Agli inizi (1911) l’Unione polacca di football non era altro che una dipendenza della Fussball Verband austriaca. La prima Federazione nazionale autonoma risale al 1918, il primo match internazionale ufficiale è rappresentato dalla sconfitta patita a Budapest il 18 dicembre del 1921 di fronte alla rappresentativa ungherese. Ai mondiali del 1938 i bianchi si qualificano a sorpresa superando la Jugoslavia nelle qualificazioni. Il capocannoniere fu Ernest Wilimowski, attaccante polacco, autore di ben cinque reti contro il Brasile il 5 giugno a Strasburgo. I cariocas eliminarono la Polonia per 6 a 5, ma dovettero impegnarsi allo stremo ed il grande Leonidas decise il match solo al 114′ minuto, nei tempi supplementari.
Da lì poi l’annessione al Reich tedesco nel 1939 e poi il nulla calcistico, anche se il dna del calciatore polacco contaminò il sangue europeo come nel caso di Kopa, il «grande di Francia» degli Anni 50 che in realtà si chiamava Raymond Kopazewski. Ricco di polacchi non fu solo il calcio francese ma anche e soprattutto quello tedesco. Ma già sul finire degli anni sessanta va maturando sul suolo polacco una nuova generazione di calciatori. L’avventura della più forte nazionale polacca di tutti i tempi inizia nel 1972 al tempo delle Olimpiadi di Monaco. Il 10 settembre la Polonia batte a sorpresa in finale la quotata Ungheria, vincitrice sia nel 1964 che nel 1968, grazie ad una doppietta di Deyna. Guidati dal suo capitano, Wlodzimierz Lubanski, i polacchi dominano il primo turno con tre vittorie in tre partite contro Colombia, Ghana e Germania Est. Nel secondo turno viene superato anche il duro ostacolo dei cugini di cortina dell’URSS e così con sei vittorie, un solo pareggio e con ben 21 reti segnate (miglior attacco del torneo) la selezione di Kazimierz Gorski centra il primo titolo della sua storia. Al termine dei Giochi Olimpici,la Federcalcio polacca (PZPN) punta decisamente a qualificare la propria nazionale ai Mondiali di Calcio del 1974 che si terranno sempre in Germania Ovest. Gorski si affida decisamente ai “ragazzi d’oro” di Monaco per raggiungere un obiettivo che in manca dal 1938.
Per le qualificazioni ai mondiali tedeschi – coma racconta “Storie di Calcio” – la Polonia è inserita nel gruppo 5 assieme a due nazionale britanniche, il debole Galles e la fortissima Inghilterra. Le cose però si mettono subito male per i polacchi bloccati a sorpresa dai gallesi che nel marzo 1973 si impongono a Cardiff con reti di Hockey e James. A giugno contro l’Inghilterra è già ultima spiaggia per gli uomini di Gorski che per nulla intimiditi dal blasone dell’avversario già al 7’ con Gadocha aprono le marcature. Il punteggio non cambia nel corso del primo tempo e i polacchi rientrano negli spogliatoi in vantaggio. Ad inizio ripresa, Lubanski si prende gioco di Bobby Moore e raddoppia.
Pochi minuti dopo, l’attaccante polacco resta vittima di un intervento killer di Alan Ball con conseguente espulsione dell’inglese da parte dell’arbitro Schiller. Lubanski deve lasciare il campo in barella con il ginocchio a pezzi. La sua lontananza dal calcio durerà quasi due anni, privando la Polonia del suo uomo più rappresentativo. Il risultato non cambierà più e il 2-0 con cui la Polonia surclassa gli ex maestri rimette decisamente in gioco le sorti del girone. A settembre i polacchi si prendono una facile rivincita contro il Galles stendendolo per 3-0 con reti di Gadocha, Domarski e Lato (il sostituto di Lubanski) e arrivando così al big match contro l’Inghilterra in condizioni perfette. Il 17 ottobre 1973 a Wembley ci sono 100.000 spettatori, un immenso muro umano tutto schierato contro una Polonia a cui basta un pareggio per qualificarsi. La vittoria è infatti l’unico risultato possibile per gli uomini di Don Revie che hanno solo 3 punti (decisivo il pareggio interno contro il Galles) contro i 4 degli avversari.
