A 81 anni sembra un ragazzino che vola come un’aquila da un palo all’altro della porta di calcio che difende; vedere per credere.
Nel nome del mens sana in corpore sano ha ancora voglia di librarsi macinando chilometri e chilometri sui campi di calcio e di atletica perseverando nella delicata missione di medico. Ci riferiamo a Lamberto Boranga da Foligno, famoso portiere che dal 1950 al 2020 ha calcato i campi di calcio di più categorie vivendo momenti di “gloria” in Serie A ed in campo internazionale. Nel recente passato ha conseguito ulteriori successi: campione del mondo over 65 salto in lungo, primatista mondiale over 70 nel salto triplo.
Dottor Boranga com’è nata la passione per il calcio ed il ruolo di portiere?
“Cominciai a giocare fin da ragazzino centravanti o ala riuscendo a realizzare tanti goal. Se giocavo con chi era più grande di me, allora difendevo la porta. Al collegio dei salesiani a Trevi, terminato il pranzo, dopo una passeggiata di due chilometri giocavamo a calcio in un campetto della zona. In attacco realizzavo sempre tanti goal da permettere alla mia squadra di vincere. Poiché anche i preti erano appassionati, un pomeriggio uno di questi mi disse che avrei dovuto giocare in porta al fine di equilibrare le squadre”.
Nella Fiorentina, sulle figurine “Panini” e titolare contro l’Inter di Sandro Mazzola
Giovanissimo approdò al Perugia, dapprima nelle giovanili, successivamente in prima squadra.
“Dal collegio arrivai a Perugia dove ritornai a fare l’attaccante. Poiché ai ragazzini mancava il portiere misero in porta me e, da quel momento, non mi sono più mosso da quel ruolo”.
Dopo Perugia (1961-1966), avvenne il grande balzo dalla C alla A, nella Fiorentina. Chi la volle a Firenze per il Campionato 1966-‘67?
“Probabilmente mi notarono degli osservatori viola anche perché, essendo inserito il Perugia nel girone di Serie C dove militavano varie squadre toscane, diverse volte siamo andati in trasferta a Pistoia, Arezzo, Empoli, Lucca, Empoli, ecc. Avevo fatto anche dei provini con Milan, Roma, Brescia, avevo giocato nella Nazionale Juniores Under 18 con Facchetti, Rivera, Mazzola”.
Cosa ricorda dell’esordio in A?
“A Firenze ero il secondo di Albertosi. Esordii a Bergamo l’8 gennaio 1967, ad inizio della ripersa, causa un infortunio ad Albertosi al dito mignolo. Infortunio scaturito da una sua uscita su Savoldi. ‘Svegliati pelandrone’, mi disse l’allenatore Chiappella, e così feci il mio esordio in A. La partita terminò 0-0”.
Giocò da titolare anche la domenica successiva?
“Sì, in casa a Firenze e ce la dovemmo vedere con l’Inter che ci sconfisse per 2-1 con reti di Bedin e Guarneri. Visto che non era un realizzatore, ancora oggi Guarneri ricorda quel goal tant’è che mi fa telefonare dal figlio per rammentarmelo. Di quella partita ricordo la sudditanza arbitrale che favorì l’Inter”.
In che senso?
“Lasciamo perdere, lasciamo perdere”.
Perché restò solo un anno a Firenze?
“Volevo giocare, ma proseguire anche negli studi al fine di laurearmi in Biologia. Firenze mi aveva bloccato nello studio. Mi voleva la Sampdoria ma, alla fine, fui ceduto in prestito alla Reggiana, in Serie B, dove restai per due stagioni.
Quando andò via da Firenze, la Fiorentina conseguì un importante risultato.
“La Fiorentina vinse lo Scudetto 1968-‘69. Proprio nel 1969, approfittando della vicinanza Reggio-Parma, mi iscrissi a Parma, alla facoltà di Biologia”.
Boranga nel Cesena
Successivamente, nel 1969-‘70 tornò in A, con il Brescia.
“Essendo in comproprietà fra Fiorentina e Reggiana finii in prestito al Brescia e, finalmente, riuscii a laurearmi in Biologia”.
Il Brescia retrocesse in B e lei ritornò alla Reggiana per tre stagioni: nella prima, 1970-‘71, vi fu la promozione in B.
