Giuseppe Rossi nel 2021 era tornato a giocare in Italia, per la prima volta in serie B, unendosi alla Spal dell’americano Joe Tacopina, che lo conosce personalmente e l’aveva già corteggiato in estate. Pepito era svincolato dopo l’esperienza non esaltante (4 presenze e 1 gol) al Real Salt Lake City, nel campionato americano, e aveva voglia di rientrare in Italia e rimettersi in gioco. Se n’era andato nell’estate del 2018 lasciando il Genoa dopo 1 gol in 10 partite tra campionato e Coppa Italia. A 35 anni ha provato a riprendere il filo di una carriera che ha preso una piega diversa dalle aspettative a causa dei troppi infortuni e guai fisici, soprattutto alle ginocchia. Dopo gli inizi col Parma, in serie A ha giocato anche alla Fiorentina (16 gol nel campionato 2013-‘14). In mezzo la Nazionale e soprattutto il Villarreal, club spagnolo per il quale è ancora il capocannoniere (21 reti) delle competizioni europee. Per la prima volta si è misurato con la B.
Le sue ginocchia sono una mappa del dolore, il suo cuore si allarga su un orizzonte che alla fine – dopo tanto calvario – custodisce ancora un po’ di luce. Daje, Pepito. Giuseppe Rossi in arte Pepito è vivo e lotta insieme a lui. A lui e nessun altro, perché questa è la storia di un uomo-calciatore che ne ha passate tante eppure è rimasto il ragazzo-sognatore che altro non voleva che riempire la sua vita giocando a pallone. Così ha lo ha descritto l’elegante ed efficace penna di Furio Zara.
Talento dalle qualità incredibili, Giuseppe Rossi sarebbe potuto essere tra i migliori al mondo, ma ha dovuto fare i conti con la sfortuna. “Avevamo chiuso la trattativa con il Bayern Monaco, appena però uscii dalla sede del club tedesco, mio fratello mi chiamò per avvertirmi dell’infortunio di Giuseppe”. Potrebbe bastare questa frase pronunciata da Federico Pastorello per spiegare molto della carriera di uno dei più grandi talenti mai espressi dal calcio italiano. Non può invece bastare questa frase per far comprendere quanto la vita calcistica di Giuseppe Rossi sia stata scandita da eventi che gli hanno impedito di arrivare lì dove avrebbe meritato: nell’olimpo dei più grandi campioni della sua generazione.Quello di Pepito , soprannome che l’ha accompagnato per molti anni e che gli è stato affibbiato giovanissimo da chi in lui ha intravisto quelle qualità da attaccante di razza che erano proprie di Pablito Rossi , è stato un amore per il calcio sbocciato in quello che un tempo era visto come il posto più insolito al mondo per innamorarsi di un pallone che non fosse ovale o non destinato a finire in un canestro.
Rossi è infatti nato e cresciuto negli Stati Uniti e ad indirizzarlo verso quello che dall’altra parte dell’oceano non è propriamente considerato lo sport più importante, è stato colui che più di chiunque altro ha segnato la sua esistenza: il padre Fernando. Era nato in Abruzzo ma nel 1966 è emigrato, insieme alla moglie Cleonilde, in America per iniziare una nuova vita. Lì, insieme ad un bagaglio di speranze, porta con sé anche quelle passione per il calcio che lo accompagnerà per sempre. Insegna italiano e spagnolo, ma è proprio grazie al pallone che a Clifton diventa una sorta di leggenda. Diventa infatti il coach alla Clifton High School e con il suo lavoro contribuirà non solo a costruire squadre fortissime che tra la fine degli anni ’70 ed il 2001 gli consentiranno di vincere moltissimo a livello scolastico, ma soprattutto una vera e propria struttura modello che spingerà molti ragazzi ad avvicinarsi al pallone. Quello bianco e nero. È seguendo le orme di papà Fernando che Rossi cresce e impara l’arte del calcio e lo fa così bene che nel 2000 viene portato in Italia dal Parma.