Anche gli inglesi giungono al match sulle ali di un formidabile 7-0 in amichevole contro l’Austria e i media profetizzano una facile vittoria. Gorski, noncurante degli auspici inglesi, schiera la seguente formazione: Tomaszewski – Szymanowski, Bulzacki, Gorgon, Musial – Cmikiewicz, Deyna, Kasperczak – Lato Domarski, Gadocha. Prima dell’inizio l’inno polacco è sonoramente fischiato e questo non fa che caricare ulteriormente i polacchi per l’occasione in versione rossa. Inizia la partita e inizia il rullo compressore inglese. La supremazia è netta ed è dimostrata dai quindici calci d’angolo collezionati nel corso del primo tempo, terminato a reti inviolate. La ripresa inizia con lo stesso copione ma al 57′ Norman Hunter si lascia sfuggire Lato che si invola sulla fascia sinistra e appoggia a Domarski che da 20 metri scaglia un rasoterra sorprendendo Shilton. Wembley ammutolisce ma riprende vigore quando dei minuti più tardi Martin Peters viene spinto in area polacca facendo decretare all’arbitro belga Loraux il calcio di rigore che Allan Clarke non fallisce: 1-1.
Manca mezz’ora per evitare uno smacco agli uomini di Ramsey. Riprende la spinta nella metà campo polacca che produrrà solo nel secondo tempo ben undici corner. Jan Tomaszewski, l’estremo difensore polacco di 25 anni, è però nella sua serata perfetta e respinge colpo su colpo le insidie inglesi. I minuti passano e la clamorosa eliminazione dell’Inghilterra prende corpo. Oltretutto a sei minuti dalla fine Lato in contropiede si mangia la rete della vittoria. Il match finisce in parità regalando alla Polonia un’insperata qualificazione. Nel contempo gli inventori del football e campioni del Mondo nel 1966 sono per la prima volta nella loro storia eliminati dalla fase finale. 1974, Monaco di Baviera è il centro del mondo calcistico e i padroni di casa, campioni europei nel 1972, sono unanimamente considerati i favoriti nella corsa al titolo. Schoen può disporre infatti di uomini come Beckenbauer, Maier, Breitner, Schwartzenbeck, Müller e Overath. Altre favorite sono le due finaliste del mondiale messicano del 1970: il Brasile del dopo-Pelè e l’Italia nostra di Valcareggi che plana a Monaco sull’onda di ottime prestazioni e con l’appoggio dei tantissimi emigranti. Su un piano inferiore vengono considerate la Scozia e un’Olanda che ha tra le proprie fila la spina dorsale dell’Ajax tricampione d’Europa. Inoltre, allinea un giocatore eccezionale: mister Johann Cruijff. Per difendere i colori della Polonia, considerata niente più che una possibile outsider, il ct Kazimierz Gorski decide di puntare ancora sul gruppo di Monaco ‘72. Largo quindi all’eroe di Wembley Jan Tomaszewski, al giovane stopper Zmuda, alla velocissima ala Grzegorz Lato e al potente centravanti Andrzej Szarmach. Data l’assenza di Lubanski, la lista dei 22 non presenta quindi particolari sorprese con cinque giocatori provenienti dal Wisla Cracovia, quattro del Gornik Zabrze e Stal Mielec e tre del Legia Varsavia.
