La fama di Bruno Capra è legata allo spareggio del 7 giugno del 1964, quando il Bologna di Fulvio Bernardini, superò l’Inter, fresca campione d’Europa e si aggiudicò il settimo titolo tricolore. All’Olimpico di Roma, teatro della partita, in quella sera luminosa di inizio estate si era giocata una sfida che tra polemiche e ricorsi aveva avvelenato il calcio italiano di quei mesi. Una storia di doping, in cui erano stati coinvolti cinque giocatori del Bologna (Fogli, Tumburus, Pavinato, Perani e Pascutti) risultati positivi dopo un Bologna-Torino del febbraio precedente, storia che aveva spaccato in due l’Italia calcistica, di fronte alla sfida tra le milanesi e i rossoblu, impegnati nella lotta per lo scudetto.
Complotto, macchinazione e chissà cos’altro ma alla fine, dopo che il Bologna era stato penalizzato di tre punti, lanciando l’Inter verso il tricolore, ecco entrare in scena la magistratura ordinaria che smontava il caso, rivelava la contraffazione delle provette dei “dopati” e restituiva al Bologna la possibilità di appaiare l’Inter in classifica, tanto da determinare la “bella” vista l’assoluta parità di punti altermine della stagione. Spareggio, dunque, a Roma, poche ore dopo l’improvvisa scomparsa di Dall’Ara patron rossoblu, probabilmente stremato da quei mesi di tensione. Due filosofie di calcio di fronte. A guidare il Bologna Fulvio Bernardini, calciatore con Roma e Lazio e ora maestro di tattica, snob, quasi un esteta, noto per aver speronato con la sua auto, a Roma, nel 1935, una Lancia Astura che gli ostacolava il passaggio, ignaro che sul veicolo viaggiasse Benito Mussolini. In quegli anni, con Fiorentina, Lazio e Bologna, appunto, era stato l’unico tecnico ad aver incrinato l’egemonia metropolitana nel calcio italiano.L’Inter la allenava Helenio Herrera; dopo anni di sforzi e investimenti del patron Angelo Moratti, aveva portato i nerazzurri, qualche giorno prima, sul tetto d ‘Europa superando il Real Madrid di Puskas e Di Stefano, in una memorabile finale al Prater di Vienna.
Poteva non esserci gara ma il genio di Fulvio Bernardini faceva la differenza e qui arriva Bruno Johnny Capra. “Pascutti era infortunato. Bernardini il giovedì dopo l’allenamento mi disse: Johnny domenica gioca lei. Come gioco io? E Renna? Guardi che si mette a piangere. Mi rispose: ho in mente una mossa e quel gioco lì lo può fare solo lei”. Il Bologna era in ritiro a Fregene, quasi una vacanza.
Bernardini confidava che la partita la si potesse vincere, soprattutto preparandola senza ansie e patemi. ” La mattina dello spareggio – ricordò Bulgarelli – Bernardini ci radunò e ci disse semplicemente: stiamo tranquilli“. Ma tranquillo non dev’essere nemmeno lui: “Gli guardammo i piedi: aveva una scarpa da ginnastica e una normale”. Capra racconta così di quella gara.” Praticamente giocammo con due liberi: Janich in zona e io sulla fascia sinistra, la dovevo presidiare e prendere Corso e anche Facchetti che era uno che veniva giù spesso”.
La gara andò nel verso giusto, per come l’aveva preparata o, meglio, immaginata, Bernardini. Inter determinata ma stanca e quel Capra sulle piste di Corso e Facchetti aveva scombinato le carte del mago. Fu quasi un trionfo, con gol di Fogli e “dondolo” Nielsen e Bologna che esplose in un boato tellurico. E Capra, con l’undici di Pascutti sulla schiena fece egregiamente la sua parte, lui arrivato al calcio, quasi casualmente dopo l’infanzia passata a pattinare sul ghiaccio di Bolzano, città in cui gli avevano affibiato quel soprannome, Johnny, al ritorno dagli Stati Uniti, dove per qualche tempo la sua famiglia era emigrata alla ricerca di un lavoro per il padre. E qualche tempo dopo, Bruno Capra detto Johnny sarebbe diventato campione d’Italia.
Gigi Poggio