Nel settore giovanile gialloblù si impone come un pezzo pregiato e in un periodo storico nel quale i club inglesi iniziano a pescare a profusione nei vivai nostrani, un ragazzo con le sue qualità non può non calamitare su di sé le attenzioni degli osservatori delle migliori squadre della Premier League. A puntare su di lui è il Manchester United , ovvero la compagine guidata da colui che verrà ricordato come uno dei più grandi allenatori di ogni tempo, ma che andrebbe anche menzionato tra i più grandi talent scout di sempre: sir Alex Ferguson . Ha costruito la sua macchina perfetta puntando sui giovani. Ha dato loro la possibilità di crescere all’ombra di grandi campioni, li ha aspettati e poi una volta pronti, li ha assemblati mettendo insieme un qualcosa destinato a dominare. Rossi a Manchester cresce osservando Giggs, Van Nistelrooy ed un ragazzo appena un paio di anni più grande di lui, ma del quale già si parla come di un talento destinato a riscrivere molti dei record esistenti, un certo Cristiano Ronaldo , e lega moltissimo con un altro ragazzo di belle speranze che in futuro farà parlare di sé: Gerard Piqué.
Gli anni vissuti ai Red Devils sono fondamentali. Lo sottolinea Leonardo Gualano in un interessante reportage su “Goal.com”. Ferguson crede in lui e gli riconosce doti fuori dal comune ma, sebbene insieme ai progressi arrivino anche le prime presenze da professionista e i primi goal, allo United c’è troppa concorrenza per poter veramente emergere. Lo United studia quindi per lui un piano: prestito per farsi le ossa e poi ritorno alla base. Passa quindi al Newcastle dove le cose non andranno benissimo, tanto che quando a metà stagione, nel gennaio del 2006 arriva una chiamata da Parma, papà Fernando consiglia a Giuseppe di accettare al volo. Quella che trova è una squadra in netta difficoltà e penultima in classifica. Sono in pochi a scommettere sulla sua salvezza, ma con l’arrivo di Giuseppe Rossi e qualche settimana dopo di Claudio Ranieri in panchina al posto dell’esonerato Pioli, le cose cambieranno per magia. Pepito realizzerà qualcosa come 9 goal, alcuni di straordinaria fattura, in 19 partite, che aiuteranno a Ranieri a collezionare 27 punti in 16 turni. Un bottino che vale la permanenza in Serie A. Se il Parma e Parma tirano un sospiro di sollievo, il calcio italiano capisce che è nata una nuova stella ma, incredibilmente, nessun club nostrano decide di puntare con decisione su di lui. Ghirardi in realtà è pronto a fare uno sforzo per trattenerlo, ma per riscattare il suo cartellino servono 10 milioni di euro. Troppi. A credere invece fortemente nelle qualità di Rossi è il Villarreal che versa nelle casse dello United tutti i soldi che servono per garantirsi il suo cartellino. A Manchester in realtà sanno bene cosa si stanno lasciando scappare, ma è lo stesso ragazzo a chiedere di essere ceduto. È giovane, vuole il suo spazio ed ha capito che la definitiva esplosione è ad un passo. In molti credono che per lui si tratti di un passo indietro, ma Rossi ha visto oltre. In Spagna trova un allenatore, Manuel Pellegrini , che è pronto a puntare concretamente su di lui e che è riuscito a costruire una squadra che forse non può competere con Real Madrid e Barcellona, ma che gioca un calcio meraviglioso.
