“Sono Miguel Angel Brindisi, sono un ex-calciatore. Eravamo nel quartiere di Parque Patricios, tutti per strada, tutti insieme a giocare in piazza . Approfittavamo della prima luce a gas “. C’era il pubblico delle grandi occasioni: “In primavera o in estate c’erano i nostri genitori che dopo cena uscivano con le sedie per godersi la frescura serale. Così eravamo accompagnati. Figlio unico, decide tutto lui: “Non ho mai lavorato nella macelleria di mio padre. E Io stuzzicavo sempre, dicendogli che gli avevo reso tutto molto facile. Infatti come regalo per l’Epifania gli chiedevo solo un pallone. E puntualmente il 6 gennaio me lo faceva trovare. Scelsi il collegio perché aveva la squadra di calcio”.
Ha la fortuna di crescere calcisticamente nell’Huracan, la squadra del suo quartiere: “Amavo il calcio e, nonostante una grande concorrenza, giocavo col numero 9. Entrare nell’Huracan è stato qualcosa di incredibile, una di quelle cose in cui Dio dice che quello è il momento giusto. Noi giocavamo un torneo e ci chiamavamo ‘Rendo Baby’, in onore di Alberto Rendo detto Toscano, la bandiera dell’ Huracan degli anni ‘60. Fu un giovedì sera, ci toccava giocare. Avevo fatto alcuni gol e mi si avvicinò Rogerio De Julio, il famoso delegato dell’Huracan. Mi chiede se voglio giocare nell’Huracan e io rimango come una statua di sale”. Mamma Luisa gli dà pieno sostegno anche per le scelte più difficili. “Ma bisognava convincere Donato Pascual, mio padre: appuntamento alle sei del pomeriggio alla sua macelleria, che apriva alle cinque e mezza. Quando cominciai a giocare a calcio stabilmente, abbandonai persino le superiori. Trascurare la scuola fu un errore enorme. Avrei potuto terminare tranquillamente. E tra le cose che mi rimprovero ci fu quella di non aver mai studiato inglese con tutto il tempo che mi avanzava”.
“Avevo 13 anni . Ero molto giovane e non avevo mai giocato in un altro club tranne nel Collegio Marista. Ebbene quella domenica mattina iniziai a giocare nell’Huracan. Giocammo nel campo di Varela che, penso, se passassi di là non riconoscerei più”. Miguel è il classico numero 8 : “C’era un’ ottima intesa. Facemmo molti gol, una stagione indimenticabile. E’ stato un periodo molto bello . Ero talmente felice che dimenticai quanto avevo sofferto. Le divisioni minori non subivano le tensioni di adesso. E anche i campi non erano assolutamente quelli di adesso”. Non sono le uniche differenze: “Si giocava tutti i giorni. Non c’era lavoro di definizione. C’era la tecnica. Faceva parte delle difficoltà aspettare che qualcun altro si levasse le scarpette da gioco per passarle a te o avere una sola doccia e fare la coda. Quando mi sono accorto che il mio piede era il destro, ho cominciato ad applicarmi per costruirmi il sinistro. E’ molto semplice: la natura ci ha fornito due piedi e non vedo perché un calciatore debba usarne uno soltanto. Oggi sono ambidestro”.
Miguelito ha bisogno del suo pubblico: “I miei non mancarono mai a una partita nella divisione inferiore. Non tralasciarono mai di accompagnarmi. Fu come se noi tre in quel periodo fossimo una sola persona. Abbiamo vissuto tutto questo sempre insieme”. E per crescere in fretta tocca confrontarsi coi più grandi: “L’allenatore Emilio Baldonedo ci spingeva e mi passò alla prima squadra. Avevo quindici anni, ero magro. E mi allenavo tre volte al giorno: la mattina con la prima squadra, nel primo pomeriggio con la mia categoria e di sera facevo allenamento personalizzato con il maratoneta Delfo Cabrera. Ero la persona più felice del mondo, mi sentivo per la prima volta responsabile . Perché io amavo tutto questo e non facevo alcuno sforzo. Tutto quello che fai con amore non ti pesa, non ti devi sforzare”.
Miguel Brindisi esordisce il 1° ottobre 1967, a soli sedici anni: mezza punta. L’Huracan batte per 8-2 la Juventud Alianza de San Juan. Poi lo provano attaccante centrale. Nella Nazionale giovanile l’incontro determinante è con Renato Cesarini : “Era il più grande di tutti , quello che completava tutto l’insegnamento”. Nel 1969 Miguelito ha diciannove anni ed è già nella Nazionale maggiore. Prende parte alle qualificazioni per i mondiali del ’70, che si rivelano la più grande delusione della sua carriera.
