Dannazione e redenzione. Concetti che da sempre scandiscono la vita dell’uomo, nell’etica, nella religione, nell’arte e che sono diventati inevitabilmente paradigma fondante anche dello sport. Perché lo sport? Perché altro non è che l’espressione, la sintesi ultima dei valori, delle emozioni, delle innovazioni che l’uomo contemporaneo ha vissuto in 3.000 anni scarsi di civiltà.
Nello sport c’è la guerra e c’è la pace, c’è la vittoria e c’è la sconfitta, ci sono l’amicizia, la rivalità, la lealtà, il sacrificio, la passione, la lucidità, la follia, l’esaltazione, la disperazione. Nello sport c’è tutto, ci sono anche e soprattutto la dannazione e la redenzione.
Questo paradigma, in primis per quello che riguarda il secondo punto, è ben conosciuto da Ezio Rossi, che nel corso della sua carriera prima da calciatore e poi da allenatore, ha conquistato più volte la redenzione sportiva. Tradotta nella lingua di noi pallonari, e parlando di questo caso specifico, si chiama promozione, e l’ex difensore torinese ne ha ottenute ben nove.
Nel capoluogo piemontese – come ricorda Alessio Abbruzzese su Guerin Sportivo-Il Cuoio – nasce e cresce anche come calciatore, e dopo la trafila nelle giovanili esordisce in Serie A nel 1982. Ma è lontano da casa che Ezio Rossi vive la sua prima storia di redenzione: passa due stagioni a Lecce, in serie cadetta, dove nel 1985 è uno dei protagonisti della prima storica promozione in Serie A. In quell’annata i giallorossi di Eugenio Fascetti ottengono la bellezza di 50 punti, a pari merito con il Pisa, che risulterà però primo per la migliore differenza reti. Ezio Rossi gioca quasi sempre e segna tre gol, di cui due fondamentali: quello della vittoria contro il Monza e quello che agguanta il pareggio contro il Campobasso a pochi minuti dal termine nella 35esima giornata.
Dopo la fortunata avventura di Lecce, Rossi viene richiamato alla base, nella sua Torino. Gioca con continuità e nelle prime tre stagioni i ragazzi di Luigi Radice vanno davvero forte, conquistando e giocando anche la Coppa Uefa. Nel campionato 1988-‘89 qualcosa non funziona più, forse è la fine di un ciclo, fatto sta che i granata si piazzano al quindicesimo posto che vuol dire retrocessione.
La Serie B mancava da 30 anni in casa del Toro: niente di nuovo per Ezio Rossi, che memore degli anni in Salento, si rimbocca le maniche e prepara la sua seconda grande storia di redenzione sportiva, avvertendo la sensazione che potrebbe diventare una delle sue specialità. Per l’impresa i granata si affidano proprio a quello che era stato il condottiero della promozione a Lecce, oltre che della leggendario Lazio del meno nove: Eugenio Fascetti. Il Torino si rende protagonista di una grande cavalcata verso la Serie A, con 53 punti ottenuti grazie a 19 vittorie, 15 pareggi e appena 4 sconfitte si guadagna sul campo la sua più che meritata redenzione.
Ezio Rossi ormai ci ha preso gusto, e invece di rimanere in Serie A con il Toro, decide di seguire quello che più tardi definirà “un vero maestro di calcio”. Va a Verona con mister Fascetti, ancora una volta in cadetteria, ancora una volta per vincere e tornare tra i grandi. Neanche a dirlo gli scaligeri ottengono il secondo posto e la promozione, ma nella stagione successiva faticano. La sconfitta a Roma contro la sua Lazio alla venticinquesima giornata costa la panchina a Fascetti, sostituito in corsa prima da Nils Liedholm prima e Mariolino Corso poi, che non riescono a salvare i gialloblù. Quelle saranno le ultime apparizioni di Rossi in Serie A. Nelle serie inferiori continuerà a giocare, ad allenare e a collezionare promozioni: con il Treviso arrivano le ultime con gli scarpini ai piedi (1995-‘96 e 1996-‘97), poi quelle seduto sulla panchina di Triestina (2000-‘01 e 2001-‘02), Cuneo (2011-‘12), Casale (2015-‘16). Un cammino lungo e tortuoso quello di Ezio Rossi nella nostra storia del calcio, cammino che continua ad andare avanti ancora oggi, e che magari ci regalerà un giorno, perché no, un’altra storia di redenzione.
Fonte: Guerin Sportivo