Leggere il libro di Eraldo Pecci, calciatore romagnolo del Torino che ha indossato la maglia granata numero otto negli anni ‘70 e che giocò pure col Lanerossi Vicenza a fine carriera, mi ha fatto bene all’anima. Il 2 settembre 2016 mi è capitato di recarmi allo Stadio “Menti” per assistere all’incontro Italia-Serbia Under 21 passando sotto l’abitazione dove risiedeva un tempo il mio insegnante di Metallurgia, quando frequentavo l’Istituto Rossi.
Sono stati senz’altro i racconti di Pecci uniti al ricordo di Romeo Menti, numero 7 del Grande Torino scomparso il 4 maggio 1949 nella tragedia di Superga cui è dedicato lo stadio di Vicenza e la nostalgia per il mio docente ingegner Giordano, che hanno risvegliato in me il pensiero e a farmi riscoprire quel denominatore comune esistente tra le tre personalità citate in questa mia singolare storia: la passione per una grande squadra.
Ricordi familiari sono riemersi subito ed ho riflettuto. Prima non ci avevo mai pensato, ma anch’io, come Romeo Menti ed Eraldo Pecci, ho avuto la fortuna di indossare la maglia del Toro. “La solita bufala!” affermerà qualcuno. Tutto ciò, invece, è accaduto davvero in maniera surrogata, grazie all’iniziativa del mio docente tecnico che guidava la squadra metallurgica allo Stadio Federale nel torneo primaverile dell’Istituto Rossi tra il 1970 e il ‘73.
In quelle tre stagioni non era la Juventus degli Agnelli la squadra da battere, ma quella dei professori, spesso favorita anche da arbitraggi discutibili. Perché leggere il libro di Pecci e salire in tribuna al “Menti” ha evocato nel mio inconscio l’anima del torinista? Perché, appunto, il nostro allenatore studentesco Luigi Giordano, tifoso incallito del Torino, ci aveva dotato di una bella divisa granata a proprie spese. Io ero per lui il Claudio Sala della situazione e aveva per me un’evidente predilezione.
Spesso ero suo ospite a pranzo prima delle partite pomeridiane decisive. Aveva timore, vista la mia linea fisica, che non assumessi le calorie necessarie per battermi al meglio giostrando in attacco come mezza punta. La sua abitazione, come ho già detto, stava in un condominio di fianco al “santuario“ del calcio vicentino. Ricordo ancora adesso l’imbarazzo che avevo, quando sedevo con la moglie e la piccola figlia alla sua tavola. Capisco solo oggi il privilegio. In quel contesto, quando sbirciavo dalla finestra e osservavo lo storico stadio, mi sembrava d’essere un campione della massima serie ospite a pranzo in casa dell’allenatore.
I compagni m’invidiavano, anche se non capivano quanto fossi timido e quindi, quanto mi fosse difficile non accettare l’invito del nostro professore. Il compagno Angelo, invece, in quella nostra squadra era considerato dall’insegnante alla pari di Giorgio Ferrini. Più robusto di me, non aveva alcun bisogno né di calorie, né di consigli tecnico-tattici perché giocava già nelle giovanili del Lanerossi sotto la guida del maestro Giulio Savoini. Proprio per questo il professor Giordano aveva conferito ad Angelo la fascia di capitano e dato poche indicazioni. Ricordo che a quel tempo il Lanerossi militava in Serie A ed era una squadra bella tosta.
Poi il nostro docente passò ad insegnare all’Università di Padova e noi, dopo il diploma, partimmo per il servizio militare; come Pecci del resto, proprio nello stesso periodo 1975-‘76. Eraldo aveva esordito due anni prima in Serie A col Bologna. Acquistato dal Torino nel ’75, vi rimase per sei campionati. Fu esattamente in quella prima stagione, quando era anche lui sotto naja, che contribuì a vincere lo storico Scudetto. Immagino solo adesso l’entusiasmo e la gioia sprigionata dal nostro tifoso docente dopo quella vittoria ottenuta dal suo Toro, lottando gomito a gomito contro i bianconeri della favorita “Vecchia signora”! Fu il riscatto sportivo di tutta una vita. L’ultima volta che vidi il professor Luigi Giordano con la moglie, fu durante il pranzo nel decimo anniversario dal diploma nel 1983 a Fara Vicentina. Purtroppo il nostro amato insegnante se ne andò troppo presto lasciando i famigliari e tutti noi nel lutto.
Ed io ho ancora adesso un senso di rimpianto perché ebbi notizia della sua dipartita a funerale avvenuto. Ecco, ora capisco la sensazione che ho avuto quella sera in cui si giocava Italia-Serbia Under 21, mentre passavo proprio sotto le sue finestre. Avrei voluto suonare il campanello, avrei voluto parlargli e invitarlo al mio fianco in tribuna al “Menti”. Avrei voluto ringraziarlo per l’attenzione espressa a quel tempo nei miei confronti. Ringraziarlo dell’insegnamento profuso con grande umanità e della grande passione per i colori granata riversata in noi come fossimo la sua squadra del cuore. Grazie Luigi! E grazie a Eraldo Pecci per avere scritto pagine ricche d’ironia ed amore in un bel libro che ha rievocato dolci ricordi ridando anima non solo ai giocatori protagonisti, ma anche alle persone semplici del Torino prive di fama e agli appassionati sportivi; irriducibili sognatori anonimi che gremivano tutte le arene. Visionari d’Italia che oggi, a quasi cinque decenni dalla conquista dello Scudetto, sento ancora con affetto sussurrare in onore del nostro amato professore…“Il Toro non può perdere”.
Giuseppe (Joe) Bonato