Poco meno di un metro e ottanta per settantaquattro chili. Non fuma, adora leggere e beve un bicchiere di vino a pasto. Segna ventuno gol nel Campionato Metropolitano, capocannoniere. L’Huracan è ottimo terzo. “Giro per tutto il campo e mi piace andare in gol. Mi chiamano il Cruijff argentino. Tiro indifferentemente di destro e di sinistro. Di me sono abbastanza soddisfatto. Di testa mi arrangio, non ho problemi” . L’anno successivo l’Huracan vince il Metropolitano: è la sua prima volta. Una delle squadre argentine più spettacolari del ventesimo secolo. Miguel completa una prima linea da sogno con Renè Orlando Houseman, Roque Avallay, Carlos Babington e Omar Larrosa. Passaggi corti, cambi di ritmo, inventiva. E’ la vertigine libertaria del Flaco Menotti, in faccia all’ ordine e alla disciplina militare di quegli anni: “Menotti è uno dei miei maestri. Con lui si realizzano le condizioni per giocare. La parola d’ordine infatti è gioco, giocare”. Calcio ideologico in sintonia col gusto popolare degli argentini. Rifilando 5-0 al Rosario Central e al Racing Club, 6-1 all’Argentinos Juniors, 5-2 all’Atlanta e al Ferro Carril.
Il giorno della vittoria matematica del Campionato è il 16 settembre 1973. Ma a Buenos Aires decine di migliaia scendono in strada per manifestare contro il colpo di stato di Pinochet, avvenuto solo cinque giorni prima. Quella libertà che si assaporava in campo, diventava l’anomalia fuori : “Un venerdì avevamo un anticipo di campionato contro il Gimnasia fuori casa. Stavamo ricopiando la schedina, quando improvvisamente arriva la polizia e ci arresta tutti. Pensavano fossimo dei tipi sospetti. In quegli anni accadeva spesso e si armò un gran casino. Ci rilasciano e andiamo a fare la partita. Perdevamo 1-0, alla fine vinciamo 3-1”. Per la democrazia bisognerà aspettare qualche minuto in più. In Nazionale Miguel Brindisi è intoccabile, anche perchè adesso in panchina c’è Omar Sivori. Miguelito diventa subito il suo pupillo: “Brindisi è un grande, come giocatore e come uomo. Ha le idee chiare. E’ un centrocampista potente , rapido ed estremamente dinamico . Ma quando è il momento di inserirsi in attacco per concludere un’azione, il suo scatto nasce da un infallibile istinto naturale : infatti quando parte, quasi sempre va a segnare un gol. Non somiglia a nessun calciatore. Per questo io dico che è un campione, perché è un prototipo. Se arriva ai mondiali preparato, vedrete cosa combina”.
Il 14 febbraio 1973 appuntamento all’Olympiastadion in amichevole contro la Germania di Schön : “ Prima delle partite c’è il dovere e la necessità di concentrarsi . Per non rischiare un corto circuito cerebrale, è bene andare al cinema per vedere soltanto film leggeri e rilassanti“. Forse non lo sa, ma studia da allenatore. Miguel Brindisi numero 8, calzettoni abbassati. E’ una lezione di calcio: dopo soli cinque minuti, lascia Overath ai blocchi. Poi la mette in mezzo in leggero controtempo per il tap in di Ghiso: Germania Argentina 0-1. Beckenbauer non è in grande serata. Gioca a metà campo, con supponenza. E per quattro volte Miguel Brindisi gli porta via palla. Smentiti quelli che lo consideravano assente nell’interdizione.
Altri sette minuti e vola in contropiede. Ne nasce un calcio di punizione dal limite: 2-0 con traiettoria splendida di Alonso. Dopo un’ora Concetto Lo Bello, quasi scusandosi, concede un penalty all’Argentina. Miguel Brindisi spiazza Maier e mette il sigillo: è il 3-0. La Germania non perdeva in casa da otto anni. L’Argentina di Sivori guadagna agevolmente la qualificazione ai Mondiali. Brindisi non è solo il primo violino: doppietta alla Bolivia in quattro minuti . “Il signor Sivori ha fatto un lavoro eccezionale. Adesso siamo una Nazionale di uomini. In verità siamo cambiati, non ci sono più risse, non ci sono più litigi”. Ma Sivori viene licenziato. Ha accettato sconsideratamente lo scontro frontale con la stampa. Voleva imporre un ritiro di novanta giorni. E la sua presunta amicizia con il caudillo Peron non basta : “Si era affiatato stupendamente con noi calciatori, creando un gruppo meraviglioso. Anche per questo tutti gli siamo ancora riconoscenti e legati. E’ un uomo eccezionale e per noi è un motivo di onore che ci abbia portato alla qualificazione. La sua guida per noi sarebbe stata molto preziosa nei mondiali tedeschi, perché conosce il calcio europeo e quello italiano. Almeno in apparenza non è stato giusto non rinnovargli il contratto”.
