Carletto Muraro è nato a Gazzo, in Veneto, il 1 giugno del 1955. Alto 176 cm. pesava 74 kg. Ha giocato prevalentemente nell’Inter (squadra nella quale è cresciuto e poi “esploso”): dal 1973 al 1974 (6 presenze e nessun gol), dal 1976 al 1981 (120 presenze, 38 gol) e dal 1983 al 1985 (14 presenze, 1 gol). Si è ritirato nel 1988. Oggi si diletta nel ruolo di opinionista tv. Con l’Inter ha vinto uno Scudetto (1979-‘80) e una Coppa Italia (1977-‘78). Non fu mai – come scrive Claudio D’Aleo su “Il bazar del calcio” – Riva, mai Boninsegna, mai Savoldi, mai Bettega. Eppure di Carlo Muraro si parla sempre. Anche oggi e non a caso. Il suo modo di giocare e interpretare il ruolo non è mai stato dimenticato. Quelle qualità, le sue qualità, rimangono un’eccezione. In lui si “muoveva” una miscela esplosiva di “sprint” e talento purissimo.
Carletto Muraro non è e non è mai stato uno di quei nomi altisonanti capaci di scaldare i cuori a tifosi e sportivi e di riempire le enciclopedie del calcio con le sue “gesta”. Carletto Muraro è stato un ottimo calciatore. Mai fuoriclasse e neppure “leggenda”. Solo “Carletto” Muraro. Eppure quest’ala sinistra velocissima e a tratti imprendibile, bruciante nello scatto e nel “breve” come Speedy Gonzales e bravissimo di testa come pochi, è riuscito comunque a far breccia nei cuori dei tifosi interisti, e non soltanto in loro, e a non uscirne mai più. Per certi versi Muraro ha segnato comunque la storia di quell’Italia pallonara. Per molti fu il “Jair” bianco di quei tempi. Velocissimo e mai timido seminava gli avversari lungo la fascia sinistra come birilli. Per il grande Gianni Brera fu semplicemente Carletto “Sparalesto”, cioè un attaccante “godibilissimo” che non segnava a raffica ma che comunque era in grado di incutere paura a chiunque si trovasse in quei momenti dalle sue parti. Brera, che di calcio ne capiva tantissimo, vedeva in quel ragazzotto vivace e a tratti sfrontato il prototipo essenziale del “guastatore” modello. Una testa “d’ariete” capace di far saltare con la sua velocità e la sua intraprendenza la “cerniera” e gli equilibri di ogni difesa. Muraro era la “gioia” di qualunque centravanti avesse la fortuna di giocare con lui.
Muraro era “costruito” per crossare, creare spazi in avanti e “superiorità” numerica. Oggi sarebbe amato da qualunque allenatore e ricercatissimo dai più quotati Club europei. Carletto aveva un gioco “scolastico” ma imprevedibile. Era una freccia. Per prenderlo dovevi partirti da casa almeno due giorni prima altrimenti non ce la facevi più a rincorrerlo. Stargli dietro era un’impresa. Il “suo” numero di maglia, l’undici, era lo spartiacque ideologico tra l’ala sinistra che creava gioco in attacco e il centravanti che di testa le prendeva tutte o quasi. Giocava spesso di sponda non solo per agevolare i suoi compagni ma anche per entrare egli stesso in area di rigore e far male ai portieri avversari. I terzini ne temevano la grande velocità palla a terra ma anche l’elevazione che, per quel calcio, non era certamente mica male. Per arginarne l’impeto bisognava giocare d’anticipo. Inibirgli gli spazi vitali e arginarne al contempo la “verve” pallonara. Oppure dovevi mettergli la zavorra tutta attorno ai fianchi. Marcarlo era difficilissimo. Giocava per essere buttato giù. Nel gioco aereo, Muraro, aveva pochi competitori. Lasciava il segno come “Zorro”. Helenio Herrera stravedeva per lui e ne guidò la crescita con grande pazienza e attenzione. Era il 1974. Se qualcuno ha ancora negli occhi il 2010 di Eto’o terzino specie in Champions League per coprire i vari Pandev, Snejider e Milito, potrebbe scoprire che Mourinho non aveva inventato niente di nuovo. Ci aveva già pensato Eugenio Bersellini vari anni prima a far fare “l’elastico” a Muraro chiedendogli di giocare su e giù per tutta la fascia come un terzino. Il ‘76-’77 fu l’anno della sua consacrazione. Le premesse erano quelle di una grande carriera, migliore di quella che poi è stata. Di Muraro ricordiamo il modo di giocare ma anche un elenco di tre partite, tra dicembre e gennaio di quell’anno, nel quale fece sette gol. In quel preciso momento tutti cominciarono a chiamarlo il Jair bianco: oltre ad Herrera anche Benito Lorenzi.
Pietro Maroso arrivò a dire che, a suo modo di vedere, Carletto Muraro fosse addirittura più potente e veloce di Jair. Insomma, l’entusiasmo per questo calciatore “atipico” ma utilissimo cominciava a salire alle stelle. Fu lì che arrivò la curiosità “predatrice” della Juventus. Si disse che Muraro fosse stato già ceduto ai bianconeri in cambio di Pietro Anastasi. Poi si mise di mezzo Sandro Mazzola, in quel momento molto influente all’Inter, e non se ne fece più nulla. I tifosi nerazzurri ancora ringraziano.
La migliore Inter di Muraro ha lasciato un marchio importante nel calcio di quei tempi. Bordon in porta; Canuti, Baresi, Mozzini e Bini in difesa; Oriali, Marini, Pasinato e Beccalossi a centrocampo; Muraro e Altobelli in attacco. Una grande squadra allenata da un grande allenatore: Eugenio Bersellini. Quell’anno Muraro giocò 24 partite e segnato 5 gol. L’anno prima 27 presenze e ben 11 gol. Carletto correva come un matto lungo la fascia di competenza. Era il primo a portare il pressing nella metà campo altrui o dove ce ne fosse bisogno; addirittura sui calci piazzati si preoccupava di marcare egli stesso l’avversario più bravo di testa. I suoi cross per gli attaccanti erano al “bacio”. La loro naturale “sublimazione” sarebbe stata quella di essere pensati e realizzati per la testa dello stesso Muraro.
Se si fosse crossato lui stesso, avrebbe segnato caterve di gol. Con quella velocità d’esecuzione ci sarebbe riuscito. Memorabili i duelli aerei con Sergio Brio della Juventus: due falchi predatori in continua lotta “aerea”. Muraro non era alto ma era esplosivo. L’elevazione veniva considerata una dote naturale. Carletto sui palloni ci andava prima degli altri ed anticipava quasi sempre l’avversario. Ha fatto tantissimi gol di testa, ed anche di destro, nonostante fosse un sinistro naturale. Il suo calcio era spettacolo puro. Roba da stropicciarsi gli occhi ed entrare in alchimia coi sogni.