Forse il migliore in Europa. Rossi diventa il propulsore del Sottomarino Giallo , il giocatore che risolve le partite con giocate che dalle parti del Madrigal non si sono mai viste. La sua è una crescita costante e che non conosce intoppi e quando nel 2011 chiude la stagione con qualcosa come 32 goal realizzati in 56 partite, nessuno ha più dubbi: ormai è definitivamente pronto per il grande salto. Il Barcellona, che sta cercando un elemento che vada a completare un tridente devastante che già comprende Villa e Messi , non ha dubbi nell’individuare nel talento italiano, che intanto si è già avvicinato a quota 100 goal in carriera, il profilo giusto. Le caratteristiche tecniche tra l’altro si sposano alla perfezione con il gioco di Guardiola e, come se non bastasse, sono i tifosi a chiedere a gran voce il suo acquisto. Quando parte la trattativa con Villarreal sono in molti a pronosticare una fumata bianca in tempi abbastanza rapidi, ma le cose in realtà si complicano con il passare delle settimane. I catalani puntano ad accontentare la società proprietaria del cartellino con ricchi bonus, il club amarillo preferisce invece una parte fissa più consistente. Si arriva ad un punto di stallo che di fatto renderà impossibile l’accordo: i blaugrana preferiranno quindi guardare altrove e puntare su un’alternativa. Si tratterà di Alexis Sanchez. Rossi si riscopre comunque giocatore corteggiatissimo. Molti tra i migliori club d’Europa sono pronti a fare carte false per averlo. Ci prova il Bayern , che poi tornerà alla carica mesi dopo, e ci prova anche la Juventus, ma ormai il Villarreal ha già venduto Santi Cazorla e la cessione di Pepito scatenerebbe una rivoluzione. L’appuntamento con il grande salto è quindi rimandato, ma nessuno ha più dubbi sul fatto che sia solo questione di tempo. Pepito è ormai un Nazionale azzurro, è fortissimo e nessuno riesce a vedere limiti ai suoi margini di crescita. Ha tutto ciò che serve per approdare in una di quelle squadre che lottano per la Champions League ma, proprio quando la svolta è lì ad un passo, la sua vita calcistica prende una piega inaspettata. Il 26 ottobre 2011 , nel corso di un match al Santiago Bernabeu contro il Real Madrid, si procura la rottura del legamento crociato del ginocchio destro. Il giorno dopo è già in sala operatoria per l’intervento, la prognosi intanto è quella solita per infortuni di questo genere: sei mesi di stop. Rossi affronta la cosa con la maturità che l’ha sempre contraddistinto e rientra nei tempi previsti ma, il successivo 13 aprile 2012, in allenamento riporta un’altra lesione al legamento crociato anteriore del ginocchio precedentemente infortunato. Servono altri quattro mesi per tornare a giocare, ma ad ottobre si renderà necessario un altro intervento che allungherà lo stop di altri sei mesi.
Il mondo si è ribaltato e intanto il Villarreal, senza il suo fenomeno, è retrocesso in Segunda División mettendo così fine nel modo più triste possibile al periodo più bello della sua lunga storia.In poco più di un anno Rossi passa dall’essere uno dei giocatori più forti del panorama mondiale, all’essere additato da tanti come una sorta di ex. Il Barcellona, il Bayern, la Juventus, i grandi club che tanto lo desideravano si trasformano in ricordi che sanno tanto di occasioni mancate. In Italia c’è però chi è ancora pronto a scommettere su di lui. La Fiorentina è cosciente del fatto che Pepito avrà bisogno ancora di molti mesi prima di poter tornare a disposizione, è pronta a correre il rischio. In casa viola sanno che c’è la possibilità di rafforzare l’attacco con un ragazzo che, in condizioni normali, non sarebbe stato nemmeno avvicinabile. Daniele Pradè vola negli Stati Uniti per convincerlo, mentre la famiglia Della Valle prepara un assegno da 10 milioni al quale dovrà eventualmente aggiungerne un altro da 6 per chiudere l’operazione. Sembra una cifra spropositata per un ragazzo che sarà pronto solo nella stagione successiva, ma ormai l’idea è diventata infatuazione. Suo papà Fernando, l’uomo al quale deve tutto, intanto è stato portato via da un male da un po’, ma Rossi troverà in Firenze una città desiderosa di adottarlo.
Tra Pepito ed il popolo viola si crea un rapporto di simbiosi, i tifosi lo amano e lui ripaga regalando gemme a a getto continuo. Ritrova il goal, la voglia di stupire e il 20 ottobre 2013, a quasi due anni esatti dall’infortunio che ha cambiato per sempre la sua carriera, vive una delle giornate probabilmente più belle della sua vita. Al Franchi arriva la Juventus di Antonio Conte. Nel primo tempo non c’è storia, i bianconeri dominano in lungo e largo e per due volte trovano la via della rete con Tevez e Pogba che tra l’altro, in uno stadio tutto colorato di viola, pensano bene di esultare come anni prima tante volte aveva fatto Batistuta sotto la Fiesole: con il gesto della mitraglia. Rossi tra l’altro non sta benissimo e ricorre all’aiuto dei massaggiatori perché frenato da un mal di schiena. Ci sono insomma tutti gli ingredienti per una giornata da dimenticare. Nella ripresa il quarto d’ora entrato di diritto nella storia gigliata. Al 61’ proprio Rossi riapre ogni discorso, poi al 76’ segna anche il goal del 2-2. Al 78’ è Joaquin a realizzare la rete del sorpasso, mentre all’81’, ancora Pepito su rigore calerà il poker che varrà una vittoria attesa a Firenze da quindici anni, oltre che una delle rimonte più clamorose della storia recente del calcio italiano. Rossi è ormai un giocatore recuperato ed è lanciassimo verso il titolo di capocannoniere del campionato, quando il destino torna a bussare alla sua porta. È il 5 gennaio 2014 quando, a seguito di un duro intervento di Rinaudo in una partita con il Livorno, si infortuna di nuovo al ginocchio.
