Lunghi capelli biondi col ciuffo, occhi azzurri, uno sguardo inconfondibile. Anche adesso che gli anni ne hanno appesantito il fisico, così leggero e scattante quando si presentò per la prima volta in Italia. Era l’estate del 1990, quella delle notti magiche cantate dalla Nannini e da Bennato. E quella notte di Torino, contro il Brasile, per Tomas Brolin magica lo fu per davvero. Non per la sua Svezia, solo per lui, autore del gol dell’effimero 2-1 a Taffarel, che qualche settimana dopo sarebbe diventato suo compagno di squadra. Con quella prodezza, il biondo attaccante scandinavo diventò oggetto dei desideri di mezza Europa. Ma lui scelse una neopromossa in serie A, il Parma. E non sarebbe stata l’unica volta.
Nato a Hudiksvall il 29 novembre 1969, Brolin ha appena 21 anni quando debutta in serie A. Si mette in mostra al Norrköping (memorabile una tripletta al Göteborg pochi mesi prima del Mondiale), ma è grazie alle ottime impressioni destate a Italia 90 che finisce sul taccuino dell’ambizioso Parma di Scala e Tanzi, destinato a diventare la “squadra simpatia” del calcio italiano di quei tempi. Un po’ seconda punta, un po’ ala, Brolin è ovunque, vero jolly del perfetto meccanismo allestito dai gialloblu. E a Parma Brolin s’integra alla perfezione. Tanto che spesso puoi trovarlo al bar, ai giardini, in pizzeria. In campo invece quasi nessuno riesce a prenderlo. Anche quando, nel 1993-‘94, Scala ne arretra il raggio d’azione, piazzandolo stabilmente a centrocampo. Arrivano i trionfi (Coppa Italia, Supercoppa, Coppa delle Coppe) ma, dopo l’ottimo Mondiale americano (terzo posto con la Svezia), il 16 novembre 1994 Brolin rimedia una frattura al collo del piede durante un match della sua nazionale contro l’Ungheria.
E a rompersi non è solo un’articolazione, ma quello stesso incantesimo che aveva fatto di Brolin un punto di forza della serie A e del calcio internazionale. Lo svedese resta fuori dal campo per sei mesi, quando rientra lo scudetto è ormai perso. E Brolin stesso sembra aver perso brillantezza dopo quel maledetto infortunio. La stagione successiva, relegato a riserva, chiede di essere ceduto. Si trasferisce a novembre al Leeds, ma l’esperienza inglese è un incubo. Litiga col tecnico Wilkinson che lo vuole terzino e lo costringe a scusarsi coi compagni “per lo scarso rendimento” dopo uno 0-5 col Liverpool, rompe anche con l’ambiente quando – il primo di aprile – scherza annunciando il suo ritorno al Norrköping: al Leeds ci credono sul serio e s’arrabbiano. Con la caviglia sempre più malconcia passa in estate allo Zurigo ma dura poco. Torna in Inghilterra e resiste ancora meno. A dicembre 1996, il colpo di scena: Brolin paga di tasca sua mezzo milione di sterline per “pagarsi” il prestito al Parma. Ancelotti lo utilizza poco, ma i tifosi continuano a volergli bene. È l’ultima soddisfazione di una carriera che volge al declino e che si concluderà anzitempo. Dopo un’altra esperienza poco felice in Inghilterra, al Crystal Palace, dove più che da calciatore finisce per essere impiegato come interprete al player manager Attilio Lombardo, si ritira il 29 agosto 1998, ad appena 28 anni, giocando da portiere una partita per l’Hudiksvalls, la squadra della sua città: la caviglia non gli dà tregua.
E adesso cosa fa Brolin? Subito dopo aver smesso, si è trasformato in imprenditore investendo nell’immobiliare, avviando un’impresa di catering, una griffe di calzature, una fabbrica di creme per la pelle, una specializzata nella realizzazione di ugelli per aspirapolvere e soprattutto un ristorante a Stoccolma: l’Undici. “Un sogno che si realizza e che coltivavo sin da quando giocavo in Italia e mangiavo meravigliosamente”, ha raccontato al Guardian.
Per qualche tempo è stato anche un pro di poker Texas Hold’em, ora giura che ha smesso. Di tutte le attività (tra le sue grandi passioni, anche quella per l’ippica), gli è riuscita alla grande quella di venditore di aspirapolvere: “Fare l’imprenditore era un’idea che avevo da sempre, ma ciò che m’interessava era cercare qualcosa di nuovo: con il manicotto dell’aspirapolvere io e il mio amico Goran Edlund ci siamo riusciti e abbiamo fondato la TwinnerPro”, ha raccontato in una intervista a Sportweek. Ma qualche volta torna in campo: “Solo tra amici, come portiere. Lo faccio perché non sono più in forma come una volta, ho la pancetta, e poi mi diverto a stare là dietro a pensare che da me dipende la salvezza o la caduta della mia squadra”.