È un altro anniversario, certo non paragonabile ai 53 anni della Luna o ai 33 della caduta del Muro di Berlino, ma nel suo piccolo altrettanto significativo. E che dà il senso di quanto sia cambiato, nei suo modi di viverlo (e condividerlo), uno sport popolare come il calcio, che per gli italiani è sempre stato una cartina di tornasole del suo più profondo modo di essere, soprattutto quando la radio era ancora il medium egemone e occupava una posizione centrale all’interno del Paese. «Scusa Ameri, interrompiamo dalla Stadio Comunale di Torino per…». Basta questo inciso, poi diventato un tormentone, quasi una frase magica, per capire di cosa stiamo parlando. Tutto il calcio minuto per minuto, la popolare trasmissione Rai, compie 63 anni. Nasce infatti il 10 gennaio 1960, una fredda domenica di quando gli inverni erano davvero inverni e allo stadio, per prendere i posti migliori, bisognava andare almeno un paio d’ore prima che cominciasse la partita. Interessante l’articolo scritto da Dario Ceccarelli.
La trasmissione d’esordio va in onda alle 15 e 15. Prima una musichetta introduttiva e poi la pubblicità che allora si chiamava “réclame“ alla francese. “La Stock di Trieste presenta Tutto il calcio minuto per minuto…”. La voce narrante in studio è di Roberto Bortoluzzi che conduce il programma per 27 anni, passando poi il testimone a Massimo De Luca, Alfredo Provenzali e infine a Filippo Corsini, che la conduce ancora adesso. Perchè la cosa incredibile, nonostante siano passati 61 anni, e il mondo e i sistemi di comunicazione siano completamente cambiati (per telefonare da una cabina pubblica ci voleva il gettone), Tutto il calcio è vivo e vegeto e lotta insieme a noi.
Certo, non ci sono più quegli ascolti record tra i 20 e i 25 milioni, ma picchi di diversi milioni ci sono ancora, nonostante che posticipi e anticipi abbiano tolto parecchio interesse. «In quell’epoca si giocava tutto di domenica e tutto in contemporanea» spiega Riccardo Cucchi, il popolare conduttore andato in pensione circa tre anni fa. «Non c’erano i social, non c’erano le radio private e all’inizio si dava conto dei risultati a partire dal secondo tempo. Era un football immaginato, in quei tempi di poca televisione». Milioni di italiani stavano appesi alle notizie che arrivavano dai campi. I ragazzini nei cortili, gli adulti con il transistor incollato alle orecchie mentre passeggiavano con mogli e fidanzate che, con qualche brontolio, sopportavano le distrazioni e le imprecazioni di rabbia e di gioia dei loro uomini.
La «messa laica» della domenica. Sì, era una seconda messa collettiva, quella di Tutto il calcio. «La colonna sonora delle domeniche degli italiani», la definì Candido Cannavò, indimenticabile direttore della Gazzetta dello Sport. Poi ci sono le voci, familiari, popolari, compagne di viaggio degli ascoltatori. Quella domenica di 61 anni fa il primo collegamento è con lo stadio di San Siro, Milan-Juventus: «Gentili ascoltatori buongiorno. Qui è Niccolò Carosio che vi parla e vi saluta. Stacchini ha portato in vantaggio la Juventus al quinto del primo tempo…». Da Bologna, per Bologna -Napoli , è collegato Enrico Ameri. Il terzo campo è Alessandria, con Andrea Boscione per Alessandria-Padova. Niccolò Carosio, diventato poi famoso soprattutto per le sue cronache televisive (pronunciava una parola, ogni venti secondi. Con flemma britannica, nei momenti memorabili, diceva: “L’Inter ha vinto la sua prima Coppa dei Campioni battendo il Real Madrid 3-1, vi saluto cordialmente dal Prater di Vienna…”), Niccolò Carosio, dicevamo, è la voce del campo principale solo nelle prime due domeniche. Poi la linea passa ad Enrico Ameri e Sandro Ciotti, le due voci storiche della trasmissione.