In quel 1973 Miguel Angel Brindisi è stato giudicatoil miglior calciatore sudamericano. Anzi il secondo, soltanto che il primo si chiama Pelè. E al terzo posto c’è il signor Rivelino. “Forse i giornalisti sudamericani hanno esagerato”. L’idolo della folla in Argentina è incontestabilmente Brindisi. Lo vogliono in Spagna, lo vogliono in Italia. Ignora per il momento tutte le offerte e per questoviene anche insignito dal presidente Peron: “Io sono uno dei nazionali argentini che hanno avuto la fortuna di suscitare l’interessamento di diversi club europei. E ciò mi è servito sul piano pubblicitario. Un anno fa ho valutato la situazione e ho deciso di aspettare un po’ prima di lasciare la mia patria. Ho fatto bene perché così ho potuto partecipare alla qualificazione ai mondiali dell’Argentina. Ora farò la Coppa dei Campioni del Sudamerica con l’Huracan. E in giugno ci saranno i mondiali. In pochi mesi il destino mi offre la possibilità di dimostrare su diversi palcoscenici se sia vero o meno che io sono il giocatore numero uno argentino. Se riuscirò a giocare bene le mie carte ai mondiali, sarò maturo per compiere in Europa la seconda parte della mia carriera. All’Argentina e all’Huracan devo tanto, ma ho il dovere di pensare al mio futuro”.
Il 31 ottobre ’73 al Nou Camp, Miguelito gioca nella rappresentativa del Sud America contro quella europea: ci sono i signori Cruijff, Eusebio, Amancio, Cubillas, Facchetti, Chumpitaz, il portiere Ivo Viktor, il cileno Caszely . Finisce 4-4 e segna anche lui, dopo uno slalom di Rivelino. E impressiona tutti gli osservatori. Miguel Brindisi costa un milione di dollari, poco più di seicento milioni di lire. Per il momento, guadagna settecentocinquantamila lire al mese. Maglietta bianca e pantaloni da poche lire, circondato dai giornalisti stranieri. C’è anche un agente italiano che prepara il suo trasferimento in Europa. Qualcuno sussurra il nome del Milan, prova a opzionarlo l’Inter. Molti in lui rivedono le movenze del miglior Mario Corso. L’agente di Miguelito si fa scappare che c‘è un’opzione della Juventus: avrebbe rinunciato alla Spagna (Real Madrid, Barcellona, Valencia) e avrebbe firmato . Forse è anche venuto in Italia, in regalo una Ferrari. E’ anche pronto a tagliare i capelli. E, se serve, i suoi nonni sono italiani: “Sivori è un mio grande amico e mi ha tanto parlato della squadra bianconera. Indossare la maglia bianconera sarebbe il mio sogno. Mi auguro che come oriundo , io possa giocare in Italia fra un anno. Ho saputo che il dottor Giovanni Agnelli è venuto per vedermi giocare e questo mi lusinga molto. In Italia ho dei parenti, mi piacerebbe molto. Spero che tra un anno siano riaperte le frontiere . In caso contrario, andrò in Spagna”.
E’ fidanzato da due anni con la bellissima Ana Lia, una ragazza della capitale. Anche lei ha sangue italiano: è figlia di un’italiana e di un russo. Ma per puro calcolo il matrimonio viene rimandato. E poi ci sono i mondiali: “Devo sposarmi e so che gli affitti in Europa sono molto cari. Devo badare anche agli spiccioli”. Meno di un mese al mondiale: nell’amichevole contro la Francia, Ladislao Cap toglie Miguel Brindisi dopo un’ora. Sembra una bocciatura. Anche se il gol di Kempes nasce proprio da un suo assist. Ladislao Cap non ha gli stessi riguardi di Sivori: “Brindisi è il nostro uomo di maggior classe, che sa giocare per tutti, ma che sa anche concludere per sé. Appena è arrivato in Europa non ha avuto pace. Ieri gli dicevano che sarebbe andato alla Juve , oggi che finirà al Real Madrid. Il ragazzo è frastornato, sente parlare di ingaggi favolosi , sogna di diventare milionario. Va in campo nervoso, con la testa tra le nuvole”. Segue una conferenza stampa rovente. Miguelito rivendica i meriti della qualificazione al mondiale. Anche nell’amichevole di Amsterdam contro l’Olanda non gioca , ma evita di prendere parte al disastro : 1-4.
