Il genio non conosce regole e neppure limiti. Il genio non ha confini, altrimenti che genio è. Il genio è libero di spaziare nel cosmo, forte delle sue capacità superiori. Il genio è talento puro e può fare tutto ciò che vuole, vero? No, non è esattamente così. Dispiace ma il genio non è solo talento e quando lo associano alla sregolatezza presentano la visione falsamente romantica del talento che serve a giustificare tutti i “vorrei ma non posso”. Il genio è talento, sì, ma anche concretezza. È una cosa complessa e quasi inspiegabile. Bisogna perciò tradurre il genio in fatti tangibili, altrimenti quello è semplice potenzialità.
E la potenzialità da sola non serve. Perché alla fine le cose sono o non sono. Il genio non è mediazione. Diciamolo pure, è la cosa più ingiusta e antidemocratica che ci sia. Il genio non rassicura, non consola e non perdona. A volte lo si può sprecare e quello è peccato mortale. Dejan Savicevic, detto “il Genio” è stato un giocatore così, assoluto. Assoluto nel bene come nel male. Un campione che non ha mai smesso di essere tale, anche se con i suoi alti e bassi. Un genio pigro a corrente alternata e un po’ anarchico.
Nascere jugoslavi, diventare montenegrini
Dejan Savicevic nasce a Podgorica, attuale capitale del Montenegro, il 15 settembre 1966. 55 anni fa Podgorica si chiamava Titograd ed era ancora un centro di media grandezza della Federazione Jugoslava. Una sorta di autocelebrazione fatta luogo fisico da parte del Maresciallo Tito, che dedica a se stesso una città dell’entroterra montenegrino. Nemmeno troppo bella, a essere sinceri. Il giovane Dejan è fin dall’esordio in campo con il Budućnost un vero numero 10 balcanico. Forse un personaggio da luogo comune e da frase fatta sugli slavi, ma in definitiva quello è. Al quadrato. Geniale, imprevedibile, capace di giocate impossibili e di qualche pausa di gioco non sempre giustificabile. È uno dei pezzi pregiati di una generazione zlatna (d’oro) di campioni jugoslavi che esplodono nella seconda metà degli anni 80. Non è un caso se la Nazionale del suo (ex) Paese verrà definita “il Brasile d’Europa”.
Visto con occhi italiani, Dejan Savicevic appare un personaggio stralunato, quasi assente. Riconsiderato con altri occhi, il viso, le espressioni facciali, le movenze in campo sono quelle tipiche di chi è nato nell’ex Jugoslavia. Non è stralunato come può sembrare, sta solo studiando la situazione. Non è assente, compare all’improvviso e quando meno te lo aspetti. Soprattutto, incide se e quando vuole lui. Fin dai tempi del Budućnost è una mezzapunta contemporaneamente fuori e dentro gli schemi. Il suo piede sinistro può spezzare un equilibrio anche con una sola, decisiva giocata. La classe è a tal punto in esubero che la più titolata squadra serba, la Stella Rossa non si lascia sfuggire il talento montenegrino. Non sarà serbo, ma sempre Jugoslavia è, a fine decennio. È il 1988 e Dejan Savicevic, insieme con un altro fuoriclasse del suo livello, Dragan Stojkovic, pone le basi della formazione che vincerà la Coppa dei Campioni nel 1991. Anche se nel ‘91 Stojkovic sarà andato a giocare in Francia, all’Olimpique Marsiglia.
Piacere, Dejan
I tifosi italiani cominciano a conoscere il talento del giovane Savicevic proprio nel 1988. A fine ottobre la Stella Rossa affronta il Milan in Coppa dei Campioni. È un turno durissimo per entrambe le squadre. La formazione slava ha due architetti del gioco come se ne vedono pochi in Europa. La qualificazione per i rossoneri avverrà al termine di una battaglia durissima, aiutata nella partita di ritorno da una nebbia che scende su Belgrado proprio mentre i biancorossi di casa stanno per qualificarsi. Al momento della sospensione la Stella Rossa sta vincendo 1-0. Gol di Savicevic. La ripetizione finisce 1-1, proprio come la partita d’andata. Ai rigori è proprio lui a fallire il penalty decisivo, ma sono cose che capitano anche ai campioni. Nello staff milanista qualcuno segna sul taccuino il nome di quel numero 8. Il ragazzo ha tutto, quando vuole: corsa, accelerazione, dribbling secco e agilità negli spazi stretti. Il tutto, con un’espressione che sembra dormiente e che dormiente non è. A vederlo non si direbbe, ma quando apre bocca lui, tutti stanno zitti e ascoltano. Il 29 maggio 1991, proprio mentre dall’altra parte dell’Adriatico si prepara la guerra etnica e tutti fingono di non capire, la Crvena Zvezda, pardon, la Stella Rossa, diventa campione d’Europa, proprio contro il Marsiglia di Stojkovic.
