I mondiali del 1950 in Brasile, come noto, furono vinti dall’Uruguay, dopo una drammatica ultima partita con i Verdeoro vinta per 2 a 1. L’Uruguay era composto da pattuglie di immigrati e figli di immigrati, provenienti dall’Europa: tre in particolare erano del Canton Ticino, a pochi passi da Varese.
Uno di loro, Rocco Gastone Maspoli, classe 1926, divenuto poi Roque Gaston per i sudamericani, era di Caslano, un piccolo comune vicino a Ponte Tresa. I genitori partirono all’inizio del secolo scorso per il nuovo mondo, alla ricerca di un lavoro e di un futuro. Erano i tempi in cui la Svizzera Italiana era terra di contadini poveri e di ribelli scappati dall’Italia, e il genovese Gilberto Govi scriveva “Addio Lugano Bella, cacciati senza colpa, gli anarchici van via”.
Rocco Maspoli fu il portiere della “Celeste” uruguaiana durante quello che è passato alla storia come il “Maracanazo”, cioè la disfatta brasiliana del 16 luglio 1950, la tragedia di un popolo intero per i carioca, ma “el miragro”, il miracolo, per un altro piccolo popolo sudamericano. L’Uruguay – come ha sottolineato Roberto Rotondo – già allora era popolato per un terzo da italiani scappati da una terra agra, e da svizzeri italiani.
Di Maspoli ad esempio, si sono ricordati il sindaco di Caslano Emilio Taiana, il giornalista Piergiorgio Baroni e il presidente della squadra locale, l’associazione calcio Alto Malcantone: «Maspoli era di Caslano – osserva Roberto Monti, che dopo vent’anni nel 2019 ha salutato la presidenza del club malcantonese – anzi era il caslanese più famoso nel mondo, e per questo nel 2014 gli abbiamo dedicato il campo sportivo. Rimarrà per sempre nella memoria del nostro paese». Non sarà il Maracanà, ma è pur sempre un bel gesto.
Il portiere giocò per molti anni nel Peñarol, poi divenne allenatore. Maspoli, inoltre, pronunciò una delle frasi più belle e umane su quella vittoria sportiva uruguaiana che paradossalmente provocò tanti suicidi in Brasile: «Se avessi saputo che avremmo provocato un dolore così forte a tanta gente, forse avrei preferito non vincere». Fu anche molto fortunato nella vita e, per due volte, vinse un ricco premio della lotteria uruguaiana.
Alcides Ghiggia, nato a Montevideo nel 1926, era invece figlio di emigranti svizzeri di Sonvico.
Era un’ala destra dal dribbling fulminante. Fu lui a propiziare il pareggio di Schiaffino col Brasile e a realizzare poi il goal della vittoria che valse agli uruguaiani il secondo titolo mondiale.
Giocò anche in Italia e fu persino capitano della Roma. Sino al 2015, anno della sua morte, era l’unico reduce vivente fra i ventidue in campo in occasione del cosiddetto “Maracanazo” .
Schubert Gambetta
Ghiggia mantenne un legame con questo territorio e quando ci furono i campionati del mondo in Svizzera nel 1954, riuscì a passare da Sonvico dove fu accolto come un trionfatore.
Schubert Gambetta era infine il difensore centrale della nazionale uruguaiana. E’ il meno noto e trascorse la maggior parte della sua carriera al Nacional di Montevideo, con cui vinse dieci campionati uruguaiani. Era del 1920 e aveva 30 anni quando vinse il campionato del mondo. Le sue origini Ticinesi sono state scoperte dalla radio elvetica. Fu anche autore di un gesto di fair play: il 5 settembre 1948, nel derby con il Peñarol, l’arbitro assegnò un rigore, espellendo anche un giocatore degli Aurinegros; Gambetta ritenne ingiusta l’espulsione e sbagliò volontariamente il rigore.