“Essendo definitivamente di proprietà della Reggiana mi stabilii a Reggio e, nel 1970, al fine di proseguire gli studi mi iscrissi a Parma alla facoltà di Medicina; volevo coronare un altro sogno: diventare medico”.
Nel 1973 approdò nuovamente in A, a Cesena.
“Si sparse la voce che Dino Manuzzi, presidente del Cesena, noto imprenditore attivo nel campo ortofrutticolo, pagava bene. Mi recai e Cesena per avere un incontro con lui. Inizialmente lo presi per un maleducato in quanto, nel suo ufficio, nel momento di salutarci, rimase seduto. Fui tratto in inganno perché, in realtà, si alzò per darmi la mano ma, essendo piccolo di statura, sembrava che fosse rimasto seduto. Mi accontentò economicamente, ma partii come riserva di Mantovani. Un personaggio comunque eccezionale Manuzzi, uomo di passione e di spirito”.
Campionato 1975-‘76: il Cesena guidato da Pippo Marchioro raggiunse un lusinghiero 6° posto che aprì alla squadra romagnola le porte della Coppa Uefa.
“Marchioro fu un innovatore che stabilì un rapporto splendido con noi giocatori. Ci abituò ad avere un’apertura mentale, attuò un gioco in parte a zona. Con gente come Cera, Frustalupi, Rognoni, grazie agli insegnamenti di Marchioro giocavamo ad armi pari con tutti.
Fu un ottimo campionato nel quale ci premettemmo di battere in casa perfino i Campioni d’Italia della Juventus per 2-1”.
Anche all’andata faceste un bello scherzo a Torino, ai bianconeri di Carlo Parola pareggiando per 3-3, con gli juventini sempre in svantaggio, che raggiunsero il pareggio definitivo sul finire del match.
Cosa ricorda, invece, di quel Cesena-Juventus terminato 2-1 per voi, il 21 marzo 1976? Anche se lo Scudetto fu vinto dal Torino di Gigi Radice, era la Juve a guidare la classifica in quel momento.
“Eravamo in una posizione ottima di classifica, alle spalle delle grandi, Juventus, Torino, Milan, Inter, Napoli. Nei giorni precedenti la sfida, il presidente Manuzzi rese noto che se avessimo battuto la Juve avrebbe donato ad ognuno di noi un premio di 2.500.000 di lire. Forse non credeva nella nostra impresa, certo è che alla fine della partita era con le mani nei capelli in quanto doveva sborsare una cifra enorme. Mantenne la promessa”.
Nella Coppa Uefa 1976-‘77, con Marchioro finito al Milan, il Cesena guidato da Giulio Corsini si affacciò per la prima volta alla ribalta internazionale.
“Un evento di portata storica per Cesena e per tutta la Romagna”.
Al primo turno – 32mi di finale – il sorteggio riservò ai romagnoli il Magdeburgo, principale squadra della Germania Est, vera e propria nazionale visto che annoverava il fuoriclasse Sparwasser ed ottimi calciatori come Seguin, Pommerenke, Streich, e Hoffman. Germania Est che due anni prima, nei Mondiale di calcio tenutosi in Germania Ovest – Monaco ‘74 – sconfisse per 1-0 i fratelli rivali d’Occidente poi laureatisi Campioni del Mondo.
L’esordio in Uefa avvenne il 15 settembre 1976 in Germania, con poco meno di mille sostenitori cesenati al seguito, sommersi dal pubblico tedesco che affollava l’Ernst Grube Stadion. Che effetto le fece quel tifo?
“Nessun particolare effetto. Avvertivo l’importanza dell’incontro, ma ero al massimo della concentrazione per cui la folla, quel tifo, non mi facevano alcun effetto. Con l’esperienza si riescono a gestire le tensioni. In generale le folle non mi hanno mai condizionato in quanto riuscivo a mantenere calma e concentrazione. Anzi, proprio in quelle circostanze davo il meglio. Ero sì emozionato, ma non bisogna dimenticare che essendo per passione pilota d’aeroplano (civile), ero abituate a ben altre e più alte emozioni”.
Pure appassionato di volo?
“Sì, una passione che mi trasmise mio padre, pilota militare dell’Aeronautica”.