«Erano due maestri», racconta Riccardo Cucchi. «Ma non dispensavano consigli, bisognava rubarne i segreti, stando in cabina, in silenzio. Ameri aveva la grande capacità di emozionare l’ascoltatore. Ciotti era la tecnica, un grande competente di calcio. Ameri lo ricordo arrivare allo stadio 4 ore prima della partita. Aspettava il fischio di inizio giocando a scopa con il titolare del bar di San Siro. Di Ciotti ricordo l’estro inventivo, la voce rauca trasformata da handicap radiofonico a cifra stilistica e il linguaggio ricercatissimo e quasi inimitabile».
Linguaggio (e stile) di altri tempi In effetti, chi oggi potrebbe dire, come faceva Ciotti, «…un fallo proditorio» o «ventilazione apprezzabile»? Verrebbe preso per matto o rimandato a far la cronaca da un campo di serie C. Le voci escono dalle radio, regalano emozioni, frasi celebri, neologismi. La trasmissione in poco tempo si trasforma, diventa un importante appuntamento di tutto il Paese. Resta stampato nella memoria il famoso annuncio “Clamoroso al Cibali”, attribuito a Sandro Ciotti per la cronaca di Catania-Inter nell’ultima giornata del campionato 1960-’61. Racconta Aldo Grasso, noto critico radiotelevisivo: «Le due voci principali erano quelle di Ameri e Ciotti. Come capita nelle migliori famiglie i due si detestavano. Ciotti tendeva a interventi di tipo commentativo con un lessico vagamente colto e distaccato. Le “tirate” di Ameri erano cronaca pura basta sul ritmo serrato e sulla mancanza di pause. La terza voce era quella di Alfredo Provenzali, ben impostata, appena increspata da un vago accento genovese, calda e professionale. Di lui non si ricorda mai un alzata d’umore, uno screzio con un collega, un errore. Sembrava un signore di altri tempi, prestato al gioco più pazzo del mondo». Una trasmissione che diventa una festa dei gol. Tempestiva, asciutta, imprescindibile. Una commedia all’italiana, anche se l’idea (promossa da Guglielmo Moretti, capo del pool sportivo della Rai) era stata importata dalla Francia da una trasmissione che si chiamava “Sport e musique”.
«Sì, nacque tutto così» racconta Ezio Luzzi, il mitico cantore della serie B, quello che interrompeva la diretta principale per un banale calcio d’angolo di una partita tra Lecce e Avellino. («Scusa, Ameri…»). «Nacque per caso tanto che nessuno ci credeva», precisa Luzzi. «Guglielmo Moretti aveva ascoltato per caso in Francia una radio che trasmetteva calcio, rugby e basket in contemporanea. La propose ai vertici ma gli risposero: a chi vuoi che interessi? E invece sono passati 61 anni e funziona ancora. Il nostro programma è sempre stato una grande orchestra. Tante grandi voci che hanno raccontato e raccontano ancora oggi il calcio e lo sport in generale. Quel gruppo è stato un fenomeno sociale che ha attraversato la storia italiana» conclude Luzzi. Un successo che dura da 61 anni. Proprio così.
Domenica dopo domenica la trasmissione cresce. A metà anni ’80, ecco l’intuizione di Mario Giobbe, con l’estensione della diretta a tutta la partita: da RadioUno, Tutto il calcio passa a reti unificate quasi fosse un messaggio alla nazione, con la sua sigla indimenticabile («A taste of Honey» degli americani Scott e Marlow, per la tromba di Herb Alpert).
Poi avanza la tv, le tecnologie cambiano. Arrivano nuove voci. Riccardo Cucchi, Francesco Repice, Emanuele Dotto, Livio Forma che ripete come un mantra «Per coloro i quali si mettessero in questo momento davanti ai diffusori…».
Il mondo va in fretta. E anche il modo di commentare è più rapido, così come il calcio. Le voci diventano doppie , arrivano i bordocampisti, cambiano le musiche e la pubblicità.
Arriva Sky con le sue dirette in chiaro e a pagamento. Le radio private, con le loro cronache sgolate, s’inseriscono alzando la tensione espressiva insieme ai social. Tutto si frantuma in una poltiglia tecnologico-narrativa da cui è difficile estrarre un filo comune. Ma Tutto il calcio non ha ancora voglia di andare in pensione.