A Milanello
Poi nel 1992, a guerra etnica iniziata, per la modica somma di 10 miliardi “il Genio”, come da anni i connazionali lo chiamano, diventa un giocatore del Milan. Non piace soltanto alla dirigenza rossonera, è appena arrivato secondo nella classifica per il Pallone d’Oro 1991. È bello vederlo toccare palla, superare l’avversario, suggerire per i compagni. Il tutto, con quella falsa semplicità che appartiene soltanto a pochi marziani scelti. Però, oltre a essere così talentuoso e fuori da ogni compromesso tattico, Dejan è oltremodo discontinuo. Forse non è indolente, certo però, non fa nulla per non sembrarlo. Se fosse continuo sarebbe il numero 1 su scala mondiale, ma anche così non è lontano dalla vetta. Genio e discontinuità, un mix che mal convive con le esigenze di un campionato di alto livello e con un allenatore che fa del pragmatismo la propria carta vincente. Sì, perché nel frattempo ad Arrigo Sacchi è subentrato Fabio Capello e a Capello gli atipici non vanno a genio. Il rapporto fra i due non sarà mai idilliaco, si tratta di mondi piuttosto lontani, entrambi poco disponibili al cambiamento. Poco alla volta “il Genio” diventa una sorta di panchinaro di lusso. Nulla di più facile, nel Milan fastoso e debordante dei primi anni 90.
La serata di grazia
Il 18 maggio 1994 ad Atene Milan e Barcellona si giocano la Coppa dei Campioni. La formazione rossonera è in difficoltà a causa di infortuni in serie.Il tecnico è costretto a ridisegnare tutto l’undici in campo. Reparto arretrato in primis. Il Barcellona di Johan Cruijff è dato per superfavorito e alla vigilia lo stesso tecnico olandese si lascia andare ad atteggiamenti poco consoni a un ex fuoriclasse e a un allenatore del suo rango. Quello di Fabio Capello è un capolavoro di realismo e di concretezza tattica, ma in campo la differenza la fanno i campioni. Ma non Romario, né Stoichkov. È Savicevic ad accendere il match, con giocate sontuose e intuizioni brucianti, una delle quali manda in rete Massaro dopo 25 minuti. Il quale si ripete allo scadere del primo tempo su suggerimento di Donadoni. Sul 2-0 per il Milan il Barcellona va in confusione e a inizio ripresa i rossoneri assestano il colpo letale.
È una delle più belle reti nella storia delle Coppe europee, dello stesso livello di quella segnata da Sandro Mazzola al Vasas Budapest nel dicembre del ’66, quando Dejan era un lattante di pochi mesi. Siamo sulla fascia destra a circa 30 metri dalla porta. Savicevic ruba la palla al difensore Nadal dopo un contrasto (entrando forse a gamba tesa), alza la testa, Vede il portiere Zubizarreta leggermente fuori posizione e dai 25 metri lascia partire un pallonetto che si insacca sotto la traversa. È un colpo che concentra in sé tutto il meglio del repertorio di un fuoriclasse. Ciò che altri non penserebbero neppure, lui lo ha già fatto. 3-0 per il Milan e delirio sugli spalti. Il Milan non si ferma e continua a macinare azioni. Dopo un palo di Savicevic arriva anche il quarto gol al 58’. Lo segna Desailly che di forza si incunea tra le maglie blaugrana dopo una combinazione con Albertini. 4-0 e partita chiusa. Quella sera “il Genio” è più genio del solito e perfino Fabio Capello, che non è esattamente un dispensatore a gettone di complimenti, ha in serbo elogi a raffica per il numero 10. È la più bella partita di Savicevic in rossonero e forse in tutta la sua carriera. Una di quelle in cui il massimo dei voti non sembra mai abbastanza.
Una vita in vacanza
Dopo sei stagioni alla corte di Silvio Berlusconi, Dejan Savicevic torna alla Stella Rossa. È l’inizio del 1999. Segna il suo ultimo gol in maglia rossonera l’8 gennaio 1998 nel derby di andata contro l’Inter, valido per i quarti di finale di Coppa Italia 1997-‘98: 5-0 per il Milan. Il giocatore montenegrino chiude l’esperienza milanista con un bilancio totale di 144 presenze e 34 gol. Altre dueannate nel campionato austriaco, giusto il tempo di alzare le quotazioni del Rapid Vienna e il livello tecnico del torneo, poi nel 2001 “il Genio” dice basta. Diventa Commissario tecnico della Nazionale della Serbia-Montenegro (dal 2006, Montenegro tout court) e lo sarà fino al giugno del 2003. Oggi Savicevic è il presidente della Federcalcio del suo Paese. Si dice che si tratti di un lavoro senza compenso, ma di certo lui problemi economici non deve averne. In ogni caso, proprio perché è un lavoro gratis, può svolgerlo con la massima libertà, lontano da vincoli e da schemi imposti da altri. Proprio come piace a lui. Da sempre.
Diego Mariottini