Suo padre nel Secondo conflitto mondiale meritò una Medaglia di Bronzo.
“Dopo il conflitto, pilota istruttore, morì nel 1965, a 55 anni, durante un volo di istruzione”.
Torniamo alla Uefa. All’andata il Magdeburgo travolse il Cesena per 3-0. Tutto lasciava presagire una tranquilla gara di ritorno per i tedeschi in Romagna invece, il 29 settembre 1976, il Cesena scrisse una bellissima pagina di storia da rasentare la leggenda.
“La gara di ritorno la cominciammo alla grande creando dei seri problemi ai tedeschi. Passammo in vantaggio nel primo tempo con Mariani. In apertura di ripresa realizzammo il secondo goal con Pepe”.
Mancava un goal al Cesena e si sarebbe andati ai supplementari. Colpì molto l’allenatore del Magdeburgo, Urbanczyk, talmente terrorizzato che, in panchina, a mani giunte sotto il mento, sembrava che stesse pregando. Senonché…
“Il fuoriclasse Sparwasser fece goal. In quella circostanza non mi sono piaciuto in quanto valutai male i tempi dell’uscita. Ero convinto di arrivare per primo sul pallone, invece Sparwasser riuscì ad anticiparmi di quel poco per realizzare il goal della qualificazione. Fu colpa mia quel goal beffardo”.
Il gelo calò su La Fiorita ma, poco dopo, Macchi realizzò il 3-1.
“Non c’era più nulla da fare anche perché vigeva la regola del goal doppio fatto fuori casa, regola da poco abolita”.
Il Magdeburgo fu eliminato dalla Juventus, che si aggiudicò il trofeo avendo la meglio sull’Atletico Bilbao.
Dopo Cesena vestì le maglie di Varese, Parma. Di Parma cosa ricorda?
“Tanti ricordi ma, in particolare, le due lauree in Biologia e Medicina, che ni sono guadagnato con i soldi del calcio”.
Ancora il periodo cesenate, Boranga saluta con il pugno alzato
Quando, laureatosi in Medicina, in ambito calcistico cominciarono a chiamarla “Dottor Boranga”, non pochi tifosi pensarono che si trattasse di un soprannome appioppatole non certo per la laurea.
“Quando mi laureai in Medicina a Parma, quell’università era frequentata dal giornalista Gianni Mura. Anche Mura non credette alla mia laurea. Quando mi contattò per chiedermi se fosse vera la cosa gli dissi: ‘Vieni da me che te la faccio vedere’”.
Dopo Parma vestì le maglie di Foligno, Bastardo, Ammeto, Papiano e qui – nel 2015 – sembrò terminare il tutto. Nel 2018 ritornò all’attività agonistica difendendo la porta della Marottese.
“Fu un’emozione tornare a giocare, rimettermi in gioco e dimostrare a me stesso che, essendo atleticamente a posto, avevo guadagnato in longevità fisica stando anche bene psicologicamente”.
Quali caratteristiche deve avere un portiere?
“Deve essere reattivo, istintivo, rapido, decisivo. È un ruolo fondamentale in quanto se non si segna non si vince, ma se non si prendono goal, di sicuro non si perde”.
Quale il segreto della sua impeccabile forma fisica?
“A 30 anni ho smesso di fumare, a 35 ho detto stop agli alcolici, a 45 ho detto basta alla carne. Sana alimentazione, allenamenti, sacrificio. Facendo atletica ho guadagnato in longevità fisica. Se sto bene atleticamente vuol dire che sto bene con la testa e posso giocare a calcio”.
Boranga in versione medico (a sinistra), ancora in porta nonostante l’età, campione Master di atletica leggera
Che tipo di appello si sente di fare ai sedentari per invogliarli allo sport?
“Sana alimentazione ed attività fisica con allenamento adeguato, non bere alcolici, non fumare. Stare a posto fisicamente migliora l’apparato cardiocircolatorio, significa stare bene di testa,”.
Quali sono stati i momenti più belli e quelli meno belli?
“Il più brutto la perdita di mio padre. I più belli, l’aver conseguito due lauree con specializzazione, essere diventato pilota di aeroplano, aver battuto la Juventus. Posso dire di avere realizzato i miei sogni”.
Michele Salomone