Il 12 marzo 2023 ha lasciato questo terreno di gioco Giovanni (Gianni) Ballico a 98 anni, il più longevo dei seicento tecnici del calcio italiano che si sono succeduti fino ad oggi. Ma al di là del freddo primato numerico, dobbiamo soprattutto affermare che lo “svedese” scledense Gianni Ballico rappresenta per il calcio veneto un orgoglio determinato dalle sue qualità umane e tecniche; un vero signore che tutto l’ambiente sportivo calcistico italiano dovrebbe onorare e con tanta nostalgia. A me piace ricordarlo in un’intervista proposta a suo tempo, nel 2013, da Sergio Piazzo in Schio Numero Unico, dove egli, allora 89enne, fece un breve excursus sulla propria vita fin dai primordi, per concluderla con una breve disamina sul mondo dello sport moderno (quello fino a 10 anni fa) per finire col tirare le somme di un bilancio sulle scelte fatte a tutto campo, senza l’ombra del dubbio di alcun rimpianto.
“Sono nato il 28 novembre del 1924, sono il più anziano di otto fratelli; il papà era un bracciante e, successivamente, un operaio all’Italcementi (dove ho lavorato anch’io per un anno nel 1941). Ricordo gli anni della guerra, durissimi per una famiglia così numerosa e tante bocche da sfamare; ho ancora fisso nella memoria in centro il tavolo e tutti attorno al ‘Panaro’ con un po’ di fichi secchi in mano; era complicato vestirci tutti e, gli indumenti dei più grandi, a cascata, servivano rattoppati a vestire i fratelli più piccoli, L’unico divertimento era correre all’oratorio salesiano per incontrare centinaia di ragazzi e tirar calci a un pallone di gomma; le squadre erano composte anche di 25-30 giocatori per dar spazio a tutti. Quando pioveva molti di noi correvano sotto il porticato esterno, sempre a tirar calci con ai piedi delle incredibili scarpe da calcio: le ‘sgalmare”’.
Lì ho fatto le prime amicizie (rimaste oramai poche, come pochi sono rimasti i calciatori che ho incontrato negli anni giovanili), e lì ho iniziato a giocare a calcio nella squadra della ‘Concordia’; direttore era a quel tempo don Vigilio Uguccioni e assistente don Mario Milocco. Siamo nel 1940. Due anni dopo, nel 1942 feci un provino per la squadra di Schio, la Lane Rossi il cui bravo allenatore era un ungherese di nome Zyliezy. Nel 1946 fui prelevato dalla Spal di Ferrara che giocava in serie B. L’anno successivo fui acquistato dalla Sampdoria che era appena nata dalla fusione della Sampierdarenese con la Andrea Doria e che giocava in serie B. Dopo appena un anno, nel 1948, fummo promossi nella categoria superiore, e in serie A disputai sette campionati. Nel 1954 passai al Palermo che, in un anno, contribuii a far risalire dalla B alla A. A Palermo rimasi cinque anni. Nel 1960 ritornai a Schio come giocatore – allenatore, e qui si concluse la mia carriera sui campi di gioco, ma proseguii di direttore sportivo, prima alla Spal del presidente Mazza, poi al Lanerossi Vicenza del presidente Farina (giocava a quel tempo un ragazzino di nome Paolo Rossi) e in seguito a Pescara e infine a Padova.
Siamo già negli anni ’80 e il mio rapporto attivo col calcio si concluse. L’allenatore che ricordo di più, oltre all’ungherese della mia prima squadra a Schio, è Foni (allenava allora la Sampdoria e venne acquistato dall’Inter. Voleva a tutti i costi portarmi con lui a Milano, ma la trattativa non si concluse). Molte sono le amicizie che ho stretto con vari giocatori sparsi per l’Italia, ma quelli che ricordo con più nostalgia sono Bassetto e Bergamo. Nella mia lunga carriera ho incontrato molti campioni; ho giocato contro avversari del calibro di Valentino Mazzola, di Nordhal, Boniperti, Liedholm, Hamrin, Vernazza; ma da giocatore in campo.
Gli allenamenti erano molto impegnativi; eravamo convocati tutti i giorni dalla società. Gli esercizi con e senza palla duravano dalle due alle tre ore per quattro giorni; il quinto giorno era dedicato alla rifinitura atletica e allo studio della squadra avversaria. Io ho giocato in tutti i ruoli della difesa, da mediano destro a terzino sinistro, ma quello che preferivo e che era più congeniale alle mie attitudini era il ruolo di centromediano. Dal punto di vista economico, passare dall’Italcementi al calcio di serie A è stato un salto incredibile. Ricordo che il premio partita per un incontro vinto nella massima serie era equivalente allo stipendio mensile di un operaio. Si stava quindi molto bene anche se il paragone con il calcio e le remunerazioni di oggi è improponibile. La situazione del calcio è molto migliorata dopo la creazione dell’Associazione Calciatori voluta da Sergio Campana, arrivata per me troppo tardi.
Certamente non mi posso lamentare, ma devo anche dire che sono stato come una formichina mettendo da parte i soldi guadagnati per il futuro e la famiglia. Con i soldi del calcio acquistai la casa a Schio, quella che abito tuttora. Mi sono sposato con Piera nel 1953, ho tre figlie e sei nipoti. Alle partite non gradivo la presenza di mia moglie, sia perché temevo potesse assistere a un infortunio grave, sia per evitare di ascoltare gli insulti che dai tifosi spesso piovevano sui giocatori. Pensa che quest’anno festeggio i miei 60 anni di matrimonio! Mi chiedi come vedo il mondo dello sport oggi e se ho qualche consiglio da dare oggi ai giovani. È un mondo bellissimo e ci sono sicuramente meno difficoltà a praticare attività sportive oggi. Peccato che gli sponsor, la televisione, i troppi soldi che girano abbiano un po’ guastato il gioco più bello del mondo. Ai miei tempi era non dico impossibile, ma impensabile ‘vendere una partita’ un atto vergognoso! Ai ragazzi consiglio vivamente di fare dello sport, ma farlo con umiltà senza pensare a traguardi troppo ambiziosi; soprattutto fare l’attività che più piace anche se i genitori gradirebbero una scelta diversa”.
Gli ho chiesto ancora, ma dopo tanti anni farebbe le stesse scelte?
“A distanza di 75 anni rifarei le stesse scelte, sportive e di matrimonio. A quel punto Piera mi ha guardato e mi è sembrato di vedere due occhi umidi.”
Titolo e nota introduttiva di Giuseppe (Joe) Bonato