Il sorteggio pone la Polonia assieme alla favorita Italia, alla sempre temibile Argentina e ad Haiti che a sorpresa ha eliminato il Messico nel raggruppamento Concacaf. L’esordio è fissato a Stoccarda per il 15 giugno contro i biancocelesti. La Polonia parte fortissimo e già al 7’ apre le marcature con Lato che sfrutta una palla non trattenuta da Carnevali su corner di Gadocha. Passano due minuti e ancora Gadocha lancia Szarmach che dal limite supera l’estremo difensore argentino: 2-0. Gli uomini di Vladislao Cap sono sopraffatti dalla velocità e dalla tecnica della Polonia che incarna nel fosforico Gadocha (che centra anche un palo su punizione) il suo uomo migliore. Nella ripresa l’Argentina appare più organizzata e con Heredia al 61′ riduce le distanze. Sei minuti dopo è ancora Lato a battere Carnevali su liscio di Ayala facendo risultare ininfluente la rete di Babington. Polonia-Argentina 3-2, un risultato che è anche stretto per gli uomini di Gorski, protagonisti di un gioco “tagliente”, perfettamente orchestrato dal capitano Deyna. Si va negli spogliatoi tra gli applausi degli spettatori entusiasti di una squadra che non conoscevano ma che hanno scoperto con piacere. Mercoledì 19 giugno i polacchi ritrovano il terreno dell’Olympiastadion di Monaco dove due anni prima hanno trionfato nel torneo olimpico. Avversario Haiti che nel primo match ha tenuto l’Italia sotto scacco per quasi un’ora. Ma contro la Polonia l’effetto-sorpresa non è lo stesso: nel primo tempo la diga degli uomini di Tassy regge solo un quarto d’ora prima di crollare sotto la spinta delle reti di Lato, Szarmach (doppietta), Deyna e Gorgon. Si va al riposo sul 5-0. La ripresa è ovviamente una formalità, condita dalle reti di Szarmach, che realizza così una splendida tripletta, e ancora Lato. Grazie al pareggio tra Argentina e Italia, la Polonia è già qualificata al secondo turno.
Domenica 23 giugno a Stoccarda l’Italia può legittimamente sperare in un appagamento dei biancorossi. Valcareggi lascia negli spogliatoi Rivera e Riva e inizia bene il match ma Szarmach frusta le velleità azzurre in acrobazia piegando Zoff alla mezz’ora, sette minuti dopo che Burgnich, infortunatosi, ha dovuto lasciare il posto a Wilson. L’Italia non ha il tempo dì riorganizzarsi e a un minuto dalla fine del primo tempo è costretta a capitolare una seconda volta con uno splendido tiro al volo di Deyna. L’Italia si prodiga fino all’ultimo, ma arriva a bersaglio con Capello soltanto quando mancano alla fine cinque minuti e ormai è troppo tardi per scongiurare l’eliminazione determinata dalla peggiore differenza reti rispetto a quella dell’Argentina.
Per la Polonia è la terza vittoria in tre partite e le sue quotazioni iniziano a salire. Il secondo turno vede la Polonia contrapposta alla Germania Ovest e alle comprimarie Svezia e Jugoslavia. Il 26 giugno la Polonia affronta la Svezia a Stoccarda davanti a 44.000 spettatori. La squadra di Gorski passa in vantaggio al 42′ del primo tempo per merito del bomber Lato (alla quinta realizzazione nel Mondiale), che finalizza da par suo una travolgente azione costruita dal trio Deyna-Gadocha-Szarmach. La sfida è tutto sommato equilibrata soprattutto grazie alle migliori individualità, tra cui spicca il portiere, Jan Tomaszewski, che anche contro gli scandinavi dimostra tutte le sue qualità, parando, al 20′ della ripresa, un calcio di rigore di Tapper (fallo di Gorgon su Torstensson) e salvando così il risultato.
Nel finale del match polemiche per un contatto nell’area polacca tra Szymanowski e Ahlstroem, ma l’arbitro Barreto Ruiz non se la sente di assegnare un altro rigore alla formazione di Ericsson. La Polonia vince ma per la prima volta non convince. Quattro giorni dopo tocca alla Jugoslavia, costretta a vincere per restare in corsa vista la sconfitta per 2-0 patita contro i padroni di casa. Gli uomini di Gorski vanno in vantaggio al 26′ del primo tempo, quando l’ingenuo Karasi commette fallo su Szarmach mentre il portiere Maric sta rinviando: Deyna non si pregare nello spiazzare dal dischetto l’estremo difensore avversario. Karasi, che sa di averla combinata grossa, si fa perdonare prima che l’arbitro Glockner mandi le squadre negli spogliatoi per l’intervallo: finta su Tomaszewski e palla in rete per l’1-1. È l’opportunismo del solito Lato, al 19′ della ripresa, a decidere l’incontro: lala si libera con grande opportunismo di unincerta difesa slava su un corner di Gadocha e batte Maric di testa. Il punteggio non cambia e la Polonia si allinea quindi con un’altra vittoria alla Germania Ovest che nel frattempo ha battuto la Svezia per 4-2. Il match a chiusura del gruppo Germania – Polonia è decisiva per accedere alla finale con i bianchi favoriti grazie ad una differenza reti migliore e che possono disporre di due risultati su tre.
