L’assegnazione dell’organizzazione dei Mondiali del 1938 alla Francia suscitò subito polemiche e defezioni: le Nazionali sudamericane Argentina e Uruguay rinunciarono in quanto non fu rispettato il principio di alternanza fra continenti, dato che nel 1934 si erano disputati in Italia.
Probabilmente ci furono altre ragioni a determinare queste rinunce, di sicuro fu un peccato soprattutto la mancata partecipazione dell’Argentina, che già nel 1938 avrebbe potuto contare su una Nazionale formidabile.
La Spagna era dilaniata dalla guerra civile, Inghilterra e Scozia proseguirono il loro “splendido isolamento”, mentre l’Austria, appena due mesi prima dell’inizio della competizione, aveva subito l’annessione della Germania nazista decretando la fine del meraviglioso Wunderteam, che già l’anno prima aveva patito il contraccolpo della perdita improvvisa del suo mentore Hugo Meisl.
Alla luce di tutto questo le partecipanti furono 15, con la Svezia che passò il turno a tavolino contro la “scomparsa” Austria.
Le favorite sembravano sicuramente il Brasile, del quale si raccontavano meraviglie tecniche, forte del talento del gigantesco difensore Domingos Da Guia e dell’attaccante Leônidas. In rappresentanza della rinomata scuola danubiana c’erano le fortissime Ungheria e Cecoslovacchia, finalista a Roma nel ‘34. Forte accredito avevano la padrona di casa Francia e la Germania, che con l’inserimento di numerosi elementi del Wunderteam aveva ulteriormente rinforzato la sua Nazionale.
Ovviamente anche i campioni in carica dell’Italia di Vittorio Pozzo godevano dei favori del pronostico, considerando che la loro imbattibilità perdurava dal 1935. La comitiva azzurra svolse il suo periodo di preparazione premondiale prima all’Alpino, località sul Lago Maggiore, per poi spostarsi a Cuneo. Il Ct , forte dell’esperienza del ‘3 , evitò le convocazioni “fiume” che lo portarono a dolorose esclusioni, si portò l’unico dubbio del mediano juventino Depetrini, che escluse a causa delle sue condizioni fisiche non ottimali.
Tra i superstiti del ‘34 c’erano il terzino Monzeglio e l’eccellente coppia di interni Meazza e Ferrari. Pozzo aveva ben in mente la formazione titolare, con gli unici dubbi sulle ali dettati dall’abbondanza, e probabilmente sul terzino Monzeglio, che sentiva sul suo collo il fiato della giovinezza di Alfredo Foni. Si partiva direttamente dagli ottavi di finale con eliminazione diretta. La partita inaugurale fu Svizzera – Germania del 4 giugno 1938: al Parco dei Principi di Parigi finì 1-1, fu necessaria la ripetizione cinque giorni dopo e passarono sorprendentemente gli svizzeri (4-2). Evidentemente l’innesto degli elementi del Wunderteam non fu sufficiente al miglioramento dei tedeschi, che patirono problemi di amalgama.
Il giorno seguente (5 giugno) il Brasile superò la Polonia in una epica battaglia conclusasi ai supplementari: una pioggia torrenziale si era abbattuta su Strasburgo rendendo il campo ai limiti della praticabilità. Il bomber polacco Wilimowski si alternò con Leônidas in una incredibile girandola di reti, prevalse il Brasile per 6-5. Contemporaneamente a Le Havre la solida Cecoslovacchia liquidava con un secco 3-0 l’Olanda, mentre a Marsiglia gli Azzurri debuttavano contro la Norvegia. Gli scandinavi rappresentavano un avversario insidioso, ma niente in confronto all’accoglienza che attendeva la nostra nazionale nella città mediterranea: proprio lì si contavano numerosi fuoriusciti italiani, perseguitati dal regime fascista, che non vedevano l’ora di sfogare la loro rabbia nei confronti di una Nazionale,che a prescindere dal lato sportivo, veniva vista come ambasciatrice internazionale del movimento mussoliniano.
