Là dove l’Europa è ancora viva e vegeta, lì è cominciata la sua storia. In quel porto dove i berberi incontrano gli shardana, nelle bettole fumose in cui i galli stringono le mani ai corsi mentre i greci fumano oppio afghano, là dove i baschi se le suonano di santa ragione con i genovesi mentre puttane sfregiate attendono il loro uomo di ritorno dalla rapina a Mentone. Eric Cantona è nato lì, a Marsiglia. E di Marsiglia – madre e matrigna, generosa e violenta – ha preso tutto, ma proprio tutto.
Per i benpensanti, Cantona è una sorta di Albert Bergamelli del football. Potente, cattivo e spietato. Un gangster dell’area di rigore che non va d’accordo con nessuno. Tranne che con Valderrama, forse. Altri, benpensanti anche loro ma sempre online con l’occhio fisso alle kulture dei ggiovani, ne vorrebbero fare una sorta di Balotelli ante-litteram, soporifero e twitteroso anche se twitter ancora non c’era. Non c’hanno capito una beata mazza, come li correggerebbero quelli di Oxford. Eric Cantona è stato tra i più grandi calciatori moderni non solo a causa di un talento smisurato ma anche, e forse soprattutto, grazie a un’umanità sconfinata. Umanità in senso latino, mediterraneo: homo sum, humani nihil a me alienum puto. L’umanità storica di Publio Terenzio Afro, non quella anglosassone delle Ong diabetiche e degli “angeli” zuccherosi e dell’ “ama il prossimo tuo” a prescindere, estremisti del porgere l’altra guancia. Prima uomo e poi pallonaro, prima essere umano e solo dopo (e forse suo malgrado) figurina.
Ventisei fa, giusto ventisei anni fa, Eric Cantona – le Roi della sponda United di Manchester – volò oltre i cartelloni pubblicitari dell’ Old Trafford e colpì, con un calcio volante alla Bruce Lee, tale Matthew Simmons, tifoso ospite del Crystal Palace. Figlio dei suoi (e dei nostri) tempi, Simmons s’era precipitato – all’espulsione di Cantona – dalla gradinata fin giù alla prima fila per dare del “francese figlio di puttana” a un fucking bastard dello star system del calcio che, evidentemente, riteneva di cartone e, perciò, inoffensivo. Solo che Cantona, prima uomo e poi pallonaro, prima marsigliese e mediterraneo e poi superstar del football, lo prese a calci. Volanti. Certo, la violenza non risolve niente. Cantona, però, è stato umano troppo umano in un mondo di cartone, disumanizzato e disumanizzante. Carne e sangue (al cervello) contro la teppa prima urlante e poi vergognosamente piagnucolosa che pensa di avere il diritto di insolentire impunemente tua madre dato che “ha pagato il biglietto”. Del resto, lo aveva detto anche il Papa. Le mamme non si toccano se no arrivano i pugni. Funziona così, da sempre, in ogni scuola elementare e media del mondo. E pure nei bar, nelle discoteche, nelle fabbriche, negli uffici a volte anche nelle redazioni dei giornali progressisti e non. È una considerazione talmente ovvia e umana che subito s’è innescata una cagnara. Ma questa del pugno papale è un’altra storia, che interesserebbe più Renè Guenon che noi, infelici e pochi, che ripudiamo le statistiche ingegneristiche della Ds perchè cerchiamo ancora, nel calcio, qualche brandello d’epica.
È stata la salsedine del Mediterraneo e il fumo delle bettole del porto a fare di Eric Cantona l’icona che è ancora oggi. Capostipite no, capoclan forse. Dei marsigliesi del pallone, geni sregolati e umani, troppo umani. Non è stato certo l’unico dei marsigliesi della pedata a far parlare di sè per atteggiamenti e comportamenti che definire sopra le righe sarebbe davvero troppo poco. Zinedine Zidane, per esempio. Uno degli ultimissimi talenti francesi, il magnifico berbero di Juve e Real Madrid, ha tutto uno score di mattane – culminate con la testata mondiale a Materazzi – che nemmeno l’imposizione di un profilo bassissimo e quasi istituzionale (tra club, nazionale francese e Fifa) ha potuto nascondere.
Eric Cantona ha fato il direttore sportivo dei redivivi Cosmos di New York. Poi è stato licenziato, guarda caso proprio per una rissa. Poi, nel 2018 trionfa in tribunale e si prende il 4% degli stessi Cosmos (e 880mila euro) a seguito della causa post-licenziamentio.
Dal calcio giocato s’è ritirato a trentun anni perchè s’era stufato e voleva far l’attore. Ha tanti amici, come il regista Ken Loach che ha costruito su di lui il film “Il mio amico Eric”. Rimane politicamente scorrettissimo. Che Dio ce lo conservi. Le tirate contro l’avidità della finanza e del mondo delle banche, per esempio; le velleità politiche e presidenziali nel 2012 in Francia.
Fa parlare di sè perchè fa quello che gli pare. Senza timori. È una figura strana, tipo il cattivo che diventa eroe ma che paladino proprio non può esserlo perchè gli manca il candore. Solo lui, in una celeberrima pubblicità degli anni ’90, poteva ammazzare a pallonate i demoni violenti e gli arbitri corrotti venuti a giocarsi a pallone il possesso della Terra. E solo lui poteva salutarli: “Au revoir” che, poi, qui in Italia divenne un umanissimo, apotropaico e glorioso “A soreta”.