A Francoforte le condizioni atmosferiche gravano pesantemente sull’andamento dell’incontro. Gorski sceglie il seguente collaudato undici: Tomaszewski; Szymanowski, Gorgon, Zmuda, Musial; Kasperczak, Deyna, Maszczyk; Lato, Domarski, Gadocha. Un’ora prima della partita un violentissimo acquazzone inzuppa il campo tanto da renderlo impraticabile. Entra in funzione l’organizzazione dei tedeschi: i pompieri riescono nel giro di mezz’ora a rendere praticabile il terreno di gioco estraendovi l’acqua con ogni genere di pompe meccaniche e con giganteschi rulli di spugna. La Polonia è più pronta ad adattarsi alle condizioni del terreno, Gadocha, Lato, Deyna cominciano ad insidiare Maier che sventa due difficilissime palle-gol. Pur perdendo di velocità la manovra dei polacchi è aggressiva e apre diverse strade al possibile vantaggio, ma Maier è bravissimo a salvare i tedeschi. Nella ripresa crescono gli uomini di Schoen, al 53′ Zmuda è costretto al fallo da rigore per fermare Holzenbein, ma Hoeness incaricato del tiro si fa soggiogare dalla stazza atletica di Tomaszewski. I padroni di casa insistono in avanti con gli scatenati Holzenbein e Grabowski, con Muller che sembra essere assente fino al 74′ quando su un sagace suggerimento dell’ala sinistra balza sulla palla come una tigre e con un tocco preciso la colloca alle spalle di Tomaszewski. Per la prima volta dall’inizio del torneo la Polonia deve rimontare uno svantaggio segnando almeno due reti nei restanti 15 minuti. Gorski inserisce Cmikiewicz e Kmiecikma le sorti dell’incontro non cambiano ed è la Germania a staccare il biglietto per la finale regalando comunque alla Polonia un’insperata finale per il terzo posto contro i campioni in carica del Brasile. Una domanda resta e resterà per sempre nell’ambito del “what if…”: che cosa sarebbe accaduto se la partita aveva avuto luogo in condizioni di campo normali e non su un terreno al limite della praticabilità?
Comunque sia sabato 6 luglio 1974 c’è da giocarsi il terzo posto. Per il Brasile, la finalina è un boccone davvero amaro da masticare, fosse stato per Rivelino e Jairzinho la comitiva verdeoro sarebbe dovuta ripartire dopo avere perso con l’Olanda e avuto la certezza di non poter conquistare il quarto titolo mondiale della sua storia. La Polonia invece ha tutte le intenzioni di non lasciarsi sfuggire l’occasione e salire sul gradino più basso del podio. E saranno proprio i biancorossi di Gorski a piazzarsi al terzo posto della rassegna iridata tedesca al termine di un match molto noioso nella prima frazione di gioco e un po’ più vivo nella ripresa. A decidere l’incontro, dopo un palo colpito da Rivelino con Tomaszewski irrimediabilmente battuto, è Lato, che al 75′ va via in velocità, finta Francisco Marinho e batte imparabilmente Leao. Per il bomber biancorosso è la settima rete, è lui il capocannoniere di Germania ’74. Che dire di una squadra che in due anni conquista un alloro olimpico e poi batte in sequenza Inghilterra, Argentina, Italia, Svezia, Jugoslavia e Brasile? Nè prima nè dopo la Polonia ha avuto una generazione di talenti di tale livello. Gorski aveva ereditato nel 1971 una nazionale seriosa, senza fantasia, trasformandola in una macchina perfetta che costruisce gioco, difende e attacca. In un momento di profonda trasformazione nel calcio mondiale, ricordiamoci che sono gli anni dell’Ajax e del calcio totale e dove perfino il Brasile rinnega il calcio samba per un football euro-centrista, Gorski opera una “terza via”, ben sapendo di non poter disporre di elementi come Cruijff e Neeskens. Unisce il rigore difensivo e la fantasia offensiva raggiungendo un compromesso sottile ma di successo tra modernità e tradizione, dove ogni ruolo nella squadra è completamente definito. Il tutto condito con una condizione atletica straripante e da uno spirito di gruppo invidiabile (al contrario dell’Olanda). Tutti ingredienti che formeranno quello che a metà dei settanta si definirà “gioco polacco” e a cui prima Bernardini e poi soprattutto Bearzot guarderanno come esempio nel ricostruire le sorti della nazionale italiana del dopo-Monaco e che saranno alla base degli splendidi mondiali azzurri del 1978 e 1982.
