia ci ha detto, in seguito, che Enzo Bearzot aveva scelto gli uomini giusti ma, vi assicuro, non fu facile per lui fare questi cambi”.
Paolo Rossi un grande campione …
“Paolo è stato un compagno di viaggio eccezionale. Come giocatore un campione assoluto ma come persona unica. Pablito era sempre solare, limpido e sorridente con tutti e così lo ricorderemo sempre”.
Flavio Ciasca