Ci sono dei giocatori che sai già in quale ruolo giochino prima ancora di vederli in faccia. E che, quando puoi, eviti come la peste. Il mondo del calcio ne è sempre stato pieno ed il nostro campionato in particolare. Specialmente negli anni 80’-90’, quando i migliori difensori giocavano proprio da noi. Impossibile non annoverare tra questi Daniel (Alberto) Passarella, per tutti “El Caudillo” il Condottiero), uno che era davvero meglio non mettersi contro.
Come ben sa Ruud Gullit (che da lui in un derby ricevette una sonora gomitata in faccia a titolo di benvenuto nel nostro torneo) e come, purtroppo, ancora meglio sa un giovane e sfortunato raccattapalle (che, in un Inter-Sampdoria, a causa della ritardata consegna del pallone, fece la conoscenza con i suoi tacchetti, in quella che probabilmente è stata la più grande macchia della carriera di un autentico vincente).
Carattere scontroso a parte, Daniel Passarella è stato, infatti, uno dei più grandi liberi di sempre. Tanto da essere inserito da Pelè nella lista dei 125 giocatori più forti di tutti i tempi. Difensore atipico, dotato di un sinistro da favola e di una elevazione considerevole al di là di una altezza media (1,74 cm) per un difensore, “El Caudillo” era il classico difensore col vizio del goal. Capace di realizzare in carriera ben 178 reti.
Secondo marcatore difensivo di tutti i tempi, dietro solo a Ronald Koeman, con 207. Messosi in luce nel River Plate (226 presenze e 90 goal alla prima esperienza) e con la Nazionale argentina (con cui nel 1978 vinse la sua prima Coppa del Mondo, a cui poi seguì il bis senza mai scendere in campo nel 1986), Passarella, conteso da Real Madrid e Roma, approdò nel nostro campionato a ventinove anni suonati nell’ambiziosa Fiorentina dei Conti Pontello, facendo subito vedere di che pasta era fatto.
Splendidi goal su calci di punizione, una rara freddezza dal dischetto e preziose deviazioni aeree di testa gli valsero, in più di una occasione, il titolo di miglior difensore del torneo insieme al “mostro sacro” Gaetano Scirea, dato che Franco Baresi, prima della cura Sacchi, non era ancora completamente esploso. In viola detenne nel campionato 85’-86’ il record di realizzazioni (11 in 29 presenze), scippando lo scettro ad un certo Giacinto Facchetti, superato poi soltanto da Marco Materazzi con una realizzazione in più.
Chiusa la parentesi in viola, approdò all’Inter di Ernesto Pellegrini che, con Giovanni Trapattoni in panchina, cercava di aprire un nuovo ciclo e desiderava un leader carismatico per la propria retroguardia. Passarella, insieme a Karl Heinz Rummenigge (nella terza e più grigia stagione del tedesco in nerazzurro), costituiva sulla carta un tandem da paura.
Ma, dopo un inizio promettente (in cui ad un tratto divenne anche il capocannoniere di una squadra che in rosa aveva anche un cecchino del calibro di Alessandro Spillo Altobelli), le cose pian piano peggiorarono, con Trapattoni che, specialmente nella stagione successiva, iniziò a preferirgli nel ruolo di libero quell’Andrea Mandorlini che, poi nel 1988-1989’, in quella posizione conquistò il famoso scudetto dei record.
Dopo due anni di militanza in nerazzurro (costellati comunque da 44 presenze e 9 marcature e dall’affetto della tifoseria) Passarella capì che era aria di tornare alle origini, in quel River Plate che lo aveva forgiato. Prima di intraprendere, senza troppa fortuna, la carriera da allenatore. Che, forse, è stata per lui al tirar delle somme poco più che una “passerella”.
Christian Montanaro