Tutto ha avuto inizio negli ultimi anni dell’Ottocento quando dei cittadini inglesi residenti a Vienna fondarono (era il 1894) il Cricketer, cercando di esportare l’amore per il cricket e il calcio, fussball nell’accezione locale. Nei primi anni nessun austriaco fa parte della squadra, fino all’avvento di Max Leuthe, prontamente ribattezzato MacJohn; ma piano piano la “colonia” viennese si fa sempre più numerosa sino al 1910, anno in cui nasce il Wiener Cricketer, riservato ai soli “indigeni”. Il 18 marzo 1911 la Federcalcio austriaca ratifica l’iscrizione del Wiener Amateur Sportverein e inizia la leggenda dell’Austria Vienna che perderà la dizione “Amateur” nel 1926. Capitano della squadra è Luigi Hussak, presidente Max Leuthe e socio numero uno Hugo Meisl; cambiano anche i colori: non più nero e azzurro ma violetto.
Il campionato austriaco, però, ha già il suo re: si tratta del Rapid Vienna, l’altra metà del pallone, che miete successi e ammirazione e che nel 1941, quando l’Austria è solo una regione della Germania, vince il titolo tedesco. Caso più unico che raro nella storia del calcio mondiale.
Con l’avvento del professionismo l’Austria Vienna inizia a lottare alla pari con le altri grandi d’Austria e d’Europa. L’acquisto dell’ungherese Alfred Schaffer, che aveva segnato un’epoca all’MTK di Budapest, è il là di una nuova era che vedrà vestire la maglia color viola a una serie ininterrotta di grandi campioni. Schaffer fu pagato 25 milioni di corone e il suo stipendio era di 5 milioni (di corone) al mese: cifre da capogiro. Con lui arrivarono Rudolf Viertl, ala sinistra dal tiro micidiale e dal cross basso, Camillo Jerusalem, Walter Nausch, terzino, mediano e attaccante esterno a seconda del bisogno, Karl Szestak, detto Sesta, meraviglioso terzino per il quale l’Arsenal di Chapman era disposto a fare follie e Josef “Pepi” Roth che restò per sempre all’Austria Vienna, mantenendo la promessa fatta alla madre di non allontanarsi troppo da casa quando si recava al campo d’allenamento.
Come spesso accade, quando si volge lo sguardo indietro, storie all’interno di altre storie, ma quella che più di tutte ha esaltato la leggenda di questa squadra e del calcio austriaco di allora è stata sicuramente quella di Matthias Sindelar soprannominato “Cartavelina”: l’attaccante dell’Austria Vienna e del Wunderteam. Ebreo, Matthias nasce a Vienna il 10 febbraio del 1903 e a nove anni è titolare delle giovanili dell’Hertha. Perde il padre sull’Isonzo durante la Prima guerra mondiale e con la madre costretta a enormi sacrifici per mantenere lui e le tre sorelle Sindelar lavora come meccanico in una piccola officina. Sembra quasi di vederlo con i capelli arruffati e le mani sporche d’olio armeggiare tra pistoni e chiavi d’ogni genere e tipo, magari con la testa e il cuore al pallone.
Quando compie 21 anni entra a far parte dell’Austria Vienna e nel 1924 è il primo giocatore al mondo a subire l’intervento al menisco, guarendo senza strascichi, grazie anche a quel fisico (1,79 per 63 chili) leggero che è stata una delle cause principali del suo soprannome “der Papierene”, “Cartavelina” appunto. Vittorio Pozzo, il cronista, ha scritto di lui: “Alla mancanza di fisico sopperiva subito coll’intelligenza. Aveva appreso a smarcarsi in modo magistrale. Lasciato libero, distribuiva, smistava, dettava temi di attacco, diventava la vera intelligenza della prima linea”. Sindelar non possedeva un tiro potente, ma la precisione e le traiettorie letali che riusciva a creare col suo tocco d’esterno lo rendevano mortifero per portieri e difensori. Con l’Austria Vienna vinse tre coppe nazionali e una Mitropa Cup, ovvero l’antesignana della Coppa dei Campioni, visto che il trofeo dell’Europa centrale racchiudeva il meglio del calcio continentale dell’epoca. In Nazionale collezionò ben 46 presenze, serie interrotta dall’Anschluss, ovvero l’annessione dell’Austria alla Germania nazista. Nel dopoguerra è la volta di Ernst Ocwrik giocatore di classe eccelsa capace di ricoprire più ruoli sia in difesa che in mediana e per questo consacratosi tra i migliori al mondo negli anni Cinquanta. Insieme a lui giocavano Ernst Stojaspal e Gernot Fraydl, portiere di gran livello e continuatore della tradizione austriaca nel ruolo. Come sempre una grande squadra la fanno i grandi calciatori e solo il ripetersi, a volte fortunato, di loro generazioni crea la leggenda. Quella dell’Austria Vienna viene consacrata negli anni Sessanta e negli anni Settanta con otto titoli nazionali, quattro per decennio, con Hans Buzek e Heli Kòglberger (scuro di pelle ma austriaco al cento per cento), questo successore del primo ed entrambi grandi cannonieri. Tradizione che continua negli anni Ottanta grazie a Walter Schachner, ex di Cesena, Torino e Avellino.
In quegli anni l’Austria Vienna è una grande squadra, nel ’79 perde contro l’Anderlecht la finale di Coppa delle Coppe e in patria domina vincendo cinque scudetti. In campo c’è il portiere Friedl Koncilia e, soprattutto, il regista Herbert Prohaska, definito “Lumachina” per il suo trotterellare per il campo, ma regista dalla grande visione di gioco e dal grande equilibrio tattico che ha giocato nell’Inter per poi essere uno dei perni della Roma tricolore di Liedholm. Quella squadra forniva più della metà dei suoi elementi alla Nazionale austriaca, considerata allora una delle potenze continentali, anche se i tempi del Wunderteam non sono mai tornati.
Gli anni Novanta hanno visto il declino del calcio austriaco sia a livello di club che di Nazionale e con esso anche quello dell’Austria Vienna che ha dovuto fari i conti con le più forti (economicamente) Sturm Graz, Tirol Innsbruck e Rapid Vienna. Oggi, girando per le strade di Vienna si ha la sensazione di passeggiare in mezzo alla storia, anche quella di una squadra leggendaria che aveva in Matthias Sindelar, un ebreo, il suo uomo di punta, quando il calcio danubiano e i suoi interpreti erano la razza eletta del calcio mondiale.