L’incubo peggiore del popolo viola si concretizza: il gioiello di cristallo è andato di nuovo in frantumi. Il 49 gigliato, che chiuderà la stagione con 16 reti in 21 partite di Serie A, come sempre proverà a rialzarsi e questa volta spinto da uno stimolo in più: ci sono i Mondiali alle porte e lui si è meritato sul campo quella convocazione. Prandelli fin da subito lascia intendere che le possibilità di portarlo in Brasile sono poche, ma lo inserisce comunque nella lista del 30 azzurrabili. A maggio gli concede anche 70’ contro l’Irlanda ma, sebbene la prestazione di Rossi sia positiva, le gerarchie non cambiano. In Italia, e a Firenze soprattutto, sono in molti a chiedere al commissario tecnico, un altro pezzo di storia viola, di inserire tra i 23 un giocatore che, anche se non al massimo, può cambiare la partita anche scendendo in campo per pochi minuti.
Prandelli si fiderà di ciò che ha visto in allenamento: non crede che il ragazzo sia pronto. Rossi non indosserà mai più la maglia azzurra. Dopo il fallimento brasiliano saranno in molti a rinfacciare all’ormai ex ct di non aver avuto il coraggio di convocare Rossi, ma i fatti daranno in qualche modo ragione a lui. L’estate dell’attaccante scivolerà via tra diversi problemi muscolari, questo almeno fino a settembre, quando si renderà necessario l’ennesimo intervento al ginocchio destro. Rossi salterà l’intera stagione e da questo momento in poi nulla sarà più come prima. Come sempre fatto anche negli anni precedenti, il dolore e la sofferenza si arrenderanno a quella voglia di rientrare scandita da lunghe sessioni di allenamenti in solitaria, mentre i compagni lavorano sul campo. Pepito tenterà di rilanciarsi al Levante , poi ci riproverà al Celta Vigo e troverà anche nel Genoa un club pronto a riportarlo in Serie A. La classe, quella innata, è sempre la stessa, ma semplicemente non gli riesce più in campo ciò che prima gli veniva naturale. Ormai svincolato, nel gennaio 2019, tornerà al Manchester United, per tenersi in forma in attesa di trovare una nuova squadra e proprio con i Red Devils, si toglierà una sorta di ultima grande soddisfazione. È un giorno d’allenamento come gli altri quando sotto lo sguardo di sir Alex Ferguson segna un goal fantastico.
È una rete che non resterà nella storia e che non assegna nulla ma il leggendario tecnico scozzese, che ha lasciato il club nel 2013 ma che dalle parti centro sportivo ha ancora una certa voce in capitolo, si volterà verso Ole Gunnar Solskjaer per dirgli “Che ne dici di quel ragazzo?” . È come se il nastro del tempo si fosse riavvolto: a distanza di anni gli occhi di sir Alex sono tornati a vedere dal vivo una magia di quel ragazzo nel quale tanto credeva. A 34 anni Rossi non aveva ancora appeso gli scarpini al chiodo. Era reduce da un’esperienza con il Real Salt Lake ed aveva quell’età nella quale molti dei suoi colleghi sono ancora al top della condizione. Purtroppo la sua è stata però una carriera che è durata il doppio di quella degli altri, perché costellata da troppi infortuni. Giuseppe Rossi non verrà probabilmente un giorno ricordato tra i più forti giocatori italiani di sempre, eppure aveva tutto per esserlo. Solo la sfortuna, evidentemente invidiosa del suo straordinario talento, si è frapposta tra lui e quel posto nella ristretta cerchia dei grandissimi che avrebbe meritato. Adesso, a 36 anni, dopo 19 presenze e tre gol con la Spal, ha deciso davvero di dire basta.