È un gesto da copertina. Ruota tutto con una coordinazione michelangiolesca, si può leggere la tensione delle fasce muscolari, con i piedi che vanno da parti opposte. Salta e gira come un derviscio, paolorossi, la sera del 10 giugno del 1978, giocando Italia-Argentina. Formando una composizione da Piero della Francesca: la testa, le braccia e la linea – immaginaria – che le congiunge disegnano un primo triangolo che si contrappone a quello che va a formarsi partendo dal punto estremo del suo gluteo e proiettandosi verso la punta del piede sinistro e verso il tacco di quello destro, e tutta la figura del calciatore è iscritta in un quadrilatero formato dal bracciodestro-testa, manodestra-puntadelpiedesinistro, puntadelpiedesinistro-puntadiquellodestro, e, infine, taccodestro-testa.
paolorossi sospiro e figura geometrica che indossa la maglia più bella della nazionale italiana: austera, militare, aderente, leggermente accollata, con le maniche lunghe e i numeri disegnati da due linee che li svuotavano. E, dentro quella maglia, c’è la geografia anteriore della carriera di paolorossi che proprio in Argentina diverrà Pablito, segnando tre gol, antenati dei sei al mondiale successivo dopo una odissea che lo allontanerà dai campi e gli restringerà la porta nelle prime quattro partite di Spagna ’82.
Ma questo colpo di testa– sotto gli occhi di Tarantini e Kempes – non sta andando in porta, non sta diventando gol, è un passaggio a Roberto Bettega su calcio d’angolo di Franco Causio. È l’immagine della generosità di paolorossi, ed è anche la reliquia di quella partita, perché, successivamente, Bettega segnerà proprio su un suo passaggio di tacco, permettendo all’Italia di battere l’Argentina che diverrà campione del mondo.
paolorossi era un sovrano dell’area di rigore e per un teorema euclideo i palloni in quella parte di campo erano suoi, soprattutto se sporchi, rimbalzati, sghembi, per forza di cose finivano per battergli addosso. Anche quello della foto è un pallone corto, quindi sbagliato, un cross di Causio che non raggiunge i pressi della porta, e, allora, ci pensa paolorossi a farsi spigolo per una possibilità, soffio del disordine nella difesa. Questa immagine che ne fa un attaccante-Cristo che si libera della croce per mettere il pallone in mezzo, ci racconta la sua confidenza con l’altruismo. E il suo primo gol nel Mondiale ’82 sarà di testa, al Brasile su cross di Antonio Cabrini. Perché se l’Argentina è una equazione senza risultato, come cantava Francesco Guccini, il calcio è un flipper della memoria: dove una sponda prima o poi viene ripagata.
Fonte: “Lo Slalom”