Bisognava vedere la faccia di Pepe e di Coutinho, e Lima, e Haroldo, e Zito. Guardarono Pelé e lo presero per matto quando disse In porta vado io. Sembrava uno scherzo. Non lo era. L’arbitro aveva appena espulso Gilmar, Pelé si avvicinò al suo compagno di squadra, gli fece sfilare la maglia con il numero 1 e la mise sopra quella con il 10.
Ora. Va bene che si trattava di Pelé, già oltre 500 partite giocate con il Santos e un conteggio di gol che all’epoca superava i 600. Va bene che da ragazzino l’aveva già fatto, contro il Comercial de Ribeirão Preto. Ma un minimo di inquietudine agli altri della squadra venne. Mancavano 4 minuti alla fine della semifinale di Coppa del Brasile, il Santos stava battendo il Gremio 4-3, e l’attaccante che aveva vinto due Mondiali sceglieva di giocare in porta.
Meglio qualcun altro, gli fecero i compagni, cercando conforto e sostegno nello sguardo di Lula, l’allenatore seduto in panchina. Meglio uno di noi, insistettero, così davanti tu ne tieni impegnati due o tre per volta. O Rei non si smosse, non volle sentire ragioni, aveva deciso, e quando decideva di partire si sa che non lo fermava nessuno. A parte Trapattoni. In allenamento si sistemava spesso in porta, si divertiva a lanciarsi in volo da un palo all’altro, forse per provare cosa significa essere un uomo solo, il portiere, quello che si oppone al gol, alla gioia della folla. All’epoca, nel Noroeste di Bauru, giocava con il numero uno un ragazzo dalla pelle nera, si chiamava Julião. Quello divenne il soprannome con cui Pepe, Coutinho e Dorval chiamavano Pelé.
O Rei rideva. Rideva e si voltava quando gli amici lo chiamavano Julião, oppure Julio. Ma un conto è l’allenamento, un altro la partita. 19 gennaio 1964, stadio Pacaembu di San Paolo. Sono passati cinquantotto anni dal giorno in cui Pelé fece il goleiro. Aveva segnato tre dei quattro gol del Santos, due su rigore, ribaltando il risultato: dal 3-1 per il Gremio al 4-3 di quel momento. Quando prese il posto di Gilmar fra i pali, i giocatori del Gremio iniziarono a tirare da ogni posizione sperando di sorprenderlo. Pelé rimase calmo. Più quelli tiravano frenetici da lontano, meno rischi avrebbe corso lui. Se la cavò con due parate e qualche uscita sui piedi. Santos qualificato per la finale (poi vinta), Pelé portato in trionfo dai compagni.
Altre due volte sarebbe andato in porta. Il 14 novembre del ’69, in amichevole con il Botafogo, il Santos ottenne un calcio di rigore. Vinceva già 2-0, il conteggio dei gol di Pelé per i suoi generosi biografi quel giorno era arrivato a 999, l’allenatore non voleva che il millesimo fosse segnato fuori casa. Non ci sarebbe stata abbastanza festa. Perciò chiese al portiere Jairzão di fingere una contusione, in porta andò Pelé, che rinunciò al rigore e al gol numero mille, celebrato come si deve cinque giorni più tardi al Maracanã, contro il Vasco da Gama. L’ultima volta in porta fu poi negli Usa, il 19 giugno del ’73, altra amichevole, Santos contro Baltimora Bays, Pelé sostituì il portiere Claudio.
Non poteva sapere O Rei, che un decennio più tardi, si sarebbe divertito a giocare in porta durante gli allenamenti pure il suo rivale storico, Diego Maradona.
Angelo Carotenuto