Alla loro avversione andava aggiunta la neutrale tifoseria francese, che temeva un eventuale scontro nei quarti con la loro Nazionale. Come da copione, all’ingresso in campo gli Azzurri furono accolti da una bordata di fischi, il clima era rovente! Nonostante il gol di Ferraris II nei minuti iniziali, si percepì un approccio sbagliato da parte degli Azzurri, quasi un superficiale sottovalutare gli avversari che scaturì prima nel pareggio norvegese, giunto a pochi minuti dal termine, poi nella miracolosa parata di Olivieri su Brynhildsen a tempo scaduto. La parata fu così eccezionale che l’attaccante norvegese andò a stringere la mano al nostro portierone.
Lo scampato pericolo galvanizzò gli Azzurri, nei supplementari fu decisivo un gol del bomber Piola, ma di sicuro fu in questo frangente che la Nazionale andò più vicina all’eliminazione. Il quarto di finale più combattuto fu sicuramente Brasile -Cecoslovacchia giocato a Bordeaux: sulla falsariga di Italia-Spagna di quattro anni prima, fu una partita spigolosa, dall’esito incerto e ricca di infortuni.
Fu necessaria la ripetizione due giorni dopo e finalmente prevalse il Brasile con ancora il fenomeno Leônidas sugli scudi. Mentre l’Ungheria aveva la meglio sulla Svizzera, Pozzo sembrava aver trovato la quadra sostituendo l’usurato Monzeglio con il giovane Foni, e sulle ali propose l’esordiente bolognese Biavati e il veloce triestino Colaussi. In una delle sue rare versioni in maglia nera, l’Italia dominò i padroni di casa transalpini con un netto 3-1 ,con l’acuto di Colaussi e la doppietta di Piola. Fu una vittoria dettata da una netta supremazia, che fugò gli ultimi dubbi sul valore di un collettivo ben messo in campo. L’ultima esponente della scuola danubiana, l’Ungheria, arrivò alla finale di Colombes a Parigi praticamente in carrozza liquidando in goleada la Svezia con un inequivocabile 5-1. La semifinale di Marsiglia del 16 giugno vedeva di fronte per la prima volta Italia e Brasile, quella che in seguito diventerà una classica dei Mondiali.
I brasiliani, sicuri della loro partecipazione alla finale, avevano già prenotato l’unico aereo disponibile per Parigi. Vittorio Pozzo si recò personalmente nella sede del loro ritiro per convincerli, in caso di risultato avverso, a cedere i biglietti. Furono irremovibili. Al momento decisivo si presentarono senza la stella Leônidas: opinione personale è che fosse evidentemente acciaccato dalle due precedenti battaglie con Polonia e Cecoslovacchia. Ci sono altre versioni, improntate alla convinzione che fosse stato preservato (con tanto di presunzione) per la sicura finale. Nel frattempo Pozzo aveva strategicamente informato i suoi atleti della faccenda dell’aereo, caricandoli a pallettoni. Dopo un primo tempo equilibrato, gli Azzurri vennero fuori nella ripresa segnando prima con Colaussi e poi con il famoso rigore di Meazza.
Pare che si ruppe l’elastico dei calzoncini proprio nel momento fatidico, tirò reggendoseli con una mano (episodio dalle differenti versioni). Il Brasile accorciò le distanze, fu tutto inutile perché in finale ci andò nuovamente l’Italia. Si sorbirono nuovamente il viaggio in treno da Marsiglia a Parigi, ma si presume che fu un tragitto piacevole data la concreta possibilità di laurearsi ancora campioni del mondo. Il 19 giugno allo stadio Colombes di Parigi andò in scena la finale tra Italia e Ungheria: la supremazia azzurra emerse già nei primi minuti, il risultato non fu quasi mai in discussione, fini 4-2 grazie alle doppiette di Piola e Colaussi.
La nazionale di Pozzo raggiunse l’apogeo, legittimando una superiorità a livello internazionale che durava da anni, e che molti misero in dubbio (e continuano ancora oggi) per via di presunti favoritismi arrivati dall’alto.
Non si vincono nell’arco di otto anni due mondiali, due Coppe Internazionali e un’Olimpiade per caso! Fu una generazione di grandissimi giocatori che esaurì il suo percorso proprio in quel frangente o quasi: arrivò la guerra, credo che negli ipotetici Mondiali del 1942 avremmo avuto una Nazionale ancora competitiva.
Antonio Priore