Anche gli dei a volte diventano umani. E sbagliano anche. Siano negli anni Settanta, Roma è più che mai la città dei divi, Pelé non ha più nulla da dimostrare, nemmeno il fatto che un marcantonio più alto di lui come Tarcisio Burgnich potesse sovrastarlo di testa. Nel 1972 O Rei viene all’Olimpico con il suo Santos per affrontare in amichevole la Roma, che undici anni prima aveva vinto la Coppa delle Fiere e che solo due anni prima una monetina beffarda l’aveva privata della finale della Coppa delle Coppe del 1970 dopo una infinita serie di sfide con il Gornik Zabrze.
Lo stadio è una bolgia, in tribuna c’è anche il pugile argentino Carlos Monzon, il rivale di Nino Benvenuti.
Ad un certo punto ecco il rigore per i brasiliani. Tira Pelè, lo para un ragazzo romano di San Lorenzo, e romanista nell’anima: Roberto Ginulfi. “Ha fatto una finta a destra e ha tirato a sinistra, rasoterra: l’ho parato in tuffo, con una sola mano”, ci ha raccontato il portiere. Il Santos vinse 2-0, segnarono Oberdan ed Edu, ma no O Rei.
Ha aggiunto Ginulfi: ”Mi diede la sua maglia, la custodisco gelosamente. Il giorno dopo l’ho anche incontrato, fui invitato ad un rinfresco all’ambasciata brasiliana. Ma Pelé me lo ero già trovato di fronte nell’ estate del 1967, al Flaminio, in un’altra amichevole. Aveva segnato con un pallonetto a Pierluigi Pizzaballa, poi nel secondo tempo entrai io, lui andò al tiro più volte, ma niente.
Gli parai tutto, tanto che un po’ di tempo dopo un famoso mediatore brasiliano, l’uomo che aveva portato in Italia Jair, disse che Pelé aveva chiesto di me. Quando gli fu risposto che ero solo una riserva, domandò se non fosse il caso di portarmi al Santos”. Ginulfi in Brasile non ci andò mai.
Giocò 157 gare nella Roma, andò al Verona che raggiunse la finale di Coppa Italia, fu scelto come riserva di Mattolini nella Fiorentina e chiuse la carriera a Cremona.
Mario Bocchio