È stato senza dubbio un buon calciatore, ha militato tra l’altro in Napoli, Genoa e Juventus, ma la sua immagine è stata cancellata ad un tratto da una sentenza del Tribunale di Torino: otto anni e otto mesi di reclusione per associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti .
Michele Padovano nato a Torino il 28 agosto 1966 iniziò la sua carriera professionistica in Serie C2 con l’Asti TSC nella stagione 1985-‘86. Poi si trasferì al Cosenza, restandovi per quattro anni ed ottenendo sotto la guida di Gianni Di Marzio una promozione dalla C 1 alla B attesa da oltre vent’ anni. Con la squadra calabrese sfiorò nell’annata successiva il salto nella massima serie mancata solo per la classifica avulsa.
Nel 1990 l’attaccante fece il suo esordio in Serie A con il Pisa mettendo a segno 11 reti in 30 partite; in seguito continuò a giocare in A vestendo le maglie di Napoli, Genoa e Reggiana.
Padovano raggiunse l’apice della carriera nelle due stagioni disputate con i bianconeri allenati da Marcello Lippi, dal 1995 al 1997, con cui vinse due scudetti, una Champions League, una Coppa Intercontinentale, una Supercoppa Italiana e una Supercoppa Europea. In particolare, contribuì al successo del club torinese nella Champions League, realizzando il gol del 2-0 nei quarti di finale contro il Real Madrid, che consentì il passaggio alle semifinali, e battendo uno dei rigori nella finale di Roma contro l’Ajax. Dopo aver appeso le scarpette al chiodo, è rimasto a lavorare nel mondo del calcio. La prima esperienza manageriale fu nei quadri della Reggiana nel 2002.
Tre anni dopo ricoprì il ruolo di direttore sportivo nel Torino guidato da Giovannone, fino alla cessione della società ad Urbano Cairo. Dopo iniziano i suoi problemi giudiziari. L’amicizia dai tempi dei calzoni corti con un piccolo trafficante di droga e le intercettazioni di conversazioni ambigue e suggestive sono state la croce di Michele Padovano.
Sino a che arriva l’assoluzione al termine del processo d’appello bis che era stato ordinato dalla Cassazione e per lui finisce un incubo: una condanna a 24 anni in primo grado ridotta a poco più di 8 in appello con il rischio concreto di tornare in carcere.
“È squillato il telefono e mi sono sentito dire questa frase bellissima: ‘Michele, sei stato assolto!’. Giuro che non ho capito più niente talmente la felicità ha preso il sopravvento. Non esistono parole in grado di rendere l’idea di quell’istante. Sono scoppiato a piangere insieme a mia moglie Adriana e mio figlio Denis ed è stato un lunghissimo abbraccio” ha raccontato Padovano. Che aggiunge: “Mia moglie aveva fatto un fioretto dieci anni fa. Per cui andrò a Padova per rendere omaggio a Sant’Antonio e poi in provincia di Ferrara al cimitero dove riposa Bergamini, mio compagno di squadra ai tempi del Cosenza. Il momento più brutto? Ce ne sono stati tanti, in primis l’arresto e il carcere, un trauma. Ma devo dire che non ho vissuto un solo giorno di questi diciassette anni in cui sono riuscito a non pensare alla mia vicenda che assumeva contorni ogni volta differenti”.
Anni in cui gran parte del mondo del calcio gli ha voltato le spalle, ma due persone vuole ringraziarle: “Gianluca Vialli, mio compagno nella Juventus. Un uomo eccezionale. Dal mio arresto ogni settimana chiamava mia moglie per sapere come stavo. Un vero amico. Così come Gianluca Presicci, che giocava con me nel Cosenza e mi è sempre stato vicino”.