In Italia comunque viene subito: il 30 maggio 1974 per un’altra amichevole contro la Fiorentina. Anche se di amichevole c’è ben poco. E con gol di Speggiorin e Desolati, l’Argentina infila un’altra sconfitta. Miguel Brindisi assaggia la marcatura di Bruno Beatrice: sostituito di nuovo. Per i giornalisti argentini si è montato la testa. Pensa troppo ai dollari, al Real Madrid, alla Juventus. Lui protesta, si ritiene un intoccabile: “Con Sivori non sarebbe mai accaduto”. Ai mondiali la prima con la Polonia è un brusco risveglio. Suo e di tutta la squadra. Anche se al primo giro d’orologio offre una palla-gol splendida, sprecata da Kempes. Miguelito viene ben marcato da Maszczyk e vede poche palle : “E’ giù di forma. Un po’ depresso. Ha bisogno di riposo per riacquistare fiducia in se stesso. E’ un buon giocatore con la testa, ma poco combattivo e di fragile temperamento”. Cap lo mette da parte. Si dice che Miguelito si atteggi a divo. Che abbia preteso per sé un premio speciale per i mondiali. Non c’è contro l’Olanda, quando Cap dichiara: “Sono convinto che non si ripeterà il 4-1 di Amsterdam”. E ha ragione: stavolta gli olandesi vincono 4-0.
“Correvano bene, correvano ordinati. Pressavano, giocavano sulla superiorità numerica. E noi li soffrivamo. Era cambiato il calcio”. Miguelito si scatena in allenamento. E rientra contro il Brasile, ultima chiamata. Grandi aperture, tocchi d’alta scuola, è il migliore dei suoi. Poi segna beffando Leao su piazzato: il portiere era imbattuto da trecentonovantacinque minuti. Non basta, si va a casa. La trattativa col Las Palmas dura quasi un anno. Lì Miguelito rafforza la colonia argentina. Gioca anche seconda punta. Quarto posto nel campionato ’76 – ‘77 , irripetibile per la squadra delle Canarie. Poi segna in semifinale della Copa del Rey ‘78 contro lo Sporting Gijon. E’ il gol del 2-4, ma è quello della qualificazione: per la prima volta nella storia il Las Palmas approda in finale. Si gioca al Bernabeu, il 19 aprile contro il Barcellona. Da una parte c’è Johan Cruijff col numero 9 , dall’altra Miguel Brindisi col numero 8. “C’era una differenza siderale tra le due squadre”. Lui si batte contro mezza difesa e segna con una traiettoria impossibile, quasi dal corner. La Coppa va comunque al Barcellona.
Torna in Argentina e va al Boca Juniors. Là davanti forse è più facile se ti lancia Diego Armando Maradona. Con loro in attacco c’è anche Hugo Perotti. Il 10 aprile 1981 il Boca riceve il River Plate di Passarella. “Sul primo gol è stato bravo l’arbitro perché non ha fischiato fallo. Ha dato la ventaja”. In effetti i falli sono addirittura due. Il primo pesantissimo a sessanta metri dalla porta su Maradona, che non si ferma: capriola e riparte. E inizia a saltare avversari.
Il secondo fallo è su Perotti. Che riesce a ridarla in mezzo per Maradona . Miguelito Brindisi raccoglie la respinta corta di Fillol e appoggia dentro. La Bombonera è una bolgia. Anche se in quel momento qualunque stadio diventerebbe una bolgia. Poco dopo Miguelito raddoppia da centravanti vero. Il terzo non lo segna lui, ma non l’ha più dimenticato: “E’ una cosa rara, rara, rara da trovare nel calcio”. Per la cronaca c’è Diego Maradona, Fillol in ginocchio, Tarantini sdraiato: palla nell’angolino.
Danno a lui il 10 quando Diego non c’è. Contro il San Lorenzo, Miguelito ignora tutti. E poi il portiere è fuori dai pali: palombella da venticinque metri. E’ il gol del 3-0. Il Boca vince il Campionato Metropolitano. Alla fine sono suoi sedici gol, uno in meno di Maradona.
Le statistiche ufficiali recitano così: Miguel Brindisi é il centrocampista con più gol segnati nella Prima Divisione argentina. Sono centonovantatrè in quattrocentoventotto partite. La bacheca si arricchisce con gli anni in panchina. Ma c’è qualcosa che trascende tutte le maglie e i gol, gli assist e le vittorie. Qualcosa che resiste alla corrosione del tempo e gli dà significato: “Rimpiango tanto la mia infanzia. Sono stato molto felice in quegli anni, giocando tra i ciottoli del quartiere”. In fondo questa è l’essenza del calcio. E niente e nessuno può portargliela via.
Ernesto Consolo
Da Soccernews24.it