La «Polonia dei miracoli» stronca gli avversari imponendo su ritmi inaccessibili il suo gioco a tutto campo. Gorski raduna ed amalgama umili faticatori, elementi dai piedi buoni e fantasisti, tutti in possesso di eccezionali risorse atletiche. A dar sicurezza alla squadra, ci pensano Jan Tomaszewski, l’«eroe» di Wembley, e la solidissima linea difensiva composta dai dagli esperti Gorgon, Szymanowski e Musial e dall’allora quasi esordiente ventenne Wladislaw Zmuda che vestirà la maglia della nazionale fino a Messico ’86 collezionando 92 presenze.
A centrocampo, macinano chilometri,distruggono ed impostano, gli infaticabili Maszczyk e Kasperczak mentre la regia è affidata al «classico» capitano Kazimierz Deyna, il più grande calciatore polacco di lutti i tempi (102 gettoni e 45 gol in nazionale dal ’68 al 78). Pelé sceglierà proprio Deyna come miglior giocatore del Mondiale 1974, primeggiando su personaggi come Beckenbauer, Overath e Cruijff, così suggellando la sua grandezza. Gadocha sintetizzerà così la gratitudine della squadra:«Deyna è un grande stratega: possiede una visione immediata di ciò che deve fare e, soprattutto, di ciò che è in grado di fare». Dopo la straordinaria prestazione di Monaco 74 sia il Real Madrid che il Monaco (con il principe Ranieri sceso in campo) proveranno a strappare Deyna al Legia ma essendo al tempo un ufficiale dell’esercito non avrà il permesso per poter espatriare fino al 1978. L’arma vincente dei polacchi sta però nell’attacco, il reparto che alla vigilia del Mondiale aveva causato le maggiori preoccupazioni a Gorski. Il grave infortunio capitato al titolare Lubanski (leader storico dei bomber biancorossi con 50 reti realizzate in 80 partite) aveva infatti costretto il tecnico a varare una nuova prima linea a pochi mesi dall’appuntamento iridato. Accanto all’esperto Robert Gadocha (in nazionale già dal 1967) viene quindi data fiducia a due ventiquattrenni (il centravanti Andrej Szarmach e l’ala Grzegorz Lato) che si presentano in Germania con scarsissime credenziali a livello internazionale ma in smaglianti condizioni di forma ed animati da un grande desiderio di sfondare.
Diversissime per caratteristiche ed attitudini, le tre punte si completano a vicenda e producono una miscela esplosiva, l’ideale per far saltare le difese avversarie. Gadocha incarna l’ala più tradizionale, tutta scatti, dribbling ed invitanti cross verso il centro dell’area. Szarmach è l’ariete centrale che riesce a non far rimpiangere lo sfortunato Lubanski: abile con i due piedi, ottimo di testa, sa andare a rete sia di potenza sia di astuzia. Lato gioca a destra ed esibisce il suo scatto bruciante e lo spietato opportunismo che gli regalano a sorpresa il titolo di capocannoniere. Accompagnato dalla poco simpatica fama di giocatore indisciplinato e poco disposto al sacrificio, il folletto dai radi capelli biondi dello Stal Mielec fa ricredere in Germania i suoi critici più severi piegandosi docilmente ai voleri di Gorski ed alle superiori esigenze del collettivo biancorosso. Lato apre con due doppiette contro Argentina e Haiti e chiude con tre reti tutte decisive firmando i successi su Svezia, Jugoslavia e Brasile. Terminerà la sua carriera in nazionale addirittura nel 1983, stabilendo con 104 presenze il nuovo record di fedeltà alla maglia polacca.