“La Lazio è stata la squadra che ha puntato su di me quando ero giovanissimo e mi ha permesso di mettermi in evidenza con il grande calcio. A Roma ho conosciuto tante persone importanti, tra cui Angelo Gregucci, che mi ha voluto al suo fianco a Bergamo, nell’esperienza all’Atalanta”. Per Luca Luzardi il club biancoceleste e quello bergamasco rappresentano le squadre più importanti della sua carriera. A Roma si è affermato, ha trovato un ambiente caldo e ha giocato in Europa. A Bergamo – come ricorda il “Guerin Sportivo” – ha iniziato la sua avventura da tecnico in una squadra di Serie A. “A Roma si vive il calcio ogni giorno. C’è un’attenzione diversa. Quasi maniacale. Tutto ruota intorno alle squadre di calcio. A Bergamo c’è meno pressione: resta tutto vincolato alla partita, ma c’è tanta partecipazione e amore verso la squadra”.
Lazio-Atalanta è una gara particolare per lei, vero?
“Non dimenticherò mai la sfida che si giocò nel 1992 a Roma, nella mia prima esperienza alla Lazio. Innanzitutto perché, da buon bresciano, sentivo particolarmente la gara contro l’Atalanta, e poi perché è stata una sfida che mi ha permesso di entrare nel cuore della gente. E non per una giocata o un numero difensivo”.
Cosa accadde?
“Eravamo nella ripresa e a un certo punto vidi il brasiliano Alemão che fece un’entrataccia su Gascoigne. Un fallo bruttissimo, che poteva costargli caro. “Gazza” era reduce dal lungo infortunio che lo aveva fermato per un anno e onestamente ho pensato che quel fallo fosse davvero una vigliaccata. Non c’ho visto più: sono scattato dalla difesa e ho rincorso Alemão. Ci fu una rissa, venni espulso e presi due giornate di squalifica. Onestamente pensavo che la mia avventura laziale fosse finita lì. Invece fu solo l’inizio. Il giorno dopo una delegazione della Curva Nord venne a Tor di Quinto a premiarmi. Un gesto che non dimenticherò mai. I tifosi della Lazio sono unici”.
E mister Zoff come la prese?
“Ero convinto che un uomo come lui, serio, preciso e attento, si arrabbiasse per il mio comportamento. Ecco perché pensavo che quell’espulsione decretasse la fine della mia avventura. In realtà Zoff non fece una piega: appena terminò la mia squalifica, mi rimise subito in campo. Nella trasferta di Foggia, e poi anche in quella successiva a Pescara”.
Una sfida nella quale Luca Luzardi segna il suo primo gol con la maglia della Lazio.?
“A dire il vero si tratta del mio unico gol in Serie A. Ma vuoi la verità? Nel calcio di oggi quella rete non me l’avrebbero mai assegnata. Eravamo sul 2-2, al 90’ e c’era un calcio d’angolo per noi. Salto di testa e colpisco la palla che sbatte sotto la traversa e rimbalza vicino alla linea di porta. Per me con la goal line tecnology non mi avrebbero mai assegnato il gol. Ma va bene così. Ho fatto solo un gol in Serie A e non poteva essere normale”.
Nella sfida in cui Gascoigne segna un gol dribblando mezza difesa?
“Un gol fantastico, un numero incredibile di un giocatore eccezionale. E anche la seconda rete siglata da Signori fu meravigliosa, con un tiro da fuori dopo un palleggio. Il mio non è paragonabile a queste prodezze. Ma lo ricordo con piacere e penso che sia stato un segno del destino. La mia unica rete in Serie A l’ho segnata a Marco Savorani, che era il portiere del Pescara, che poi ho ritrovato all’Atalanta come preparatore dei portieri. L’ho preso in giro a lungo per questa cosa”.
La partita che ricorda con maggiore affetto?
“Ricordo le gare in relazione agli avversari affrontati. A Pescara, in quel match marcai Borgonovo, una persona che ricordo con piacere e affetto. Forse la mia più bella partita l’ho giocata all’Olimpico contro la Juventus. Marcai Gianluca Vialli e sono riuscito a non fargli toccare un pallone, tanto che venne sostituito nell’intervallo da Casiraghi, che poi venne da noi l’estate successiva”.
Il centravanti più difficile da marcare?
“In Serie A in quegli anni ce n’erano tantissimi. Van Basten era fortissimo, ma se devo sceglierne uno che era immarcabile ti dico Careca, il centravanti del Napoli”.
Il suo rapporto con i tifosi?
“Fantastico. Apprezzavano il mio modo di giocare, la mia grinta. Non ero un fenomeno tecnicamente, ma ci mettevo il cuore quando scendevo in campo. L’episodio della targa dopo Lazio-Atalanta lo porterò sempre con me. Certo, ogni tanto qualche insulto me lo sono preso”.
Come in Portogallo, contro il Boavista?
“Se qualche tifoso mi ha insultato dopo quella gara, ha fatto bene. Me lo sono meritato. Tornavo da un infortunio, non stavo bene, ma sbagliai tutto: la classica giornata storta. Purtroppo con i miei errori ho partecipato all’eliminazione in Coppa Uefa. Mi resta però la soddisfazione di aver dato una mano a riportare la Lazio in Europa dopo sedici anni. Arrivai l’estate del 1992 insieme a Bonomi, Favalli e Marcolin. Eravamo i quattro giovani dell’Under 21. Con noi arrivarono anche Signori, Fuser e Cravero”.
Com’era la vostra difesa?
“Ci giocavamo il posto io, Bergodi, Gregucci, Bonomi e il grande Corino. Dieci metri più indietro giocava Cravero”.
Con Gregucci il rapporto è proseguito anche dopo l’avventura a Roma.?
“Mi ha voluto con sé al Vicenza, poi all’Atalanta. A Bergamo siamo arrivati nell’anno sbagliato. Il presidente Ruggeri stava male e la società era gestita dai figli. Era la classica stagione di transizione. Dura. Dopo di noi arrivò Antonio Conte, che retrocesse. Era davvero difficile riuscire a portare avanti la baracca tra mille difficoltà”.
L’esordio in A da tecnico fu da brividi?
“A Roma, contro la Lazio. Un segno del destino: dominammo, ma perdemmo concedendo una sola occasione. Ci fece gol Tommaso Rocchi, con il quale lavoro oggi nella Lazio Under 18. Un predestinato. Avrà gran futuro in panchina, come Alessandro Iannuzzi”.